I PROTAGONISTI: WOLFANGO SOLDATI

Ci sono attori che, pur non godendo della stessa fama di altri colleghi più illustri, hanno dato un contributo essenziale al cinema – quello italiano, nello specifico. Talvolta comprimari, talvolta caratteristi, hanno calcato le scene entrando e uscendo in punta di piedi, senza clamore e senza quella fama e quei riconoscimenti che avrebbero meritato. Un nome su tutti, Wolfango Soldati, figlio del celebre scrittore e regista Mario Soldati: un volto e una recitazione che si sono impressi nella mente di chi scrive a partire dalla sua impagabile interpretazione in Goodbye & Amen (1977) di Damiano Damiani, ma anche ammirandolo nei film western e polizieschi di Enzo G. Castellari e nelle opere più “outsider” e autoriali di Massimo Pirri e Francesco Barilli.

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Wolfango Soldati non è un semplice caratterista, ma un vero attore che ha sempre lasciato il segno ovunque sia apparso. Volto giusto, marcato e squisitamente cinematografico, espressività naturale, capacità di immedesimarsi alla perfezione nella parte e nei dialoghi, ha dato vita a personaggi mai banali, sempre complessi: a volte “cattivi” tout-court, altre volte ambigui, ma sempre con la pregnanza e l’intensità che contraddistinguono i grandi attori.

Da tempo mi ero prefisso l’obiettivo di contattarlo, riuscendoci finalmente nel dicembre 2014 grazie all’interecessione dell’Associazione Mario Soldati. Con l’emozione di un bambino che conosce uno dei suoi miti, mi sono così trovato al telefono con lui, e via mail è stato gentile nel concedermi una breve ma significativa intervista sui punti più importanti della sua carriera cinematografica. A tutt’ora inedita, eccola pubblicata per la prima volta.

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27 dicembre 2014, Wolfango Soldati.

1. A quale età e in che modo è avvenuto il suo esordio nel mondo dello spettacolo? Suo padre Mario Soldati è stato determinante in questo?
Mio papà è stato uno sceneggiatore e regista molto prolifico, a circa sei anni gironzolavo sul set dei suoi film sui pirati: I tre corsari e Jolanda, la figlia del corsaro nero. Il cinema, come la cucina, è una scoperta dell’infanzia.

2. Prima ancora che attore, lei è stato operatore di macchina mi risulta: può parlarmi un po’ dell’attività che ha svolto in quegli anni e a quali film ha lavorato?
La mia prima professione è stata quella di fotografo. Sono stato allievo di Jack Casale. Ho lasciato Milano per Roma nella prima metà degli anni Settanta, il passaggio dalla fotocamera alla cinepresa è avvenuto in modo naturale. Sono stato, per ricordare alcuni dei lavori memorabili a cui ho preso parte, assistente operatore con Giuseppe Rotunno nel Casanova di Felliini, e a fianco di Armando Nannuzzi in Gesù di Nazareth di Zeffirelli. Il brivido di essere davanti alla macchina da presa l’ho vissuto negli anni della fotografia: ero andato a scattare foto sul set di un film di Elio Petri con Franco Nero e Vanessa Redgrave (Un tranquillo posto di campagna, ndr), ed Elio mi chiese di recitare in un piccolo ruolo. La stessa scena si ripeté durante il Casanova: Fellini mi chiese di interpretare un piccolo ruolo. Ma in quella occasione Rotunno mi persuase, con argomenti decisivi, che sarebbe stato meglio non accettare.

3. Lei nel cinema è però conosciuto soprattutto come attore. Ha recitato in una decina di film circa, ma è riuscito a imprimere sempre un’impronta particolare ai suoi personaggi dando loro uno spessore da co-protagonisti. Se non sbaglio, il suo debutto davanti alla macchina da presa è avvenuto con Keoma nel 1976. In che modo è iniziata questa sua nuova avventura?
Ripeto, il cinema come la cucina sono presenti nella mia vita fin dall’infanzia, e da adolescente sono stato un vorace frequentatore di sale cinematografiche. La mia avventura come attore però è iniziata con Keoma. Essere un attore in un film di Enzo (G. Castellari, ndr) che già conoscevo da ragazzo, è stata una delle cose più divertenti della mia vita. Per me Enzo è il cinema.

