I MAGNIFICI 7 (2016) di Antoine Fuqua

“I magnifici 7 cavalcano ancora”, recitava il titolo del quarto capitolo della saga: iniziata nel 1960 con la pietra miliare di John Sturges, dopo tre discreti sequel conosce ora un eccellente remake, l’omonimo I magnifici 7 (2016) di Antoine Fuqua. Regista americano specializzato in kolossal (Attacco al potere, The Equalizer), Fuqua realizza uno fra i migliori western degli ultimi anni – terzo solo ai due giganti di Quentin Tarantino Django unchained e The hateful eight. Il genere western, dagli anni Novanta a oggi, non è stato tra i più fortunati, anzi. Etichettato come genere “del passato”, ormai al tramonto, ha però sfornato anche capolavori come Gli spietati di Clint Eastwood, Pronti a morire di Sam Raimi e il suddetto Django di Tarantino, oltre a buoni titoli come Balla coi lupi, Terra di confine e Quel treno per Yuma (remake dell’omonimo film anni del 1957), solo per citare i più significativi.

magnifici7
Il rifacimento dei Magnifici 7 è quanto di meglio potessimo chiedere oggi a un film western. E ogni snobismo sul concetto di remake va messo da parte: anche I magnifici 7 di Sturges, del resto, è un remake western del film giapponese I sette samurai di Akira Kurosawa; e numerose pellicole celebrate oggi come cult sono – spesso a insaputa dei più – rifacimenti di altre opere meno famose: pensiamo a horror come La mosca e La cosa, ma anche Per un pugno di dollari (anch’esso ripreso da un Kurosawa), o al gigantesco gangster-movie Scarface. E Fuqua assorbe il concetto di remake nel modo migliore possibile, bilanciando il rispetto dell’originale con numerosi elementi innovativi, e garantendo 130 minuti di puro spettacolo, grazie innanzitutto a una regia solida e a un alto budget che hanno consentito la produzione di un kolossal.
La storia ricalca abbastanza fedelmente quella del 1960. Il villaggio di Rose Creek è vessato dal crudele Bartholomew Bogue, proprietario delle miniere circostanti, che vuole sloggiare con la forza contadini e abitanti dalle loro terre per impadronirsene e cercare l’oro. Chi non accetta la misera offerta di vendita viene ucciso dal suo esercito sanguinario di sceriffi e fuorilegge. In seguito a una carneficina, una vedova decide di recarsi altrove per cercare aiuto nello sceriffo federale Sam Chisolm (Denzel Washington). Dopo l’iniziale rifiuto, lo sceriffo accetta, avendo saputo che l’uomo da sconfiggere è un suo vecchio nemico, e recluta un gruppo eterogeneo di pistoleri pronti a tutto: il giocatore d’azzardo Josh Faraday (Chris Pratt), l’ex-soldato sudista Goodnight Robicheaux (Ethan Hawke) col suo amico cinese Billy Rocks, il cacciatore di indiani Jack Horne (Vincent D’Onofrio), il fuorilegge messicano Vasquez e il guerriero indiano Red Harvest. I sette uomini si insediano a Rose Creek, istruiscono i pacifici cittadini all’uso delle armi e insieme si preparano a fronteggiare l’esercito privato di Bogue.
Fuqua riesce a mescolare una singolare alchimia di elementi che fanno de I magnifici 7 un western perfetto, spettacolare come i suoi action-movie ma con uno sguardo al classico. Dove per “classico” si intende non solo la pellicola di Sturges, ma il buon gusto per le inquadrature e la fotografia che si respirava nel periodo più florido del western, fra gli anni Cinquanta e Sessanta. Ritroviamo infatti panorami immensi dal sapore fordiano e leoniano, fotografati magnificamente con un’immagine spesso vintage, fra paesaggi mozzafiato e ricostruzioni certosine: il deserto, le praterie, il villaggio, ma anche i tuguri e i saloon dove vengono reclutati i pistoleri.
