Iemanjà dai cinque nomi ( Mar Morto – Jeorge Amado )

 …Ora io voglio raccontare le storie della riva del porto di Bahia. I vecchi marinai che rammendano le vele, i mastri di saveiros, i neri tatuati, i vagabondi, conoscono queste storie e queste canzoni, Io le ho ascoltate nelle notti di luna allo scalo del mercato, nelle fiere, nei piccoli porti del golfo, accanto alle enormi navi svedesi nei ponti di Ilhéus. Il popolo di Iemanjà ha molto da raccontare.

Venite ad ascoltare queste storie e queste canzoni. Venite a sentire la storia di Guma e di Livia che è la storia della vita e dell’amore nel mare. E se non vi parrà bella, la colpa non è degli uomini rudi che la narrano. È che l’avete ascoltata dalla bocca di un uomo della terra e, difficilmente, un uomo della terra comprende il cuore dei marinai. Anche quando ama queste storie e queste canzoni e va alle feste di donna Janaina, anche così lui non conosce tutti i segreti del mare. Perchè il mare è mistero che neppure i vecchi marinai riescono a comprendere.

Queste sono le migliori parole che si possono utilizzare per spiegare il libro che ti presento. Sono le migliori perché sono dell’autore. Questo libro non è solo un testo, un racconto ma un’esperienza lontana che ci viene regalata da Amado. Buona lettura.

(Prefazione di Mar Morto)

Nessuno nel porto ha un nome solo. Tutti hanno anche un nomignolo o abbreviano il nome, o lo allungano o gli aggiungono qualcosa che ricordi un avvenimento, una lotto, un amore.
Iemanjá, che è la signora del porto, dei saveiros, della vita di ciascuno di loro, ha cinque nomi, cinque nomi dolci che tutti conoscono. Si chiama Iemanja, è sempre stata chiamata così  e questo è il suo vero nome, di padrona delle acque, di signora degli oceani. Tuttavia i barcaioli amano chiamarla, Jananina, e i negri che sono i suoi figli prediletti, che danzano per lei e la temono più di tutti, la chiamano Inaê con devozione, o rivolgono le loro suppliche alla Principessa di Aiocá, regina di quelle misteriose terre che si nascondono nella linea azzurra che le separa dalle altre. Ma le donne del porto che sono semplici e coraggiose, Rosa Pameirão, le donne di strada, le donne sposate, le ragazze che aspettano un fidanzato, la chiamano dona Maria, perché Maria è un bel nome, è proprio il più bello di tutti, il più venerato e così lo dedicano a Iemanja come un regalo, come se le portassero una cassetta di saponi sulla sua pietra nel Dique. Lei è la sirena, la Madre-d’acqua, la signora del mare, Iemanjá, dona Janaina, dona Maira, Inaê, Principessa di Aiocá. Lei domina questi mari, lei adora la luna che viene a guardare nelle notti senza nuvole, lei ama le musiche dei negri. Ogni anno si fa la festa di Iemanja nel Dique sul Monte Serrat. Allora la chiamano con tutti i suoi cinque nomi, le danno tutti i suoi titoli, le portano doni, cantano per lei.
L’oceano è molto grande, il mare è una strada senza fine, le acque sono molto più della metà del mondo, sono i tre quarti ed è tutto Iemanja. Ma il posto dove essa risiede è la pietra del Dique nel porto di Bahia o la sua grotta sul Monte Serrat. Avrebbe potuto abitare nelle città del Mediterraneo, nei mari della Cina, nella California, nel mar Egeo, nel golfo del Messico. Un tempo abitava lungo le coste dell’Africa che dicono siano vicine alle terre dell’Aioc á. Ma poi venne verso Bahia a vedere le acque del Paraguaçu. E restò ad abitare nel porto vicino al Dique, in una pietra che è sacra. Là si pettina i capelli (vengono le ancelle, bello, con pettini d’argento e avorio), ascolta le preghiere delle mogli dei marinai, scatena le tempeste, sceglie gli uomini da portare con sé per il viaggio senza fine sul fondo del mare. Ed è lì che ha luogo la sua festa, più bella di tutte le macumbas, perché lei è tra gli orixás più potenti, lei è fra i primi, tra quelli da cui vennero gli altri. Se non fosse pericoloso si potrebbe persino dire che la sua festa è più bella di quella di Oxolufã, Oxála-vecchio, il maggiore e il più grande degli oxixás. Perché la notte della festa di Iemanjá è una meraviglia. In quelle notti il mare diventa di un colore tra il verde e l’azzurro, e la luna è sempre nel cielo, le stelle accompagnano le lanterne dei saveiros. Iemanjá sparge mollemente i capelli sul mare e non esiste cosa più bella (lo dicono sempre i marinai delle grandi navi che viaggiono per tutte le terre) del colore del mare intrecciato ai capelli di Iemanjá.
Il pai-de-santo Anselmo era il portavoce dei marinai al cospetto di Iemanjá. Macumbeiro della riva del porto, un tempo era stato marinaio, aveva girato per le terre dell’Africa, imparando la loro vera lingua, il significato di quelle feste e di quei santi. Al suo ritorno aveva lasciato la nave per sempre e si era fermato nel porto al posto di Agostinho, ormai morto. Era lui ora che faceva le feste a Iemanjá, che presiedeva sulle macumbas del Monte Serrat, che per volontà di dona Janaina curava malattie, dava buoni venti ai saveiros, mandava lontano le frequenti tempeste. Non c’era sulla riva di porto e in quel mondo d’acqua chi non rispettasse Anselmo, che una volta era stato in Africa e pregava in nagô. La sua testa bianca faceva scoprire tutte le teste degli uomini del porto e delle imbarcazioni.
Non era facile entrare a far parte della macumba del padre Anselmo e un negro doveva essere un buon marinaio per sedersi tra gli ogãs di Iemanjá, circondato dalle feitas che danzavano. Guma, mulatto chiaro, dai lunghi capelli neri, si sarebbe seduto presto in una delle sedie che stanno attorno al padre santo, nella sala del candomblé. Da quando aveva guidato il Canavieras la notte della tempesta, la sua fama correva di bocca in bocca, ed era provato che Iemanjá lo favoriva. Non avrebbe quindi tardato a sedersi tra gli ogãs, circondato dalle feitas. Nella prossima festa di Iemanjá avrebbe già usato la sua pietra (che è vberde e si va a cercare sul fonde del mare) e avrebbe assistito tra gli ogãs all’iniziazione delle feitas, delle iaos, che sono le sacerdotesse negre.
E con lui anche il negro Rufino avrebbe usato la pietra di Iemanjá. E nello stesso giorno si sarebbero insieme consacrati alla signora del mare, alla donna dai cinque nomi, madre di tutti loro, che un giorno, soltanto un giorno in tutta la vita è anche sposa.

