"Cosa succede a Cinecittà?" – versione integrale dell'intervista fatta ad Enzo de Camillis e riportata nella rivista Bmag

Con questo articolo riprendiamo un argomento affrontato, a più riprese in questi mesi, riguardante il destino di Cinecittà.
Da anni si stanno fronteggiando due visioni diverse per l’uso e lo sviluppo delle attività di Cinecittà, o la “Città dei Sogni”, che sono diametralmente opposte l’una all’altra sia nelle ipotesi che nelle finalità. La prima è quella dell’interesse finanziario, che vorrebbe riadattare un’intera area a beneficio anche del turismo, l’altra è quella della produzione cinematografica, che vede in un addetto ai lavori un promotore del “rinnoviamo ma senza stravolgere”. Cinecittà può sembrarci lontana anni luce dal nostro quotidiano, ma in realtà è un ripetersi costante di ciò che è quotidiano intorno a noi, la speculazione, l’appetito affaristico, le necessità lavorative di molti contro gli interessi di pochi, e l’illusione che tutto debba evolversi, anche sparendo, in nome della produzione e del bilancio. Sarà anche vero e sicuramente è importante sotto certi aspetti, ma perché deve essere per forza così?

Con questa domanda in testa abbiamo affrontato con Enzo De Camillis un lungo percorso per capire cosa sia successo e per valutare, oltre che sostenere, nuovi progetti che possano ricreare occupazione, rilancio e anche rinnovo, all’interno di uno spazio che non è solo cemento ma luogo di cultura.

Lo scenografo Enzo De Camillis

Enzo De Camillis, romano di nascita, scenografo e regista per passione verso la cinematografia. Si sente parlare spesso di cinema e si è abituati a vedere il solo prodotto finale senza però conoscere il resto: la produzione, il lavoro artistico di scenografi, artigiani, addetti vari che creano l’inesistente rendendolo reale, prima ancora che viva con l’aiuto di attori e comparse. Ora le propongo di fare un viaggio a ritroso per capire da dove sia nata la sua passione per il cinema e perché dedicare tutta una vita a questo tipo di espressione culturale.

Credo che in ognuno di noi ci sia un’evoluzione sia culturale che artistica, e quest’evoluzione ci accompagna durante la nostra vita, sempre. Quando ero ragazzo il mio sogno era quello di disegnare e dipingere. I miei studi, partendo dal Liceo Artistico, sono stati di grosso aiuto per iniziare a capire e acquisire quelle conoscenze tecniche e artistiche che ti stimolano e ti aiutano a trovare quella linea, o quel tratto che un disegnatore cerca quando ha davanti a se un foglio bianco, una ricerca che continua sino al raggiungimento di una propria espressione. Generalizzando posso dire che man mano si acquisisce graficamente la linea della propria espressività nel tratto, si scopre che il percorso è parallelo all’approfondimento della conoscenza della storia dell’arte. Dandoti la conoscenza e la sensibilità, acquisendo con il racconto, la vita e l’arte di quei pittori, architetti e artisti che hanno segnato il mondo con le loro scoperte pittoriche, prospettiche e o architettoniche. Personalmente in quel periodo della mia vita mi impegnai proprio in quella ricerca, che ritenni la più importante per me. Allora amai e seguii le orme, la storia e le opere di pittori come Modigliani, Toulouse Lautrec, Vincent Van Gogh, Giovanni Boldini e altri. La voglia di capire e lavorare nel cinema nacque verso i 20 anni, quando iniziai ad avvicinarmi, per proseguire gli studi, verso l’Accademia di Belle Arti di Roma, e lì scoprii la professione, o il mestiere, dello Scenografo che divenne la mia professione.

Un incontro casuale che tradusse un desiderio di sempre? Perché scenografo e non sceneggiatore, regista o attore? Perché voler vivere il “cinema” stando in disparte e non da protagonista?

