Don Chisciotte e la bellezza di Dulcinea

Don Chisciotte– Toh! Toh! – disse Sancio – la figliola dunque di Lorenzo Corciuelo è la Signora Dulcinea de Toboso, chiamata con altro nome Aldonza Lorenzo?

– Lei, si – disse Don Chisciotte, – ed è colei che merita di essere signora di tutto l’universo.

– La conosco bene – disse Sancio – e posso dire che è capace di scagliare una barra di ferro altrettanto bene quanto il più vigoroso giovanotto di tutto il villaggio. Perdio se non è una ragazza di merito, è una marcantonia, di fegato, capace di trarre da un brutto rischio qualunque cavaliere errante o che debba ancora errare, il quale la prenda per sua dama. Figlia d’un sei, come robusta e che voce! Posso dire che un giorno salì sulla cima del campanile del villaggio a chiamare certi suoi garzoni che erano in un maggese di suo padre e sebbene fossero lontani di lì più di mezza lega, la sentirono come se si trovasse al piede della torre. Quel che poi ha di bello è che non è punto ritrosa, ché anzi è di modi molto sciolti: scherza con tutti e di tutto sogghigna e si burla. Dico pertanto, signor Cavaliere dalla Triste Figura, che per lei può e deve vossignoria non soltanto far pazzie, ma che, a giusto titolo può darsi alla disperazione e impiccarsi; né ci sarà mai alcuno il quale, sapendolo, non dica che fece benone, e anche che il diavolo se lo abbia a portar via. E vorrei già essere in via, tanto per vederla, giacché da molti giorni non la vedo: e dev’essere per i campi, al sole, all’aria sciupa molto il viso delle donne. 

E qui arriviamo al momento della lettera di don Chisciotte per la sua amata, al viaggio del fedele Sancio Panza, che dovrà portare al Toboso la missiva e all cavaliere  che si abbandonerà a gesti di follia lucida e volontaria, tutto per dimostrare il proprio amore verso la mascolina Dulcinea de Toboso.

Sancio esegue l’ordine e come da accordi ritorna. Si ritrova con il suo padrone e gli racconta dell’incontro con la principessa più principesso del mondo…

– ..vai avanti – disse Don Chisciotte – tu arrivasti; e cosa faceva quella regina della bellezza? Di sicuro la trovasti che infilava perle, o che ricamava qualche impresa in oro di canutiglia per questo cavaliere suo schiavo.

–  Io non la trovai – rispose Sancio –  se non a vagliare due staia di grano nel cortile di casa sua.

–  Or fa conto – disse Don Chisciotte –  che i chicchi di quel grano erano chicchi di perle, toccati dalle sue mani. E se tu, amico, badasti al grano, era esso bianco civitello o fraina scuro?

– Non era se non grano restone, biondiccio –  rispose Sancio

– Ebbene, io t’assicuro – rispose Don Chisciotte –  che, vagliato dalle sue mani, dette pan buffetto, non c’è alcun dubbio. Ma va’ avanti: quando le desti la lettera la baciò? Se la mise sul cuore? Fece alcun atto degno di tale lettera, o che fece?

– Quando io stavo per dargliela – rispose Sancio – ella era nel più vivo del tramenìo d’una buona porzione di grano che aveva nel vaglio, e mi disse >

– Che saggia dama! – disse don Chisciotte – …Avanti Sancio. E intanto che era tutta occupate che discorsi fece con te? Cosa ti domandò di me? E tu, che le rispondesti?! Via raccontami tutto e non omettere un ette.

– Lei non mi domandò nulla – disse Sancio – ma io le dissi dello stato in cui vossignoria, per servirla, si trovava, facendo penitenza nudo dalla cintola in su, rintanato per queste montagne come fosse un selvaggio, a dormire per terra, senza mangiar pane su tovaglia stesa, con la barba arruffata, a piangere e maledire la propria sorte.

– Facesti male a dire che io maledivo la mia sorte anzi la benedirò tutti i giorni della mia vita, avendomi fatto amare così alta signora come Dulcinea del Toboso.

– E’ così alta che davvero mi supera di quattro dita buone

– Ti sei misurato con lei? – disse don Chisciotte

– Fu così – gli rispose Sancho – che appressandomele per aiutarla a mettere un sacco di grano sopra un somaro, cii facemmo tanto vicini che notai che mi sorpassava più di un gran palmo.

– Però non mi negherai, Sancio, una cosa: quando ti facesti vicino a lei, non sentisti una fragranza aromatica, un che di delizioso che non mi saprei come chiamare? Dico insomma, un’esagelazione, un olezzo come se ti trovassi in una bottega di un guantaio sopraffino.

– Quel che posso dire –  disse Sancio – è che sentii un certo odorino di maschio; e doveva essere che lei, con tanto faticare, era sudata e un po’ invincidita.

– Non poteva darsi codesto (…) perché io so bene di che odora quella rosa fra le spine, e quel giglio sul campo, quell’ambra disciolta.
In realtà tutto può essere.

Da questo punto del libro in poi ci sono i resoconti della follia di don Chisciotte e della lettera strappata da Dulcinea, che non sapendo leggerescrivere la ridusse in tanti pezzettini per non dover richiedere aiuto a nessuno e per non avere preti tra i piedi. Il romanzo è un capolavoro di ironia e uno splendido squarcio di un’epoca ormai lontana, dove i folli diventavano cavalieri e i somari erano i cavalli dei loro scudieri.

(Don Chisciotte –  Miguel Cervantes capitoli XXIX e XXX)

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