Committenza e popolarità: la carriera di Gian Lorenzo Bernini.

Offeso dalle parole di Apollo che lo schernivano, Eros decise di vendicarsi preparando due frecce: una, acuminata e dalla punta dorata pronta a far innamorare perdutamente chi avrebbe colpito, che scagliò contro Apollo e un'altra, spuntata e di piombo, che scagliò contro la ninfa Dafne. Da quel momento Apollo, perdutamente innamorato, si mise a vagare nel bosco alla ricerca della ninfa, preso da una passione talmente ardente da farlo soffrire. La ninfa, impaurita, terrorizzata e per nulla innamorata fuggiva sempre più velocemente per allontanarsi dal dio che la supplicava invano di fermarsi. Apollo la stava raggiungendo quando la ninfa invocò l'aiuto della madre Terra: allora i suoi capelli e le braccia si sollevarono verso il cielo trasformandosi in rami pieni di foglie; mentre il suo corpo sinuoso si ricoprì di corteccia, i suoi piedi si tramutarono in robuste radici e il suo volto svanì tra le fronde dell'albero di alloro. Apollo, raggiunta la ninfa e tentando di stringerla a sè disse: "Poichè tu non puoi essere mia sposa, sarai almeno l'albero mio: di te sempre, o lauro, saranno ornati i miei capelli, la mia cetra, la mia faretra".

(Le metamorfosi, Ovidio)



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È questo il racconto del mito di Apollo e Dafne, narrato nelle Metamorfosi di Ovidio. Questo, come altri racconti della mitologia greca, ha alimentato per secoli la fantasia di pittori e scultori. Ma esiste un’opera di Apollo e Dafne che fu considerata per un secolo intero una delle opere più belle del tempo: la scultura di Bernini di villa Borghese.

L’opera fu commissionata da Scipione Borghese, cardinale nipote di Papa Paolo V, per la sua Villa Pinciana-Borghese e li si trova tutt’ora, nella stessa stanza per la quale era stata destinata.

Il gruppo marmoreo di Bernini rappresenta il momento più drammatico del racconto, quello in cui Apollo afferra la ninfa che si sta già trasformando in alloro: le gambe si stanno ricoprendo di corteccia e le braccia sollevate si stanno tramutando in rami.

Come in molte opere dell’artista, soprattutto quelle per Borghese, il movimento è bloccato nel suo punto più estremo; il marmo è trattato come una materia malleabile, si trasforma, come la ninfa, in alloro e la superficie si fonde e si confonde. L’idea che traspare è la vanità del desiderio e del possesso, idea che troviamo incisa sul basamento del gruppo marmoreo: “Chi amando insegue le gioie della bellezza che fugge, rempie la mano di fronde e coglie bacche amare”.

Bernini realizza la scultura tra il 1622 e il 1625; e non è eccessivo affermare che l’artista deteneva il primato all’epoca: la sua fama era diffusa e come spesso accade quando si è così talentuosi e ricercati, anche per Lorenzo Bernini il talento non portò solo al successo, ma anche maldicenze da parte di chi traeva solo svantaggio dalla sua bravura, ovvero il resto degli artisti che dovevano confrontarsi per forza con lui.

Bisogna anche ammettere che l’artista non era celebre per la sua modestia: nelle sue biografie disse di aver scolpito Apollo e Dafne a 18 anni, quando in realtà ne aveva tra i 24 e i 26 (comunque precoce, senza dubbio); addirittura avrebbe realizzato il busto di Scipione Borghese a 10 anni, ma ne aveva 34! Persino la madre in una lettera scrisse, preoccupata per l’ego esagerato del figlio: “Egli si crede il padron del mondo!”.

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La biografia dell’artista è comunque interessante, perchè rispetto ad altri lui ebbe sia una lunga carriera, sia una grande fortuna, sia due biografi che scrissero per lui (un amico e lo stesso figlio, Domenico). Oltre a numerosi autoritratti, abbiamo una descrizione dettagliata del suo aspetto fisico: “Si presentava di media statura, ben proporzionato, più magro che grasso e di un temperamento tutto di fuoco.”, conosciamo anche le sue abitudini alimentari (mangiava una sola volta al giorno), sappiamo che amava tanto il suo lavoro da dedicargli la maggior parte del tempo.

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La fortuna di Bernini fu legata sopratutto ai committenti: arrivò a Roma ancora bambino, imparò l’arte dal padre (anch’esso scultore), e per i primi dieci anni della sua attività venne quasi monopolizzato dal cardinale Borghese. Vivere a Roma in quegli anni significava avere un confronto diretto con il più grande artista del secolo precedente, Michelangelo. E infatti la scultura di Michelangelo rappresentò per Bernini un’inesauribile fonte di ispirazione.

Nel 1623 fu eletto papa Maffeo Barberini col nome di Urbano VIII, che gli commissionò una delle opere più celebri e maestose, il baldacchino di bronzo in San Pietro. Nel 1644, alla morte di Urbano VIII, fu nominato Innocenzo X Pamphilj: l’ostilità coi Barberini fece si che la preferenza del papa andò ad altri artisti, lasciando Bernini per qualche tempo in disparte.

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Nonostante questo, tra il 1647 e il 1652 realizzò una delle sue opere più belle: l’estasi di Santa Teresa per la Cappella Cornaro in Santa Maria della Vittoria. Il visitatore guarda al gruppo marmoreo ed entra nella scena come i 4 membri della famiglia che si affacciano dalla balconata, come spettatori che assistono ad una scena teatrale. La santa è rappresentata nel momento più intenso, quando, completamente folgorata dalla luce divina, l’angelo sta per trafiggerle il cuore.

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Con l’elezione di Alessandro VII Chigi la fortuna dello scultore tornò in auge, tanto che venne mandato in Francia alla corte di Luigi XIV, il Re Sole, come il più grande artista italiano del tempo: rimane una testimonianza del viaggio dell’artista ormai sessantenne, il busto del Re conservato a Versailles.

I papi che furono eletti negli ultimi anni della sua carriera erano particolarmente ostili all’opera dell’artista; addirittura Innocenzo XI (1676-1689) decise di far coprire alcune nudità nei sepolcri berniniani in San Pietro. La figura di Bernini rappresentava ormai lo sperpero di denaro dei papi precedenti, e per questo anche la popolazione gli era avversa. L’artista morì il 28 Novembre 1680, e il funerale si celebrò in privato alle due di notte. Fu seppellito in Santa Maria Maggiore nella tomba di famiglia.

Con la fine del Barocco i gusti dei committenti mutarono e le opere di Bernini furono considerate fredde e distanti. Questa incomprensione durò per tutto l’800 (basti pensare che Napoleone non si appropriò di nessuna delle sue opere!).

Solo con Roberto Longhi il barocco, e quindi il Bernini, tornarono ad assumere la giusta importanza e considerazione.

Chi amando insegue le gioie della bellezza che fugge, rempie la mano di fronde e coglie bacche amare

 

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