Quando scoprii il lavoro dello scenografo non mi posi la questione del protagonismo, in realtà mi interessava capirne le competenze e le mansioni. Mi intrigava questa duplice capacità di saper disegnare o dipingere un bozzetto nel rappresentare una scena e subito dopo saperla progettare architettonicamente per farla costruire e farla vivere con gli attori. Ho iniziato a studiare e a sognare il mio punto di arrivo che in quel momento della mia vita mi ero prefissato: progettare e costruire scenografie, in particolar modo le scenografie per il cinema. Allora ebbi l’intuizione che il cinema poteva darmi l’opportunità di costruire qualsiasi cosa, da una chiesa romanica, a un castello ottocentesco, ad un appartamento moderno o fantascientifico.

Ha iniziato a lavorare negli studi di Cinecittà a partire dal 1977, gli anni d’oro della commedia all’italiana. Cosa ci può raccontare di quel periodo?

Ho iniziato nel 1977 come assistente di Dante Ferretti in un film di Luigi Zampa dal titolo “IL MOSTRO”. Un film con Jonny Dorelli, prodotto da un signore di nome Claudio Mancini, un uomo duro ma di una professionalità eccellente. Questa cosa, ci tengo a sottolinearla, perché fu grazie a lui che iniziai il mio primo film. Certo per i non addetti ai lavori è un nome che dice poco, però pensate che il signor Mancini, oggi ottanteseienne, durante la sua attività ha realizzato la maggior parte dei film di Sergio Leone, producendo titoli come “Giù la Testa”, per arrivare al famosissimo “C’era una volta in America”. Ogni volta che penso di aver lavorato con lui, mi sento onorato, sempre.
Dal primo film iniziai a percepire, per poi rendermene conto con coscienza, quanto sia difficile complicato e complesso fare un film, dalle diverse competenze che si dividono su un set tra professioni, mestieri, sino ad arrivare a quei lavori artigianali che non tutti conoscono ma che sono indispensabili per la realizzazione di un bel prodotto cinematografico: pittori, stuccatori, falegnami, attrezzisti, artigiani che costruiscono, sarte, ecc. Quando si vede un film d’epoca, ambientanti nel 1200 per esempio, chi costruisce i cappelli, le scarpe, gli arnesi, gli oggetti per arredi in modo giusto quel periodo, deve fare tantissime ricerche per mantenere la fedeltà della scena. Questi studi vengono addirittura fatti anche per allestire un pranzo del periodo, acquisendo esattamente cosa si mangiava e come lo si mangiava in quell’anno. E’ un gran lavoro , ma fondamentale per ottenere la qualità dell’immagine di un film. Quando si costruisce e si arreda una scenografia, si a bisogno di studiare e fare ricerche le più approfondite possibili per qualsiasi cosa. Evidenziando che questo è il nostro cinema. In Italia possiamo produrre cinema impiegando mestieri e artigianato di alta qualità invidiata dal mondo intero. La nostra storia cinematografica lo dimostra apertamente. Negli anni cinquanta realizzavamo i colossal americani, poi si sono prodotte le commedie all’italiana, quelle di Monicelli, di Magni, o i film sociali di Petri, Rosi, Damiani, ecc. Ma purtroppo i tempi sono cambiati. Dopo quegli anni è accaduto quello che disse P.P. Pasolini in un’intervista ad Enzo Biagi negli anni settanta, quando anticipò il dramma televisivo. Della televisione ricordiamo programmi culturali indiscutibili, come quello del maestro Alberto Manzi, in onda su RAI 1, che ottenne il Premio dell’UNESCO per la trasmissione televisiva “Non è mai troppo tardi”, ma negli anni ’80 si passò a una televisione commerciale, soprattutto dopo l’avvento di Silvio Berlusconi.

Da allora ci sono state altre occasioni per dimostrare quale fosse la reale capacità produttiva di Cinecittà?

