I classici: Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde di Robert Louis Stevenson

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Di Robert Louis Stevenson lessi da adolescente “La freccia nera” e venni conquistato dalla trama e dai colpi di scena.

In quel periodo si leggono tanti libri, scoprendo il proprio gusto letterario, e si interpretano liberamente autori complessi come Baudleaire, Wilde, Melville, Hesse, Poe, Kipling, Bukowski, Kerouac, Hemingway, o si affrontano libri monumentali, a volte più per numero di pagine che per qualità, come “It” o “Il signore degli anelli”. Ma quello che conta veramente è che si affina il proprio genere preferito. Chi segue i noir o i gialli, chi la letteratura d’autore, chi addirittura non si lascia sfuggire nessun nobel. Si legge, si divora ma purtroppo a volte non si capisce del tutto il significato di ogni capitolo, il senso reale della vicenda.

Ho letto il racconto di Stevenson “Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde” per la prima volta poco tempo fa, e devo ammettere di essere contento di aver affrontato ora questa lettura. Prima non avrei potuto apprezzarne le parole godendomele appieno.

drjekyllmrhydeCon una piccola storia questo scrittore rese duratura la riflessione sul nostro essere doppi. Osando un accostamento richiamo Pirandello, scrittore di un secolo nuovo ma contemporaneo di Stevenson, che riprese la riflessione sull’animo umano con il romanzo “Uno, nessuno, centomila” partendo da un presupposto diverso: la percezione di come ci vedono gli altri messa a confronto con la percezione di noi stessi. Entrambi affrontarono la nostra complessità, però lo fecero in modo diverso, il primo da scrittore, pensatore libero e con uno spirito di denuncia, il secondo da scrittore, pensatore libero supportato dalle teorie di psicanalisi e di psicologia di inizio novecento con il desiderio di riflessione.

Il messaggio di Stevenson e del suo breve racconto “Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde“, in cui giocò molto bene sulla produzione di facili paure attraverso i cliché del tempo: la notte, l’uomo deforme e brutale, l’omicidio di una persona per bene, l’onore di un uomo che se offeso può portare anche alla morte precoce, una lettera di confessione e la parola male, ci mette davanti a una doppia visione di noi stessi che ora possiamo portare ben oltre l’eterna lotta tra bene e male.

Se lo avessi letto da giovane avrei detto “Ma non è un racconto dell’orrore!”, però poi avrei riflettuto su quel passaggio in cui l’autore dichiarò apertamente che il desiderio della perversione, della sofferenza altrui, e del suo controllo, fu comunque nella sua testa e che anche lui avrebbe voluto brutalizzare qualcuno. Un mio pensiero probabile, che mi avrebbe fatto dire che Stevenson scrisse la sua confessione.

In realtà non ci fu nessuna confessione ma l’incredibile portata del racconto, raccolta nella denuncia della doppiezza del genere umano, del suo egoismo e del suo costante bisogno di appagamento.

Di come Stevenson affrontò alcune paure umane, e dei cliché inseriti in questo racconto ora ne sorridiamo, ma questo autore ha sicuramente ispirato riflessioni di altri scrittori,  per questo motivo le sue intuizioni lo rendono importante a livello letterario.

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