Lei si chiama Monica, lei fa la fotografa

Quando abbiamo iniziato a scrivere di fotografia lo abbiamo fatto raccontando l’esperienza di Dorothea Lange, che fu una figura chiave del suo tempo. La fotografia però è fatta anche da altre donne, che anche se non sono delle celebrità hanno comunque qualcosa da raccontare. Così oggi abbiamo deciso di occuparci di una ragazza di Bergamo, che sta per diventare madre e che ha fatto della fotografia una passione ma anche un lavoro. Oggi vogliamo parlarvi di Monica.

 Quando hai scoperto la passione per la fotografia?

Monica Roversi

MONICA ROVERSI

La passione per la fotografia c’è sempre stata, ma è diventata parte del mio lavoro solo qualche anno fa.
Dalla fine del liceo – ho frequentato il liceo artistico a Milano – ho iniziato a collaborare con uno studio artistico per il quale mi occupavo di decorazioni, dipinti su commissione, illustrazioni, piccoli trompe l’oeil, creazione artigianale di album per fotografie, cornici, agende, diari, etc…
Ad un certo punto però iniziai a non trovare più così appagante quello che facevo, sentii il bisogno di fare qualcosa che fosse mio e quindi decisi di mettere in atto il mio primo progetto sul corpo umano che dai tempi del liceo mi girava per la testa.
Le prime prove di studio sul corpo umano risalgono ai tempi della scuola e grazie al mio disordine mi restano forse un paio di tavole di prova di studi anatomici, i primi abbozzi di quello che poi sarebbe stato il mio lavoro ultimo riguardo a questo progetto.
Verso il 2008 decisi che dovevo dare una svolta al mio personale blocco dell’artista e presi in mano l’unico attrezzo fotografico in mio possesso: una scatolina azzurra di metallo decisamente poco all’avanguardia e caduta fin troppe volte in terra. Resse molto bene il colpo e nel 2009 venne alla luce “Guarda. Ti sto parlando”. Prima mostra. Prima sperimentazione fotografica. Riuscita. Si trattava di corpi femminili, ma non ero soddisfatta. A questo punto dovevo cimentarmi in qualcosa che rendesse il tutto più vicino all’idea che mi vagava per la testa. Il corpo femminile era sempre stato al centro dei miei studi e dei miei dipinti, così mi chiesi se sarei stata in grado di rivalutare artisticamente anche quello maschile che avevo sempre rifiutato in campo artistico – uso il nudo soprattutto come soggetto ispiratore ed il pene non l’ho mai trovato armonioso artisticamente parlando -.
Qui nacque “Il Nudo Nascosto” nel 2010. Seconda mostra. Seconda sperimentazione fotografica. Riuscita. Ero sempre più vicina a realizzare l’opera definitiva di questo progetto personale. La macchina fotografica divenne ufficialmente il mio pennello, la mia matita, la mia china…il mio nuovo strumento per dipingere.
Finalmente dopo lunghi mesi di lavorazione potevo portare in scena “Sin Titulo (o mio-fabula) la naturale ed inevitabile evoluzione di uno studio anatomico”. E siamo così al 2011. Ci sono volute tre mostre per giungere al prodotto finale e ne sono lieta. Un lungo lavoro molto stimolante. Quello che faccio è dipingere le foto, un’alternativa grafica al semplice scatto. La conservazione della memoria, la messa a nudo dell’anima…così è come lavoro. Non modifico le mie foto, non correggo gli inestetismi, lascio che la vita che attraversa le persone si rifletta senza alterazioni, esalto ed enfatizzo quello che sta dietro alla carne ed alle ossa dei miei soggetti, racconto delle storie , lascio che la personale bellezza di ogni individuo e la particolare emotività al momento dello scatto restino tali – se poi qualcuno rivedendosi non si troverà “bello” vuol dire che non lo era dentro in quel momento, di questo non posso assumermene la responsabilità (sorride, ndr) -.

“FIRE” – GUARDA. TI STO PARLANDO (2009)

  

Sacrifici/emozioni per la prima macchina fotografica

I sacrifici per il cambio della macchina fotografica non sono stati molti inizialmente. Non avevo molte finanze a disposizione e quindi scelsi tra prodotti abbastanza economici e con parte del guadagno derivato dalla prima mostra presi un attrezzo fotografico meno antiquato della scatoletta azzurra che nel frattempo era deceduta.
Ora mi servirebbe una macchina fotografica di livello medio alto ma qui mi sa che di sacrifici ce ne saranno parecchi ed al momento mi tengo stretta quella che ho finché non mi abbandonerà anche lei.

 Essere donna in questo campo è uno svantaggio?