4. Dopo Keoma, torna a lavorare con Castellari ne La via della droga e poi in Sensività, in ruoli molto diversi fra loro.
Dopo l’esperienza in Keoma la mia conoscenza dell’inglese ha persuaso Enzo ad affidarmi ruoli più importanti.

5. Invece di Pensione paura di Barilli cosa mi racconta?
Francesco Barilli era un mio amico di sempre, le mie interpretazioni precedenti sono risultate convincenti e lo hanno persuaso a scegliermi per la parte di “cattivo” in Pensione paura.

6. Veniamo a quel capolavoro che è Goodbye & Amen, in assoluto uno dei miei film preferiti e oggettivamente una pellicola eccezionale. Qui, lei ci regala un’interpretazione immensa, forse la migliore della sua carriera: il doppiogiochista Harry Lambert, protagonista di duetti memorabili con Tony Musante e con gli altri attori, nonché di sequenze spettacolari. Mi parla un po’ della lavorazione del film? E com’è stato il rapporto col maestro Damiani e il resto del cast?
Il ruolo di Lambert in Goodbye & Amen è stato quello più difficile in assoluto. Damiani aveva un carattere insopportabile, “violento”: mi è costato un gran fatica. Non ho mai amato quel ruolo e non perdono a Damiani di avermi scelto per il ruolo di un personaggio ambiguo. Con Musante, grande professionista, mi sono trovato molto bene.

7. Un altro ruolo particolare e decisamente “cattivo” è il capo dei vigilantes ne L’immoralità di Massimo Pirri. Cosa ricorda di questa esperienza e di questo geniale regista?
Con Pirri ne L’immoralità è stato un enorme divertimento. Ogni scena era una citazione cinematografiche.

8. Lei ha lavorato anche con Joe D’Amato nel buon action-movie Duri a morire, dove interpreta uno strano mercenario che porta un coniglio sempre con sé. Ha ricordi piacevoli di questo simpatico film?
È stata una piacevole avventura: un mese a Santo Domingo in compagnia della simpatia e del cinismo di Aristide (Massaccesi, alias Joe D’Amato, ndr) è indimenticabile.

9. Nella sua carriera, lei ha interpretato quasi sempre ruoli da cattivo o comunque da personaggio ambiguo. Perché i registi la preferivano in questi ruoli?
Evidentemente ero adatto per i ruoli da “cattivo”.

10. A quale film o regista si sente più legato e a quale meno?
Enzo G. Castellari è il mio regista preferito, dunque sono particolarmente legato ai suoi film. Ricordo con simpatia anche Duri a morire. Goodbye & Amen è invece il film a cui sono meno legato.

11. Come le dicevo, lei è riuscito a imprimere ai suoi personaggi un carattere sempre particolare: la mia impressione è che, da ottimo attore, oltre alle indicazioni del copione e dei registi ci mettesse molto del suo, cioè in un certo senso creasse un po’ anche lei i personaggi. Conferma questa mia idea?
Senz’altro la mia conoscenza da “amateur” del cinema mi ha aiutato. È stato tutto molto naturale per me.

12. Purtroppo, da un certo momento in poi lei ha abbandonato la carriera cinematografica. Se non ci sono motivi troppo delicati o personali, può spiegarmi il perché di questa scelta?
Concludo con un motto popolare: non si può servire il diavolo e l’acqua santa.

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Per approfondire la conoscenza della vita e della carriera di Wolfango Soldati, si consigliano le ottime interviste realizzate da Nocturno Cinema per le edizioni Cinekult (CG Home Video) dei Dvd di Keoma e Goodbye & Amen. Soldati collabora inoltre con Nocturno scrivendo mensilmente i suoi ricordi sulla rubrica Punto zero.

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