A tu per tu con Stefano Raimondi

Dopo l’articolo sull’artista, ecco quello sul curatore della mostra. Un breve dialogo per conoscere meglio chi si occupa di arte in quel di Bergamo.

Stefano Raimondi inizia con il raccontarmi le sue prime esperienze nel mondo dell’arte. A 15 anni collaborava con alcune Gallerie di Bergamo. Da qui passerà a Torino, “più per cercare donne che per altro”, per ritornare a Bergamo, dove a 21 anni cura personalmente, ed inaugura, la sua prima mostra ottenendo un ottimo successo di pubblico ed una grande soddisfazione personale.

“Se uno vuole fare una cosa la fa, non ci sono impedimenti”.

Dopo la laurea in Marketing e Comunicazione si trasferisce a Londra, alloggia in un ostello dividendo la stanza con altre 16 persone e di notte si guadagna da vivere facendo il PR per i locali. Ma si sa, si incontrano opportunità soltanto vivendo davvero un’esperienza: capita che un giorno, camminando per le vie della città, fuori da un’abitazione vede dei pacchi imballati che contengono dei quadri. Suona al campanello, e si presenta all’artista come un giovane curatore italiano. Parlano, si raccontano, e quando l’artista gli chiede se le sue opere gli piacessero o meno, lui risponde secco: “No!”. E l’artista si illumina: “Tu diventerai qualcuno, hai un grande futuro davanti!”. E si può dire che , a 34 anni, di strada ne ha già percorsa.

Sei curatore presso la GAMeC, il fondatore di Baco e anche di The Blank, network che collega le realtà artistiche di Bergamo. Da dove nasce questa idea?

Ho vissuto a New York per qualche mese, nel 2009, ospite nella casa di Annie Paule Quinsac, che in quel periodo si trovava a Milano. Durante il mio soggiorno ho conosciuto molti artisti, ho girato, ho visitato la città. Nel frattempo mi ero appassionato molto di nanotecnologie, argomento su cui ho scritto anche un libro (Arte&Nanotecnologie. Cronostoria di un delitto). Sono andato in Australia 4 giorni per la presentazione del libro, che ha riscosso un discreto successo anche nel campo scientifico. A Melbourne il relatore della conferenza, durante il suo discorso, continuava a dire una parola: “The Blank”. Io non sapevo cosa significasse, cosi me la ripetevo in testa. A casa ho cercato il significato, e mi sono illuminato: pareti vuote, spazio da riempire.

Tornato a Bergamo, dopo l’esperienza vissuta a New York, volevo fare qualcosa per la mia città: volevo che lo spazio vuoto, che effettivamente Bergamo aveva, fosse in qualche modo riempito. Così ho fondato l’associazione: mi sono presentato nelle varie Gallerie e nei Musei con una prima mappa delle realtà presenti nella città ed ho esposto il progetto, così come stava nascendo. Era il 2010: oggi The Blank è una rete di collegamento e una realtà affermata, utile per tutto ciò che può portare. Ci si viene incontro, ci si sostiene a vicenda, ci si fa consocere: Bergamo conta una ventina di Gallerie d’arte, ma si fa fatica a citarne anche solo due. Sono anche fiero di dire che tanti ragazzi che hanno collaborato con l’associazione hanno poi trovato lavoro presso Gallerie o enti culturali della zona: è una soddisfazione anche questa.

Parliamo di The Blank Residence. È uno dei progetti che propone la tua associazione: vengono ospitati alcuni artisti a cui date a disposizione la vostra sede per un certo periodo. Raccontaci come sta andando l’esperienza ad oggi, chi avete ospitato, e come pensi possa evolversi in futuro?

The Blank Residence ha ospitato, ad oggi, 36 artisti: ora sta ospitando gli allestitori dell’Accademia Carrara. La nostra sede, posta in via Quarenghi, è a disposizione non solo degli artisti, ma anche di chi ci lavora intorno. Se una Galleria allestisce la personale di un artista straniero, perchè spendere soldi per il trasporto delle opere, dall’estero, qui in Italia? Diamo a disposizione una casa-studio, così che l’artista possa lavorare qui, e in questo modo riduciamo le spese per entrambi: si tratta anche di un modo per fare economia, dato che i soldi a disposizione sono sempre pochi. Inoltre, la scelta della zona non è del tutto casuale. Via Quarenghi è la zona più multietnica di Bergamo, e avendo vissuto sia a New York sia a Londra in quartieri multiculturali, ho notato una certa caratteristica comune. Gli artisti vogliono vivere in queste zone, le trovano stimolanti per il proprio lavoro e la propria creatività, sono zone vive.

Parliamo di un’altra iniziativa scaturita da The Blank, Artdate. Puoi spiegarci in breve cos’è? Cosa avete pensato per quest’anno? Ci sarà qualche novità rispetto alle passate edizioni?

Artdate (dal 15 al 17 maggio a Bergamo, ndr) è un vero e proprio appuntamento con l’arte; una serie di eventi che tocca tutta la città, ravvivata da mostre, esposizioni, laboratori e visite guidate nelle case dei collezionisti.

È stato creato anche Art Passport: un vero e proprio passaporto personale per raccogliere, in ogni evento, un timbro disegnato apposta da un artista. Quest’anno gli Artpassport saranno realizzati col contributo del Comune e per la creazione dei timbri è stato chiesto volutamente ad artisti stranieri, per aprire le porte della città anche ad altre realtà.

Un altro tuo progetto è Baco(Base Arte Contemporanea), gruppo di lavoro ideato con Mauro Zanchi. Vuoi parlarci anche di questo progetto? Cosa volete promuovere, quali obiettivi vi siete fissati?