Più che essere donna in questo campo lo svantaggio maggiore sono i fondi a disposizione. Questo in base alla mia personale esperienza.
La professionalità è quello che conta. Come ho detto prima non affronto la fotografia in senso canonico – la perfezione delle luci, dello sfondo etc… – ho una cura differente per quei “particolari”. Uso la fotografia in modo “informale” mettiamola così, ed anche questo di sicuro influisce sulla fruibilità del lavoro. Non ho trovato paletti al mio lavoro in quanto donna, ma in quanto squattrinata sì. Per esporre e far conoscere il proprio operato ci vogliono soldi. In alcuni luoghi per esporre mi han chiesto fino a 1000 euro – e meno male che promuovevano nuovi talenti emergenti… -.
Fare una mostra è un investimento a fondo perso, gli introiti non sono mai sicuri. E’ brutto da dire perché sembra di essere veniali ma se non si hanno dei fondi o qualcuno che finanzi queste cose è difficile far girare la propria arte al di fuori delle proprie mura e riuscire a campare del proprio lavoro e del proprio talento sarebbe molto bello.
Ci sono posti dove si può esporre liberamente ma sono molto pochi ed è essenziale anche una buona pubblicizzazione, qualcuno che recensisca il lavoro. Insomma non è facile se non si hanno alla base degli agganci e se si parte da zero per i contatti. Farsi conoscere diventa di conseguenza un duro lavoro.
Poi per esercitare la professione in campo fotografico nel modo più serio possibile è necessario anche avere uno spazio o uno studio a disposizione, non si possono sempre utilizzare gli scantinati degli amici. Per un progetto personale possono andar bene, ma per offrire un servizio a terzi è poco professionale. Ed anche qui ci vogliono fondi. Così come per le attrezzature.
Non è un campo facile quello dell’arte e fare l’artista non ha mai remunerato molto. Ci vuole, oltre al saper fare, anche continuità nel lavoro. Bisogna avere tempo a disposizione. Io molte volte di tempo non ne ho avuto – perché è ovvio che in qualche modo mi devo pur e mantenere – e questo ha tolto spazio a quello che mi piacerebbe fosse la mia professione. Ma di sicuro non mollo il colpo. Quello che faccio è un buon prodotto, quindi ne varrà sempre la pena.

Parlaci dei tuoi lavori, dei tuoi progetti futuri…

I miei lavori ed i miei contatti sono visibili a questi link:
http://acinom3004.wix.com/monicaroversifotgrafie
http://emmerre.daportfolio.com/
http://monicx.deviantart.com/

“SOGNANDO” – IL NUDO NASCOSTO (2010)

Per i progetti futuri – oltre a partorire mia figlia che probabilmente sarà la mia nuova musa – c’è il riuscire a far vedere e conoscere la mia ultima mostra, Sin Titulo, che a causa di eventi sfortunati lavorativi è rimasta accantonata ma che ritengo meriti una visibilità maggiore.
In progetto c’è anche il riuscire a rendere il mio lavoro sempre più autonomo ed indipendente in un modo o nell’altro. Continuare in questo campo insomma.
I riscontri avuti fin ora sono sempre stati positivi – ovviamente non sono mancate le critiche – ma non sono ancora stati risolutivi. Quindi di lavoro ce n’è molto da fare.
Si sta anche delineando da qualche tempo la trama per un prossimo lavoro personale sulla sessualità, le questioni di genere, il sesso nella vita quotidiana, l’approccio col proprio corpo e quello altrui, la sua mercificazione e la sua santità, ma è in fase embrionale. Man mano si svilupperà e solo alla fine scoprirò la sua forma finale.

Ti faccio una domanda (forse un po’ ovvia e scontata) riguardante due aspetti che ti appartengono: indole artistica e senso materno, cosa ci puoi dire?

Senso materno ed indole artistica…in primo luogo per entrambi i casi o ce l’hai o non è che ti viene. Non sono cose che si studiano, una persona con varie lauree o diplomi nel campo dell’arte non per forza ha in sé l’indole artistica. È indole, non si studia e non si compra. Idem per il senso materno, se ce l’hai ce l’hai ma se non ce l’hai non lo avrai mai, nemmeno dopo 10 figli. Questo non vuol dire essere pessime madri, vuol solo dire non avere senso materno. Entrambi, secondo me, hanno in comune costanza, dedizione, frustrazione, improvvisazione, genio, chi fa da sé fa per tre, compromessi, rinunce, grandi gioie, grandi dolori, horror vacui, meraviglia e stupore, fermezza e determinazione, spalle larghe, l’onnipotenza nella creazione della propria creatura – ok in un caso c’è bisogno anche della controparte, ma il lavoro sporco lo fanno le donne -, ottimismo per forza e potrei continuare per ore. In ogni caso so già che sarò il miglior padre che sia mai esistito (sorride, ndr).

“PESCI ROSSI” – SIN TITULO(O MIO-FABULA) LA NATURALE ED INEVITABILE EVOLUZIONE DI UNO STUDIO ANATOMICO (2011)

 

di Valentina Biffi

 

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