Durante la guerra dei trent’anni (1618-1648) molti studenti protestanti praghesi (boemi) si rifugiarono a Parigi, città più tollerante in tema di lotte religiose, frequentarono la Sorbona e si distinsero per usi e costumi, presto imitati dagli altri universitari francesi. Questo stile di vita creò i Bohèmiens. che erroneamente venivano associati ai gitani che proprio i francesi credevano provenissero dalla Boemia.
L’associazione tra Bohèmien e gitano, la troviamo per la prima volta nell’opera Francese “Carmen” di Bizet (1895) “l’amour est enfant de Bohème” ( l’amore è uno zingaro)”.
Il vivere come bohèmien non è necessariamente associato a problemi di ristrettezze economiche, altrimenti si parlerebbe solo di poveri o sbandati, ma è una scelta di vita.
Su queste orme in Italia nacque la “scapigliatura”.
Questo movimento s’impose nel corso degli anni sessanta dell’800 come libera traduzione del termine francese bohème, con sentimenti, da parte degli aderenti, di ribellione e disprezzo nei confronti delle convinzioni correnti; da cui nacque il mito della persona che vive di vita dissoluta e irregolare.
Rappresentanti più influenti del movimento italiano furono: Dossi, Boito, Praga per la letteratura; Tranquillo Cremona, Mosè Bianchi per le arti figurative; Ponchielli, Catalani e Puccini per la musica.
Henri Murger scrisse tra il 1847 e il 1849 “Scène del la vie de bohème”. Un’opera che si snoda attorno alla vita di un gruppo di giovani artisti lontani dalle convenzioni e disinteressati dall’opinione che altri potevano avere di loro, l’ideale bohèmien, un modo di vivere alla giornata che Marcello, alla fine dell’opera, giustifica dicendo: “La gioventù ha una stagione sola!”.
Murger, nella prefazione, descrive questo ambiente: “pioggia o polvere, freddo o solleone, nulla arresta questi arditi avventurieri… la loro esistenza è un’opera di genio d’ogni giorno, un problema quotidiano che essi pervengono sempre a risolvere con l’aiuto d’audaci matematiche…
Nella “Bohème”, opera di Giacomo Puccini del 1896 – composta dopo Manon Lescaut del 1893 e prima di Tosca – troviamo il Maestro sempre più attratto da Wagner e dall’uso del “leitmotiv” caro al compositore tedesco, che lo porta ad impegnarsi in uno modo di musicare diverso dai precedenti.
L’opera lirica si divide musicalmente in due parti. La prima, fino alla vigilia di Natale al Quartiere Latino, ci presenta una vita di stenti vissuta alla giornata con un che di spregiudicatezza. Abbiamo un’immagine del quartiere parigino festaiolo, convulso, caotico, dove si mischia un’umanità eterogenea, dal Bohèmien al ricco Alcindoro amante di Musetta, dai ragazzi ai venditori. La seconda parte dell’opera si snoda dalla barriera dell’Enfer, fino al tragico epilogo nella stessa soffitta del primo atto. I motivi della prima parte si risentono come eco lontana di ricordi nella seconda, il leitmotiv wagneriano ripreso da Puccini.
Gherardi in “La poetica realtà della Bohème”, afferma che le poche note iniziali alla barriera dell’Enfer, congedano definitivamente ogni eco spensierata della felicità con il cambiamento tra la scena del quartiere latino, sostenendo che questa non è dovuta alla drammaticità degli eventi, ma al fatto che la vita passa e le cose possono cambiare secondo il caso.
Con la Bohème Puccini trasportò esperienze da lui vissute ai tempi del conservatorio, dove la miseria e le privazioni furono comuni ad artisti dell’epoca (i macchiaioli).
Le composizioni di Puccini si ammirano ancora oggi più come composizioni sinfoniche che come classiche opere liriche, e la Bohème è un’opera da ascoltare, da vivere, con la cognizione di partecipare al dispiegarsi d’esperienze comuni a tutti .