Le avventure di Gordom Pym – Edgar Allan Poe

Il mare è una grande strada che tocca tutti i continenti. Ogni sponda è bagnata ogni giorno da acque sempre diverse, da onde che hanno toccato altre terre e ad esse giungono odori che arrivano con il vento da altri boschi, da altre foreste.Il mare è l’elemento perfettamente integrato con la parola libertà. Non ha confini, non ha luoghi definibili, non ha proprietari.
Noi ci sforziamo di dargli un nome ma ci dimentichiamo che quello che vediamo cambia di secondo in secondo e che quello che abbiamo giusto nominato adesso si è già spostato. Il mare è una grande massa in movimento. Il mare è una grande massa liberamente in movimento, il mare è libero. Stare in lui, su di lui, senza l’idea di essere con lui è sbagliato. Il mare ti accompagna dove vuoi, ti può far nuotare, sentire bene e renderti felice, ma può anche essere molto violento, molto crudele. Il mare è questo, un elemento a cui non si potrà mai togliere la libertà.
Lo sapeva perfettamente Edgar Allan Poe che nelle avventure di Gordon Pym racconta che..

il ventidue, mentre ce ne stavamo seduti stretti l’uno contro l’altro, tristemente rimuginando la nostra miserevole condizione, fui colto da un’idea improvvisa che subito m’ispirò una viva luce di speranza. Ricordai dunque che quando che quando eravamo stati costretti ad abbattere il trinchetto Peters (durante la tempesta che ci aveva fatto naufragare nda) mi aveva passato una scure pregandomi di metterla se possibile in luogo riparato e che pochi minuti prima di essere investiti dall’ultimo maroso, Io avevo portato la scure in questione nel castello di prua, posandola in una cuccetta a sinistra, ed ora m’era venuto in mente che se fossimo riusciti a riprenderla avremmo potuto aprirci un varco nel ponte, sopra la cambusa, dove avremmo sicuramente trovato qualche provvista. Non appena ebbi comunicato questa mia idea ai compagni li intesi proferire, sia pur debolmente, un’esclamazione di gioia, quindi ci precipitammo tutti insieme verso il castello di prua. Qui però era più difficile discendere che non nel quadrato, essendo l’apertura molto più piccola.
[…] Non esitai ad ogni modo a tentare la discesa; legatomi come al solito a una corda intorno alla vita mi tuffai coraggiosamente, a piedi in avanti, e mi diressi rapidamente alla cuccetta ove senza quasi dover cercare trovai subito la scure che fu accolta dalle più entusiastiche grida di giubilo, mentre la facilità con cui era stata ritrovata fu ritenuto un presagio fausto di salvezza. Poco dopo attaccavamo il ponte con tutta l’energia delle nostre speranze rinate; ci davamo il cambio Peters ed io. […] lavorammo tutta la notte alla luce della luna, portando finalmente a termine la nostra impresa all’alba del ventritré. Questa volta fu Peters a offrirsi di scendere; fatti i soliti preparativi si calò, risalendo poco dopo con una piccola giara che con nostra somma gioia ritrovammo piena di olive. Dopo essercele spartite e averle divorate avidamente lo calammo di nuovo giù. Questa volta il risultato superò ogni nostra speranza perché risalì quasi immediatamente con un grosso prosciutto e una bottiglia di madera. […] Purtroppo il prosciutto, tranne il pezzetto vicino all’osso, era immangiabile, essendosi guastato al contatto con l’acqua di mare. La parte sana ce la dividemmo un pezzo per uno, (po ci) sdraiammo per riposarci un poco delle nostre fatiche che in verità erano state durissime. Verso mezzogiorno, sentendoci più freschi e alquanto rinvigoriti, riprendemmo la caccia alle provviste. Peters ed io ci calavamo a turno, ora con minore ora con maggiore successo, questo sino al tramonto. Avemmo la fortuna di portar su complessivamente altre quattro giare di olive, un secondo prosciutto, una damigiana contenente circa dodici litri di ottimo vino madera, e ciò che fece più piacere di ogni altra cosa una minuscola tartaruga delle Galapagos […] Proseguendo nel mio racconto avrò più volte l’occasione di nominare questa particolare specie di tartaruga che si trova soprattutto nel gruppo di isolette dette Galapagos le quali derivano il loro nome da questo animale, ché in spagnolo la parola galapago significa appunto tartaruga d’acqua dolce. […] Può vivere senza ingerire cibo di sorta per un periodo di tempo incredibilmente lungo.
[…] Questi straordinari animali hanno in comune con il dromedario, o cammello del deserto, una curiosa peculiarità: dispongono di una costante provvista d’acqua che conservano dentro una sacca situata alla radice del collo.
[…] La tartaruga che avemmo la fortuna di portar su dalla cambusa non era particolarmente grossa, pesando soltanto, così ad occhio, tra i trenta e i quaranta chili. Era una femmina di ottime condizioni, grassissima e con la sacca contenente più di un litro di acqua dolce e limpidissima che per noi fu un vero tesoro.
[…] Durante gli ultimi giorni il tempo era asciutto e sereno, le coperte che avevamo tolte e le nostre vesti si erano asciugate, così passammo una notte di relativo benessere. Nel timore di perdere i viveri nel corso della notte per un colpo di vento che lì avrebbe spazzati dal ponte, legammo tutto con una cima. In quanto alla testuggine, che desideravamo conservare viva il più a lungo possibile, la rivoltammo sulla schiena e la legammo accuratamente allo stesso modo delle altre provviste.

(Le avventure di Gordon Pym 1837/’38 – Edgar Allan Poe)

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