Certo, il cinema è Cinecittà. La cinematografia italiana è rappresentabile da sempre con un altalenante grafico di successi e insuccessi culturali, economici ed industriali, sensibile ai governi del periodo. Purtroppo in Italia questo intreccio esiste in qualsiasi settore. Come (per esempio) le ASL e le Regioni che la gestiscono che hanno date storiche a cui potersi riferire per notare i loro cambiamenti. Di date ce né sono anche per il settore cinematografico, esattamente ce ne sono tre molto importanti, che indico per far capire cosa successe con la cinematografia italiana. La prima è il 1992, con tutte le coincidenze storiche di quel periodo legate a tangentopoli, l’altra è il 1993 quando muore l’ultimo vero produttore italiano Mario Cecchi Gori. Da lì in avanti il figlio Vittorio entrò nel mercato televisivo con tutte le sue risorse e forse anche con le complicità politiche sia di destra sia di sinistra, inoltre in quell’anno Silvio Berlusconi passò dall’imprenditoria alla politica, senza mai abbandonare la TV. Dal 1993 le case di produzione cinematografica iniziarono a lavorare per la televisione, i produttori da allora lavorarono con appalti televisivi e il produttore, così definito, cambiò il proprio ruolo e divenne un appaltatore. Un passaggio generazionale importante. Da quel momento uccisero il pensiero e il modo storico di produrre cinema che caratterizzò la belle epoque italiana, alle figure storiche e professionali subentrarono nuovi produttori o appaltatori senza esperienza cinematografica.
Cinecittà subì tutti i contraccolpi delle varie fasi storiche/politiche ma ha sempre avuto la forza di rimettersi in piedi, sino al tragico anno in cui la volontà politica di promuovere Cinecittà e la sua missione si aprì alla gestione privata. Questa è la terza data importante di cui si deve tener conto. Nel 1997 nasce la “Società spa” Cinecittà Studios, presieduta dal Dott. Luigi Abete che gestirà tutto il comparto artistico, artigianale e produttivo degli studios . “Il presidente”, per prima cosa elimina il vecchio Direttore Generale, stimato da tutti per la sua professionalità, sostituendolo con un Direttore ricco di esperienze tutt’altro che cinematografiche. Da quel momento emerge la volontà o l’incapacità di schiacciare l’industria cinematografica.

La domanda è naturalmente ovvia e sottintesa, ma la pongo comunque. Quali sarebbero questi fatti?

La prima scelta, la principale e la più deleteria, è l’aumento dei prezzi per le costruzioni scenografiche all’intero dello stabilimento che rese Cinecittà inaccessibile per le produzioni agevolando la concorrenza di altri teatri privati.
Nel tempo hanno venduto il ramo d’azienda della post produzione dove è subentrata nel 2009 la Medusa Film. Ultimamente nel 2011, è stato venduto a terzi il parco lampade di Cinecittà, pensate a quanti proiettori, dolly o altro materiale potevano esserci nei magazzini. Come vogliamo interpretare queste scelte? O la gestione è incompetente o incapace di gestire l’azienda cinema.

Lei ha subito questa crisi professionale?

Quando si percepisce apertamente la volontà politica, a livello aziendale, di disinteresse verso il mondo cinema, si ha come conseguenza il cambiamento radicale della produzione che passa definitivamente dal cinema alla televisione, portando il prodotto professionale ad un abbassamento totale di qualità, di ricerca e di contenuti. Questa è stata anche la motivazione di una personale crisi professionale. Con questi avvenimenti si deve cambiare e ogni cambiamento richiede un sacrificio. La forza di adeguarmi alla fine l’ho trovata, come fanno tutti, così sradicando e modificando in età adulta la professione e mettendo un nuovo punto nella mia vita, ho ricominciato da capo cercando di fare un cinema di riflessione sui problemi che ci circondano. Il Cinema serve anche a questo. Armatomi di questa convinzione nel 2009 giro come regista una storia vera di camorra accaduta nel casertano dal titolo “19 Giorni di Massima Sicurezza” con L. Ranieri e poi nel 2012 giro un docu-film incentrato su una brutta storia italiana del 1982 sui N.A.R. dal titolo “Uno Studente di Nome Alessandro” con V. Carnelutti. Entrambi i lavori mi hanno dato molte soddisfazioni, ultima in ordine di tempo il Premio Speciale Nastri d’Argento nel 2012. Nastro d’argento è un premio cinematografico assegnato dal 1946 dal Sindacato Nazionale Giornalisti Cinematografici Italiani (SNGCI), in ITALIA è secondo solo al David di Donatello. Per il secondo lavoro questo premio si assomma alle difficoltà giuridiche, ho ricevuto una querela e una richiesta di sequestro dell’opera “Uno Studente di Nome Alessandro”, ma questo è il cinema che ho scelto di fare.