E qui veniamo a un altro aspetto decisivo per la riuscita del film, cioè la caratterizzazione dei personaggi, modernizzati rispetto al modello ma con dei tratti ereditati dai predecessori. Siamo nel nuovo millennio, per cui il gruppo diventa multietnico. Il capo, che è ancora uno sceriffo, cambia nome – non più Chris ma Sam – e soprattutto è interpretato per la prima volta da un attore di colore, il bravissimo Denzel Washington (dopo Yul Brinner, George Kennedy e Lee Van Cleef), forse il più spietato e vendicativo della saga. Tanto elegante quanto micidiale, è accompagnato da uno stuolo di pistoleri borderline. Troviamo il cajun (meticcio della Louisiana) Robicheaux, interpretato da un magnifico Ethan Hawke, infallibile cecchino sudista nella Guerra di Secessione ma ora incapace di sparare – fuggirà per poi tornare durante la battaglia decisiva, come faceva Robert Vaughn nel 1960. Chris Pratt è un gambler, un giocatore di professione infallibile anche con la pistola. Vincent D’Onofrio (il celebre “Palla di lardo” in Full Metal Jacket di Stanley Kubrick) è un anziano e corpulento cacciatore di indiani. Tra i “magnifici” troviamo anche un uomo che non ci aspetteremmo, cioè un fuorilegge messicano, oltre a un lanciatore di coltelli cinese e un indiano abile con arco e frecce, ma che all’occorrenza sfoderano senza problemi anche le armi da fuoco, interpretati da attori non famosi ma con i volti giusti e un’ottima caratterizzazione. anche l’ambientazione cambia, spostandosi dalla frontiera messicana all’autentico Far West. Trattasi di un film corale, dove sono i personaggi del titolo a farla da padrone sullo sfondo dei numerosi cittadini e degli sgherri di Bogue; una menzione va anche al crudele capo dei banditi (Peter Sarsgaard) e alla coraggiosa vedova (Haley Bennett) che parte alla ricerca dello sceriffo da assoldare.
Varie situazioni e dialoghi citano I magnifici 7 di Sturges – il pistolero codardo, la presentazione dei personaggi, la preparazione della battaglia, i quattro eroi che muoiono eroicamente – ma Fuqua è abile a bilanciare tradizione e innovazione. Oltre ai personaggi rivoluzionati, Fuqua inserisce il tema della vendetta – lo sceriffo vuole vendicarsi di Bogue, che anni prima sterminò la sua famiglia – concludendosi in un redde rationem nella chiesa che profuma molto di spaghetti-western. Non è escluso infatti che Fuqua abbia visto e assorbito anche stilemi del western italiano: non solo la vendetta intesa in un’accezione leoniana, ma anche il gusto per l’eccesso nei caratteri e nella violenza, oltre a riferimenti come la mitragliatrice (Django) e i minatori macilenti sfruttati dal latifondista (Keoma). Dunque, citazioni dal western classico americano, suggestioni da quello italiano, il tutto centrifugato dallo stile roboante ed esplosivo del regista, che costruisce un’atmosfera epica; le musiche robuste vi contribuiscono, anche se non rimangono particolarmente impresse (questo è forse l’unico punto debole del film), e ricordiamo essenzialmente il celebre brano del film originale di Elmer Bernstein, riproposto alla fine, quando scorrono le immagini dei protagonisti.
“Esplosivo” è proprio la parola giusta, vista la grande quantità e qualità di scene d’azione, fra sparatorie, mitragliate e dinamite. Azione, duelli, uccisioni e dialoghi sono sapientemente spalmate sui 130 minuti. Lo schema narrativo è classico: massacro iniziale, reclutamento dei magnifici sette con relativa presentazione, arrivo in città, prima sparatoria, preparazione della sfida, battaglia epica conclusiva. Il lungo duello con cui i pistoleri si fanno conoscere a Bogue è solo la preparazione a quanto vedremo nell’ultima mezzora, interamente dedicata al titanico scontro a fuoco fra l’esercito di sgherri e il manipolo di eroi composto dai sette con l’aiuto dei cittadini, che imparano così a lottare per la propria libertà. Un susseguirsi di sparatorie senza sosta, tutti contro tutti, pistole, fucili, dinamite, mitragliatrice, ma anche pugnali e frecce, un vortice visivo valorizzato da ottime inquadrature e da un montaggio frenetico.

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