Informazione e pensiero critico

Miss Italia 2015. Donne e guerra. Sfottò dei social. Indignazione del mondo benpensante.
Pochi flash per delineare una storia arcinota.

Le goliardate da Facebook strappano un sorriso per la loro genialità, ma chi si indigna e chi è stato a guardare lo sprofondare dell’offerta culturale italiana (o l’ha spinta giù dal burrone) sono spesso le stesse persone.
Sorvolando sul fatto che l’industria libraria è concentrata nelle mani di pochi intimi, non fa  notizia il 18% di abbandono scolastico – il 25% in alcune zone del sud – contro il 12,6% della media europea, o l’analfabetismo funzionale di nuovo in ripresa.

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Fare un giro sul blog di Lorella Zanardo o leggere i pezzi di Tullio de Mauro, tra gli altri, aiuta a comprendere l’impatto spiccio di questi fenomeni astratti sul contesto sociale, sulle aspettative di futuro e sulla modellazione dei piani di riferimento valoriale. In particolare, sembra che a soffrire per tali circoli viziosi sia la lingua scritta. C’è un legame tra padronanza della scrittura, filosofia e pensiero critico che vale la pena (ri)portare alla luce.

La scrittura alfabetica “moderna” nasce sulle navi, in un non luogo di scambio e confine: sono i mercanti di Eubea che nell’VIII sec. a.C. prendono in prestito la base alfabetica fenicia e la arricchiscono della notazione delle vocali.

La contaminazione culturale si trasforma in guadagno commerciale e progresso sociale: facendo proprio il patrimonio dei propri partner/avversari di mercato, i Greci diventano padroni del traffico nel Mediterraneo e fondano colonie con leggi scritte, da Marsiglia alla Turchia (alla faccia di chi dice che con la cultura non si mangia). Il carattere fecondo della liminalità ha un’eco anche nella geografia delle prime esperienze filosofiche.

Non stupisce che proprio nelle colonie di Elea, Siracusa, Abdera e Stagira, complice la scrittura alfabetica, nascano anche la filosofia ed il pensiero critico: i pensatori della grecità  (Parmenide, Pitagora, Platone, Democrito, Aristotele) operano per una parte consistente della loro vita nelle colonie, sfruttandone da un lato l’organizzazione solida, grazie alla legislazione scritta, e dall’altro la libertà di sperimentare teorie e modelli di società, grazie alla distanza dalla madrepatria.

Poter fissare per iscritto i pensieri permette di fare filosofia, ovvero di congelare le idee dal loro fluire magmatico, comunicarle nel tempo e nello spazio e sottoporle ad analisi e revisione. A cosa serve oggi, tutto ciò?

Torniamo a bomba sui social e i mezzi di comunicazione: i social hanno rinverdito in ogni utente la tendenza alla comunicazione scritta di sensazioni, idee e posizioni. Ogni giorno inoltre siamo fruitori sia passivi che attivi di notizie, le leggiamo di sfuggita o le maneggiamo, le dimentichiamo o le diffondiamo a tappeto. Siamo tutti scrittori, tutti giornalisti.

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Il carattere bifronte di questo fenomeno è ben sintetizzato dalla dichiarazione del filosofo politico A. de Tocqueville: “Amo la libertà della stampa più in considerazione dei mali che previene che per il bene che essa fa.” La circolazione dell’informazione in tutti i luoghi e a tutti tutela da prevaricazioni e  ottusità, ma non rende impermeabili da meccanismi di alterazione del ragionamento.

Tali meccanismi sono denominati in filosofia della logica “euristiche”, cioè pattern di semplificazione della conoscenza della realtà che, assieme agli stereotipi, modificano inconsciamente il processo di costruzione del pensiero, prima ancora che il panorama etico di un individuo.

Per citarne alcuni esempi, secondo l’euristica della disponibilità, le persone tendono a considerare tanto più probabile un evento quanto più riesce loro facile ricordare fatti dello stesso tipo; inoltre, influenzati dall’euristica della rappresentatività, ci aspettiamo comportamenti che ricalcano stereotipi fortemente radicati; infine l’enfasi e la ripetitività (modello dell’agenda setting) portano il pubblico a considerare alcuni fatti particolarmente importanti e problematici.

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Spesso le euristiche sono associate all’ambito tanto affascinante quanto misconosciuto delle fallacie logiche, di cui il mondo dell’informazione e della pubblicità si serve di continuo.

Il pensiero critico, nato in grembo alla scrittura e di cui è costituita la filosofia nella sua radice, è chiamato ad entrare in gioco per scovare e scardinare questi automatismi del processo ragionativo nelle notizie che “subiamo” quotidianamente. Il suo esercizio è altrettanto necessario, tuttavia, per scoraggiare dalla condivisione selvaggia e priva di analisi delle fonti che noi stessi mettiamo in atto quando ci trasformiamo in giornalisti attivi, a partire da quando semplicemente clicchiamo il pulsante “condividi” sui social.

Una curiosità: inizialmente, il senso di scrittura era “bustrofedico”, ovvero seguiva lo stesso percorso serpentino del bue che ara un campo per la semina. Il potere generativo della scrittura era così sensibilmente avvertito da influenzarne persino le forme esteriori.

Nel momento in cui creiamo o condividiamo cultura scritta, dunque, esercitare il pensiero critico significa seminare non contenuti parziali e virali, bensì notizie attendibili e produttive: non seminare gramigna ma frumento.

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