Chiara Stoppa, ritratto della salute, intervistata al Festival Domina Domna.

Finalmente, ho incontrato Chiara Stoppa di persona. Vi avevo già parlato del suo libro, ma nel pomeriggio del 26 marzo è stata lei stessa a raccontarlo, alla libreria ibs di Bergamo,  all’interno del festival Domina Domna. Con la sua tipica ironia e forza, ci ha raccontato la sua malattia, e la conseguente nascita dello spettacolo “Il ritratto della salute” e dell’omonimo libro. Con un pizzico di fortuna, nonostante il poco tempo, sono riuscita a farle qualche domanda.

Da dove ti è venuta la forza di realizzare prima uno spettacolo e poi un libro sulla tua storia?

 La malattia è un esperienza talmente intensa che la si vuole raccontare. Durante il mio percorso non ci sono riuscita, così questo è avvenuto dopo. All’inzio il racconto era privato, ne parlavo con amici o amici degli amici, al bar, al parco, fuori da teatro. E più raccontavo la mia storia, più mi rendevo conto che le persone la volevano sentire e si riempivano di speranza. Lo spettacolo nasce quasi per scherzo. “Il ritratto della salute” nasce come spettacolo teatrale, con Mattia Fabris. Io raccontavo e lui scriveva. Poi abbiamo iniziato a raccontarlo ad amici,  a delle cene. Una delle prime persone a cui l’ho letto per intero è Franca Valeri (con la quale Chiara aveva lavorato), nella sua camera d’albergo. Lei mi ha ascoltato per più di un’ora ferma e immobile e alla fine ha detto “Ooh questo si che è teatro!”e mi ha spinto alla messa in scena. Il primo debutto avviene in forma di lettura a Milano.  Poi si fa spettacolo molto semplice, con solo un tavolino sulla scena ed io. È il mio primo monologo e le prime repliche sono molto difficili perché io ero ancora troppo invischiata nella storia, dovevo ancora capire bene come muovermi sul palco. Il libro viene quasi per caso. Proprio mentre stavo pensando di lavorare a qualcos’altro mi ha chiamato la Mondadori, dicendomi che sapeva del mio spettacolo e che voleva farlo diventare un libro. A distanza di quattro anni ho dovuto compiere una revisione del testo teatrale. Mattia Fabris mi ha aiutata a scrivere anche il libro, che è uscito nell’ottobre 2014. Tuttavia non parlerei di forza. È stata una fortuna e una necessità. Per me era necessario raccontare.

foto ritratto della salute 4 serrani

Nel raccontare la tua storia, così personale, quali sono state le maggiori difficoltà tecniche che hai incontrato con i due medium che hai usato?

 È stato difficile capire cosa raccontare, fino a dove raccontare,  quali episodi e quali no. Volevo che la mia storia potesse parlare a tutti, e mi rendevo conto che più raccontavo  degli episodi personali, più riuscivo a parlare a tutti. Per esempio mia madre è un personaggio centrale e avrei voluto fare un “Ritratto della salute 2” solo su di lei; è un personaggio comico e delirante e in tanti mi dicevano “Ma anche mia madre è così! “. È stato difficile selezionare gli episodi, anche perché la mia storia clinica dura tre anni, ma il libro si ferma molto prima. La cosa importante era dire che ognuno può fare una scelta.

Nel libro, all’inizio della tua malattia dici di sentirti chiusa in una campana di vetro, che si rompe con dei clic. Come si è rotta questa tua campana?

 È vero, mi sentivo un animale in via d’estinzione e il mondo non era a contatto con me. Mi sentivo sola. La mia campana di vetro si è rotta nel momento in cui io ho preso una direzione ben precisa, come un vettore, una freccia che ha rotto questa campana. È stato importante incontrare una persona che mi ha dato l’opportunità di cambiare la mia visione, e mi ha fatto capire che io potevo scegliere cosa fare.

A un certo punto, nel libro,  dici di voler fare le cose normali, persino quelle noiose, come fare la fila alla posta. Cosa ti è mancato di più nel periodo della tua malattia?

 Il mio lavoro, perché è un mestiere che si intreccia profondamente con la vita. In realtà,  poi, mi sono avvicinata ad ATIR, che nel secondo periodo della mia malattia, mi ha dato la possibilità di andare in scena, anche se stavo male e vomitavo. Però così,  ho messo in circolo energia nuova. Io prima subivo le cure, poi le decidevo io. Spesso il malato aspetta la guarigione e nel mentre non vive. Nel secondo periodo, facevo le chemio quando potevo, tra uno spettacolo e l’altro. Ho messo davanti la mia passione e il medico ha accettato. Nel primo periodo, quello che io chiamo “del buio e della luce”, perché ero sempre costretta a letto, e ogni tanto aprivo le persiane, mi mancava camminare, scendere per fare una passeggiata.

Come è cambiato il rapporto con il tuo corpo?  Continui ad ascoltarlo di più?

Durante la malattia ero molto concentrata su di me e sul mio corpo; tutti i minuti della mia giornata erano concentrati su quello. Adesso, con la vita quotidiana, è più difficile. Come scrivo nel libro, io non sono più forte, non sono migliore dopo la malattia. Sono sempre io; cerco di ascoltarmi di più,  ma non è facile.

 Chiara dice di non sentirsi saggia, ma che il suo messaggio è semplicissimo: “Ascolta te stesso e fai delle scelte tue”.

Avrei voluto chiederle come sta oggi, ma mi sembrava banale.

                                                                                             Elena Ravasio

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