ETICA E CROISSANTS

Ruwen Ogien, docente di filosofia a Parigi, nel libro L’influenza dell’odore dei croissants caldi sulla bontà umana (ri)propone questo celebre problema:

“Il conducente di un treno lanciato a tutta velocità improvvisamente sviene; sulle rotaie, pochi metri più avanti, lavorano cinque operai che verranno travolti e uccisi. Tuttavia, c’è un binario secondario, sul quale azionando una leva di scambio si potrebbe deviare il treno; ma su quel binario lavora un operaio che, se il tram venisse deviato, verrebbe sicuramente ucciso. Chi aziona la leva di scambio non ha che due scelte: lasciare che il treno prosegua sul binario principale e provocare la morte di cinque operai o deviarlo sul binario secondario, condannando a morte un solo operaio. Che cosa è giusto fare?”

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Ed ora inseriamo una piccola variazione:

“Sei su un ponte sotto cui passano le rotaie del treno, che arriva a tutta velocità perché il conducente è privo di coscienza. Vicino a te, che si sporge dalla ringhiera, c’è un uomo piuttosto corpulento: se gli dessi una leggera spinta cadrebbe di sotto sui binari e bloccherebbe il treno, pur rimettendoci la vita, ma i cinque operai sarebbero salvi. Ora che fai?”

Si apre un ventaglio di possibilità infinite, anche se tutte controverse, perché ogni scelta ha delle conseguenze indesiderate a livello sia pratico che morale (un costo): è per questo che siamo di fronte ad un cosiddetto dilemma etico. Forse si può evitare l’inasprirsi delle conseguenze della situazione semplicemente trovando il modo di avvertire tutti gli operai sui binari, gridando dall’alto o correndo fisicamente ad avvisarli. Una soluzione alternativa può essere quella del suicidio: c’è chi lo propone per dimostrare di essere nobile e di non volersi piegare all’inevitabilità di almeno un omicidio, c’è chi lo praticherebbe soprattutto per evitare di dover scegliere l’impossibile.

In generale, però, le risposte possibili possono essere raggruppate secondo la dicotomia tra la visione utilitaristica e quella finalistica-kantiana: sotto il nome di utilitarismo vanno tutte quelle considerazioni che esortano a “preferire”, tra mille tentennamenti o con una certa freddezza, la morte di una persona invece che cinque oppure il risparmio degli individui più giovani o con più affetti; si rifanno invece alla matrice kantiana dell’etica dei fini quelle posizioni che pongono l’accento sul valore insuperabile e non negoziabile della singola vita umana.

La maggior parte delle persone, nel primo dilemma, ritiene che sia moralmente corretto sacrificare una persona per salvarne cinque. Allora perché in molti, poi, si sentono più frenati ad applicare questa strategia anche nel secondo dilemma, quando si tratta sempre di sacrificare la vita di una persona (il signore grasso) per salvarne cinque?
Si possono chiamare in causa fattori emotivi e biologici: saremmo naturalmente programmati al rifiuto del contatto fisico violento, dunque siamo incapaci di restare freddamente razionali di fronte all’idea di buttar giù con una spinta un uomo per salvarne altri cinque, mentre azionare semplicemente una leva implica un coinvolgimento minore.

Ma, al di là delle singole risposte, guardiamo ora gli approcci di metodo ( la filosofia guarda a contenuti e metodologie di pensiero contemporaneamente).

Se vi domandate perché il conducente ha avuto un malore, volete sapere quanto tempo si ha a disposizione o avete sottolineato l’incongruenza tra i lavori in corso e la presenza dei treni sulla linea, avete una predisposizione a posizionarvi più all’esterno del problema che al suo interno.

Se invece vi concentrate più sul senso di colpa, sull’opportunità del suicidio, sulla ricerca di un compromesso, sul ruolo degli altri co-protagonisti vi collocate in una prospettiva sostanzialmente interna al dilemma: completamente immersi nelle accidentalità e nei vincoli che la situazione presenta, provate a sfruttare gli elementi che avete per costruire una risposta che sia la migliore possibile, a partire da un ventaglio ristretto di tracciati pensabili.

Le due procedure, qualificabili, come “analitica”e “sintetica”, hanno entrambe vantaggi e svantaggi: pensare analiticamente ad un problema può rendere miopi nei confronti delle conseguenze a lungo termine, ma al contempo saper risolvere brillantemente un dilemma concreto contando su un raggio d’azione limitato è sinonimo di un alto sviluppo del pensiero creativo; d’altro canto, la propensione a riunire sinteticamente gli elementi in una panoramica riassuntiva aiuta a cogliere e sciogliere il nodo problematico con successo, ma la presa di distanza necessaria a tale operazione esclude la possibilità di tenere in debita considerazione le ricadute individuali e richiede una certa abilità a separare la componente razionale/strategica da quella emotiva/spontanea, quando si è direttamente coinvolti.

Più che una ricetta definitiva,la filosofia promuove la presa di coscienza di operare costantemente all’interno di un paradigma: non si tratta di schierarsi ciecamente da una parte o dall’altra, ma di affinare l’abilità nell’interpretare le linee di forza del paradigma in cui si trova e favorire una flessibilità di pensiero nello spaziare dall’uno all’altro modello in modo consapevole, critico e coerente con il proprio contesto.

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Ma…i CROISSANTS?!?

Ah sì,ecco: l’autore del libro citato in apertura ha dimostrato in uno studio come il profumo dei croissants appena sfornati che aleggia per la strada renda i passanti più inclini a fare una”buona azione”.

Come a dire che, a volte, decidono la razionalità e le strategie ponderate, a volte … il naso e la pancia.

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