Il film “Uno Studente di Nome Alessandro”, per cui le sono nati problemi legali, è anche quello per cui abbiamo sottoscritto una petizione on-line promossa da “Il Fatto Quotidiano”, e che oggi ci vede impegnati nel creare attenzione sul territorio bergamasco per la sua proiezione. Ci può spiegare quali sono le difficoltà giuridiche a cui è andato incontro dopo la sua divulgazione?

Il film l’abbiamo terminato e montato a settembre del 2011, ma il tema è stato sempre sentito. Fu scelto come evento speciale al Roma Fiction Fest e proiettato ad ottobre presso l’Auditorium parco della Musica, presentato davanti ad una platea di 1000 persone dal direttore Artistico Steve Della Casa. Il 22 dicembre del 2012 fui invitato dai carabinieri del Tribunale di Piazzale Clodio a Roma, per rispondere alla richiesta di sequestro del film (che il GIP non ha accolto) e una querela per aver leso l’immagine della Sig.ra Francesca Mambro, (oggi 54enne) a suo tempo nel 1982, che all’età di 22 anni era la responsabile del commando dei NAR che uccise Alessandro Caravillani, “colpevole”(sic!) di passare per caso mentre il commando che usciva da una filiale della BNL, dopo averla rapinata, iniziò un conflitto a fuoco con la polizia. Il ragazzo 17enne, frequentava il mio stesso Liceo Artistico che oggi porta il suo nome. Il corto racconta questa storia. Sottolineo; la Mambro è stata condannata per questo omicidio all’ergastolo, che si somma ad altre OTTO condanne dello stesso tipo, quindi la Signora ha pendenze per 9 ergastoli dovuti a 97 omicidi di cui è stata riconosciuta colpevole. Sempre la Signora ha scontato 16 anni e da 10 è in libertà vigilata e nel 2013 sarà completamente libera.
Con questo film non voglio aprire nessun nuovo processo, ma voglio essere libero di ricordare una vittima degli anni di piombo.

Tornando a Cinecittà, quando parla di smembramento mi viene in mente ciò che è accaduto all’Enel durante la gestione di Franco Tatò, che spezzettò l’azienda in tante realtà indipendenti. Allora ci venne detto che fu sempre e solo a favore del consumatore perché si favoriva la rottura del monopolio, con possibilità di allegerire i costi aziendali e di conseguenza anche quelli di servizio. Per Cinecittà non si può vedere così?

Credo che per Cinecittà sia ancora più grave. Abbiamo parlato di 220 lavoratori che hanno occupato Cinecittà, non abbiamo parlato del settore e delle persone che ci lavorano. Questo è un problema di occupazione del nostro territorio, che si congiunge ad un problema di delocalizzazione, cioè quando la RAI permette alle produzioni di fiction di girare i loro film  dati in appalto all’estero utilizzando i soldi pubblici. Non abbiamo più qualità artistica e se non ci sbrighiamo rischiamo di perdere le ultime risorse della vecchia generazione, che si deve porre come traguardo il passaggio delle proprie esperienze ai giovani.
Dobbiamo recuperare quella qualità che nei nostri 100 anni di produzione cinematografica abbiamo raggiunto e che ci hanno riconosciuto con 100 nomination e 47 statuette degli OSCAR americani.