[…]Iemanjá gioca sul mare. Vi furono un tempo, i più vecchi lo ricordano, che le furie di Iemanjá erano tremende. Allora lei non giocava. Le barche e i saveiros non avevano scampo, vivevano una vita dannata.
[…] Agostinho, il macumberio, che a quel tempo dirigeva le sue feste, disse che Iemanjá voleva carne umana.
[…]La tempesta correva sul porto e le onde lavavano la pietra di Iemanjá. I saveiros correvano a lato e tutti udivano le grida del bimbo che aveva gli occhi bendati (offerto in dono a Iemanjá e fatto morire nel mare perché era il più bello del porto, nda). Era una notte di delitto e il vecchio Francisco ancora trema quando racconta questa storia. La polizia venne a conoscenza di tutto, alcuni finirono in galera. Agostinho scappò, la madre del bambino impazzì. Solo allora cessò la collera di Iemanjá. La sua festa fu proibita e per qualche tempo la sostituirono con la processione del Buon Gesù dei Naviganti. Ma quelle acque erano di Iemanjá e, a poco a poco, la sua festa ritornò, anche la sua collera era passate, lei non chiese mai più bambini e vergini.
[…]Iemanjá è così terribile perché lei è madre e sposa. Quelle acque nacquero da lui il giorno che suo figlio la possedette. Non sono molti nel porto a conoscere la storia di Iemanjá e di Orunga, suo figlio. Ma Anselmo la sa, e anche il vecchio Francisco. Non la raccontano facilmente, perché è questa storia che fa scatenare la collera di Janaina. Fu per caso che Iemanjá ebbe da Aganju, dio della terraferma, un figlio, Orunga, che divenne dio dell’aria, di tutto quello che sta tra la terra e il cielo. Orunga girò per queste terre, visse in queste arie, ma il suo pensiero non si allontanava dall’immagine della madre, la bella regina delle acque. Lei era la più bella di tutte e tutti i suoi desideri erano rivolti a lei. E un giorno non resistette, la violentò. Iemanjá fuggì e nella fuga i suoi seni si ruppero e così si formarono le acque e anche questa Bahia di Tutti i Santi.
[…]Così Iemanjá è madre e sposa. Ama gli uomini del mare come madre finché vivono e soffrono. Ma il giorno in cui muoiono è come se fossero suo figlio Orunga, pieno di desiderio, che cerca il suo corpo.

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