Omaggio a Vittorio Salerno: Libido (1965), alle origini del giallo italiano

Lo scorso 5 luglio si è spento il regista Vittorio Salerno, fratello del più celebre Enrico Maria Salerno. Se n’è andato in un ingiusto silenzio, ma d’altra parte Vittorio è sempre stato un protagonista “silenzioso”: lontano dalle luci della ribalta, ha dato però un contribuito significativo agli anni d’oro del cinema italiano (’60 e ’70) con quattro film diretti e varie sceneggiature e collaborazioni tecniche.

Pochi film come regista, ma che lasciano il segno (almeno tre dei suoi quattro): Libido, co-diretto con Ernesto Gastaldi, il primo vero thriller italiano, due potentissimi noir d’impegno civile – No! Il caso è felicemente risolto e Fango bollente – oltre a Notturno con grida, ancora co-diretto con Gastaldi, tardo ma interessante tentativo di rinverdire i fasti del thriller. Libido (1965), diretto con lo pseudonimo collettivo di Julian Berry Storff, non solo è un gioiello di estetica e narrazione, ma riveste anche un’importanza capitale nella storia del cinema italiano: insieme a Sei donne per l’assassino (1964) di Mario Bava, codifica una delle strutture fondamentali del giallo/thriller all’italiana, un genere che sarà ripreso e sviluppato negli anni Settanta.

libido

I due registi sono anche gli sceneggiatori del film, sulla base di un soggetto scritto da Mara Maryl (alias Mara Chianetta, moglie di Gastaldi): il copione, come dichiarato da Vittorio Salerno, è ispirato da una felice combinazione fra I diabolici di Clouzot e Psycho di Hitchcock.

Christian (Giancarlo Giannini), che ha subito un forte trauma infantile vedendo il padre uccidere una donna, ritorna alla villa di famiglia insieme alla moglie Helene (Dominique Boschero), al tutore Paul (Alan Collins) e alla sua consorte Brigitte (Mara Maryl). Christian, ossessionato dal ricordo del padre e dalla paura di diventare un sadico assassino come lui, inizia ad essere perseguitato dal suo fantasma: il tutto si rivela essere però una congiura ordita per impossessarsi dell’eredità.

Prima ancora che dal punto di vista narrativo, Libido è degno di nota per il suo stile elegante e raffinato: girato (quasi tutto in interni) in un bellissimo bianco e nero e accompagnato dalle musiche di Carlo Rustichelli, restituisce un’atmosfera suggestiva e inquietante.

Salerno e Gastaldi sono alla loro prima esperienza come registi, ma dimostrano di saperci fare, con una narrazione solida e un gusto particolare per la costruzione delle inquadrature: alcune sono decisamente creative, come la soggettiva della misteriosa presenza che si muove fra i corridoi della villa (prima di Dario Argento), il volo di Alan Collins dalla scogliera, il volto allucinato della Boschero che si finge morta, Mara Maryl che si agita legata al letto nella “stanza degli specchi” (una stanza le cui pareti sono costituite unicamente da specchi che moltiplicano l’immagine di chi vi sta dentro, quasi una metafora della personalità molteplice di ogni personaggio).

Particolarmente azzeccata l’ambientazione, con questa immensa e tetra dimora a strapiombo sul mare (tipica del genere gotico, fra ampie stanze, corridoi e passaggi segreti), così come il cast. Giancarlo Giannini, destinato a diventare uno dei più grandi attori italiani, nel 1965 muove i primi passi nel cinema, dimostrando già una grande capacità recitativa ed espressiva (indimenticabili, per esempio, i primi piani durante le crisi di follia del suo personaggio).

Bellissime le due attrici, la mora Dominique Boschero (molto celebre all’epoca) e la bionda Mara Maryl, anche se la componente erotica è solo suggerita e mai mostrata (come imponeva la censura in quegli anni). Infine, ma non certo per ordine d’importanza, troviamo il volto perfetto di Alan Collins (alias Luciano Pigozzi), un attore spesso presente nel cinema giallo e horror italiano e che può vantare una certa somiglianza con il celebre Peter Lorre.

Libido è un film di confine: se da un lato si rifà al genere gotico, dall’altro introduce elementi innovativi. Innanzitutto la componente psicanalitica, sottintesa fin dal titolo: frustrazione sessuale, trauma infantile, pulsioni di Eros e Thatatos risentono dell’influenza hitchcockiana di Psycho ma al contempo anticipano, insieme all’inquietante melodia infantile, l’argentiano Profondo rosso e molti altri film.

L’elemento psicanalitico e apparentemente paranormale si risolve poi in un intrigo giallo che la regia è abile a tenere in sospeso fino al termine del film. Questa miscela di “fantasmi e complotti” anticipa quel thriller gotico che sarà particolarmente in auge nel decennio successivo, a partire dal dittico di Emilio P. Miraglia La notte che Evelyn uscì dalla tomba e La dama rossa uccide sette volte. Libido è anche il capostipite di una serie di film gialli “basata sulla forza di un intrigo criminale all’interno di un nucleo ristretto di personaggi legati da rapporti ambigui” (Nocturno Cinema) – per questo si parlava dei Diabolici di Clouzot: uno su tutti, Il dolce corpo di Deborah (1968) di Romolo Guerrieri (scritto, non a caso, ancora dallo specialista Gastaldi), ma anche i lenziani Orgasmo e Paranoia. Se Sei donne per l’assassino pone le basi del filone argentiano incentrato sui serial killer, Libido è l’antesignano di questi altri filoni del giallo nostrano.

La colonna sonora è affidata al celebre Carlo Rustichelli, che in questo caso abbandona (almeno in parte) il suo tipico stile jazz, per adottare un ritmo dai toni lugubri e vibranti, come si addice alla vicenda. Rustichelli, nei momenti più tranquilli del film, inserisce comunque alcuni passaggi musicali dal sapore jazz; e allo spettatore rimane impressa sicuramente, come autentico leit-motiv della vicenda, la melodia infantile del carillon a forma di grillo parlante, con la quale il film inizia (dopo il prologo con la citazione freudiana) e si conclude.

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