Si parla di produzione cinematografica italiana in crisi, che per alcuni addetti è irreversibile, e di appiattimento artistico, eppure abbiamo nostri connazionali che negli ultimi anni hanno lavorato bene negli Stati Uniti, come Muccino e Sorrentino. Cosa ne pensa di questi registi, dobbiamo considerarle come delle eccezioni? E la produzione di Cinecittà è totalmente ferma? I suoi studi dobbiamo considerarli adatti solo a prodotti televisivi come “Il Grande Fratello”?

Il Cinema, per essere una fucina di idee, di competenze acquisite, e di professionalità, deve produrre. Il cinema si deve fare, se non si fa non c’è passaggio generazionale. Noi siamo a questo crocevia. Cerco di fare un esempio: in Italia il calcio non ha più nuove leve, le società comprano calciatori stranieri e non c’è nel pensiero italiano l’idea di investire in quelli che venivano definiti i “pulcini”, quelle squadre con rose composte totalmente da bambini, così si impoverisce il calcio e non si hanno i veri campioni di casa nostra. La stessa cosa accade con il cinema. Quando ho iniziato si giravano 400 film l’anno, nel 2011 ne abbiamo girati 60 circa. Anche le fiction televisive sono sempre meno i lavori italiani. Compriamo tutto dall’estero. Ormai vengono trasmesse puntate di produzioni Tedesche, Indiane, Giapponesi o semplicemente asiatiche in generale, arrivando a azzerare la produzione in Italia. Questo è l’effetto della produzione per appalti. Il danno economico non è solo di settore ma anche per l’erario, se gli appaltatori televisivi portano il lavoro all’estero, lasciano 50 lavoratori italiani a casa, non pagano l’IVA e l’R/A, né tanto meno pagano allo stato contributi INPS o ENPALS, tutto perché si delocalizza per risparmiare sui costi di produzione e aumentare i propri ricavi nella vendita. Così si hanno registi come Muccino o Sorrentino, che per realizzare un loro progetto vanno in America. A Cinecittà ormai ci sono solo 22 teatri vuoti. Studi adatti per il Grande Fratello? Magari, sono riusciti a mandar via pure quello. Si parla molto di “Made In Italy” ma in realtà lo si sta affossando, lo dico perché per me il marchio “Cinecittà” è il secondo marchio italiano maggiormente conosciuto in tutto il mondo, dopo la Ferrari. Le speranze per fortuna non sono del tutto perse, perché si ha ancora la potenzialità di una ricrescita, si può ancora recuperare una filiera che coinvolge 250.000 persone che lavorano nel settore cinematografico solo nel Lazio.

E arriviamo dunque al progetto dell’associazione Art.9 di cui è il presidente.. di cosa si tratta esattamente?

Ho progettato un idea di rilancio con sei punti importanti, dove hanno aderito con la loro firma attori, artisti, registi e tecnici del settore, hanno aderito politici di diverso colore. Potete leggere e vedere il progetto sul nostro sito

www.artnove.org

Spero che tale interessi si divulghi a quelle persone e a quei politici che difendono la nostra cultura, per riuscire a proporre le nostre idee a questa gestione che non ama il cinema ma crede soltanto allo sviluppo del cemento. La speranza è che si ritrovino con la loro coscienza e si rendano conto che stanno uccidendo la cultura nel nostro paese e l’industria “del saper raccontare”.

Sappiamo che questo suo impegno non è indolore. Oltre alla partecipazione attivà di registi e attori, politici e amministratori locali, lei ha subito anche delle minacce. Perché darsi rischiando, quando invece avrebbe potuto assecondare e restare a galla in una situazione difficile?

Il mio impegno è quello di non essere complici del silenzio, in questo tipo di attività, ho lo scopo di ricordare a tutti quegli uomini, artisti, registi e politici che rimangono in silenzio di fronte a tutto questo, che se non reagiscono, saranno complici della fine del cinema e della cultura del cinema in Italia, nei confronti della nostra storia e nei confronti dei nostri giovani.

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