Chimères (2014) di Olivier Beguin, moderna rilettura del vampiro

Intorno al film

Pur essendo svizzero, possiamo annoverare anche Olivier Beguin fra i registi della “nuova scuola” horror francese – che da un po’ di anni si sta rivelando come una fra le più prolifiche del panorama europeo. Da Alexandre Aja a Pascal Laugier, da Xavier Gens alla coppia Bustillo/Maury fino al belga Fabrice Du Weltz, questi giovani e talentuosi registi si sono imposti a livello internazionale con opere di qualità, spesso trasformando il semplice genere horror in film robusti, drammatici e pregni di significato. Beguin, dopo vari cortometraggi (ricordiamo Employé du mois e Dead Bones), debutta nel lungometraggio con l’ottimo Chimères (2014) – girato in francese e presentato in vari festival. Trattasi di una rilettura contemporanea del mito del vampiro, contaminata con mutazioni corporee e mentali dal sapore cronenberghiano. Insieme allo svedese Lasciami entrare, è probabilmente il migliore e più originale film sui vampiri degli ultimi anni.

chimeres

La vicenda

Una coppia di giovani svizzeri, Alexandre (Yannick Rosset) e Livia (Jasna Kohoutova), trascorre una vacanza in Romania: il ragazzo viene investito da un’auto e deve subire una trasfusione di sangue. Una volta tornati a casa, Alex inizia ad avvertire strani malesseri: stanchezza, allergia alla luce, allucinazioni, il che gli impedisce di continuare a svolgere il suo lavoro di fotografo e mette a rischio la tanto attesa esposizione artistica. Dopo aver saputo che in un ospedale rumeno c’è stato uno scandalo legato a del sangue infetto, è convinto di essere diventato un vampiro. La sua ossessione si trasforma pian piano in realtà, quando si accorge di aver bisogno di bere sangue per vivere. La compagna, dopo l’iniziale incredulità, accetta la situazione e per amore aiuta il ragazzo a procurarsi le sue vittime.

Narrazione e stile

Beguin riesce a creare una vicenda singolare e angosciante: avvalendosi di una sceneggiatura robusta e mai banale (scritta dal regista insieme a Colin Vettier), scava nella psicologia dei personaggi e mette in scena una progressiva discesa verso la follia e il disfacimento.

Il vampirismo è de-mitizzato, svuotato da ogni componente romantica e onirica, e i topos della tradizione vengono reinterpretati secondo schemi narrativi squisitamente moderni: la storia è ambientata in Romania, terra di vampiri per eccellenza, ma i castelli e le maledizioni sono sostituiti da un ospedale in cui circola sangue infetto. Rimangono i “sintomi” del vampirismo quali sete di sangue e riluttanza all’aglio e alla luce, mentre la mancanza di riflesso nello specchio lascia il posto a visionarie allucinazioni: lo specchio è lo strumento in cui Alex vede la propria immagine diabolica, con gli occhi bianchi e il volto coperto di sangue. La trasformazione in vampiro, se vogliamo, perde un po’ anche la sua connotazione soprannaturale – comunque presente – diventando più un’ossessione polanskiana e una mutazione mentale e corporea che richiama il miglior Cronenberg (dagli ematomi all’abbrutimento selvaggio). Chimères (un richiamo colto al mostro mitologico Chimera) parte da un’angoscia psicologica, un malessere interiore che man mano si va manifestando fisicamente fino a esplodere in una ferocissima e sanguinolenta ricerca di sangue umano, espressa attraverso ottimi effetti splatter e gore (David Scherer) tutti realizzati artigianalmente (nel senso buono del termine) con un gusto quasi “fulciano” in certi momenti. Chimères è anche una storia d’amore, priva però di quel melenso romanticismo che oggi spesso va di moda pure negli horror: un amore crudo, passionale e disperato, che si esplica sia nella scena di sesso fra i due bravissimi protagonisti che nell’evoluzione del loro rapporto – in cui Livia si trasforma lei stessa in complice e assassina pur di salvare il partner dal suo dolore. Il sangue diventa una vera e propria droga di cui non può fare a meno, come vediamo nella dolorosa scena in cui Alex cade in crisi d’astinenza inutilmente consolato dalla ragazza.

Maturo e originale è anche lo stile. L’ottimo montaggio dello stesso Beguin, innanzitutto, permette al regista di alternare all’inizio il passato e il presente, confondendo volutamente lo spettatore ed evitando così la classica struttura del “prima e dopo”. Raffinato è poi il comparto estetico, con la nitida fotografia di Florian N. Gintenreiter, abile nel ritrarre con toni dark sia la gotica cittadina rumena che le moderne strade svizzere, soprattutto nelle lunghe e frequenti sequenze notturne. Chimères è permeato da un’atmosfera tenebrosa e opprimente, a cui fanno buon gioco le scenografie – vedasi i casermoni underground o le malinconiche visuali sul fiume – e le musiche cupe e ossessive di Lorris Gisana.

Bravissimi i due giovani interpreti, dotati di una forte espressività facciale e corporea che consente loro di immedesimarsi in maniera sanguigna e sofferta nei due complessi personaggi. La madre di Alex è interpretata da Catriona McColl, un nome sicuramente conosciuto agli amanti dell’horror in quanto interprete della “trilogia” di Fulci Paura nella città dei morti viventi, L’aldilà e Quella villa accanto al cimitero – che qui conserva tutto il fascino e carisma degli anni Ottanta. Già presente nel corto Employé du mois, la McColl testimonia probabilmente un legame di Beguin con il cinema italiano – ipotesi confermata dal cameo di Ruggero Deodato nel ruolo di un macellaio, anch’egli utilizzato dal regista in Dead bones.

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