Io non sopporto la parte burocratica di un lavoro. Per me la dimensione umana, la vicinanza, è tutto, e la burocrazia toglie del tutto questo aspetto. Tuttavia un museo, essendo per sua natura un’istituzione, non può non vivere anche di questo. Con Mauro Zanchi abbiamo cercato di creare uno spazio museale e di gestire tutto quanto nel modo più semplice possibile. Baco è uno spazio in cui si organizzano mostre, esposizioni. Molto spesso sono gli artisti stessi che, affascinati dal luogo, vogliono farci una mostra. I soldi non ci sono, fondi non ne abbiamo, ma tante volte conta solo l’entusiasmo e la voglia di fare qualcosa di bello, di coinvolgente.

Sia con The Blank sia con Baco punti sull’arte contemporanea. in una città come Bergamo che vive della sua storia. Non per altro uno dei palazzi comunali più antichi d’Italia si trova proprio in piazza vecchia. Perché questa scelta?

Io mi sento molto legato alla mia città. L’arte è bella perchè non ha luogo ne tempo, è libera, è ovunque.

Ogni città però ha le sue caratteristiche: quello che viene fatto a Londra, o a New York, non può essere trasportato a Bergamo senza essere un minimo riadattato. Bergamo è una città diversa: i suoi abitanti sono diversi, hanno un modo di vedere e di valutare le cose, tutto deve essere adattato al contesto in cui ci si trova.

A Londra e a New York ho visto esposizioni, visitato mostre, consociuto artisti che probabilmente qui non sarebbero capiti. Una delle mostre che ho curato e che ha riscosso maggior successo qui  è stata “The end of the line” di Andrea Mastrovito. Non credo solamente perchè lui è un giovane artista bergamasco, ma anche per la modalità in cui è stata pensata l’esposizione: una lastra di plexiglass sul pavimento che copriva dei disegni di tombe realizzati a frontage, quindi ricalcando lastre tombali vere e proprie, di persone morte in età compresa tra gli 1 e i 100 anni. Era quindi un’opera da calpestare: Andrea ha realizzato tutto senza nessun compenso, solo per il piacere di dare alla città e allo spazio della Gamec un significato diverso, nuovo, anche se solo temporaneo. I visitatori hanno apprezzato, probabilmente c’è stato un passaparola, un via vai di consigli. Se una mostra è brutta non ha successo; ma se è bella, lascia sempre qualcosa. Sia io sia lui pensiamo sia il suo lavoro più riuscito finora.

SALAGIURISTI

Restiamo a Palazzo della Ragione, e parliamo del tuo evento: la prima personale italiana dell’artista americano Cory Arcangel. Diciamolo: l’arte contemporanea spesso non è capita, anzi, la maggior parte delle volte chi visita una mostra esce senza averne volto il senso generale. Tu hai scelto questo artista, che lavora sia con l’arte visuale, sia con la musica, sia con la tecnologia, e il contesto che ospiterà le sue installazioni sarà la Sala dei Giuristi, tutto l’opposto rispetto alle sue opere. Come pensi che reagiranno i visitatori, dato il forte impatto che susciterà? Cosa vorresti che recepissero una volta usciti dalla sala?

Ho conosciuto Cory Arcangel a New York, e ho rivisto una sua eposizione in Danimarca, in una cittadina grande quanto Bergamo. Sono andato la sera, mentre suonava, ed è successo quello che mi aspettavo: sono rimasto solo io ad ascoltarlo. Le poche persone che erano venute a vedere la performance se ne sono andate poco dopo, non l’avevano capito.

Quando ho chiesto a Cory di progettare qualcosa da portare qui in a Palazzo della Ragione, abbiamo pensato subito ad un tappeto: il tappeto è una superficie che elimina totalmente la distanza tra opera e visitatori, lo puoi toccare e lo puoi, anzi lo devi, calpestare.

Inizialmente, l’idea di Cory era quella di stampare su tutta la superficie del tappeto il logo di Subway, la nota catena di fastfood. Non siamo a New York però: ho temuto che, come era successo in Danimarca, la gente non avrebbe capito. Così gli ho chisto di realizzare il tappeto con la stampa dei suoi Photoshop Gradient Demostration: come un arcobaleno dai colori vivaci. Penso che Bergamo, ospitando Cory, abbia un’opportunità unica. Stiamo offrendo la possibilità alla città di vivere uno dei maggiori artisti contemporanei, colui che si può considerare erede di Andy Warhol, perchè, come lui, ha capito alla perfezione la società nella quale viviamo e lavora proprio su questo concetto.

Penso che chi visiterà la mostra avrà un forte impatto iniziale, sia per il contesto sia per l’installazione stessa. In generale, credo agiscano soprattutto due aspetti quando si visita una mostra: l’aspetto conoscitivo e l’aspetto esperienziale. Non importa in fondo se la gente capirà o meno ciò che vede, mi interessa, e mi piacerebbe, che le persone uscissero da qui con un pensiero, uno stimolo, vorrei accendere anche solo un minimo la loro curiosità. Metto sempre passione in quello che faccio e investo tutto me stesso, e anche per questa mostra mi sono occupato dell’allestimento, e credo che questo sia importante, che in qualche modo poi la mia passione si trasmetta ai visitatori. Credo che un curatore che non investe se stesso in tutto ciò che fa, ha già fallito in partenza. Ho sempre lavorato così e vorrei continuare a farlo. Ho conosciuto Bergamo e sto iniziando a capire il gusto di questo pubblico e le sue inclinazioni.

Sono sicuro che questa mostra, che sarà effettivamente qualcosa di totalmente diverso, colpirà i visitatori. Magari farà anche un pò scalpore. Ma è così che deve essere.

Ricordiamo l’appuntamento con ART DATE 15-17 maggio – Bergamo

 

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