Riscopriamo Mordi e fuggi (1973) di Dino Risi

Mordi e fuggi (1973) non è tra i film più conosciuti del grande Dino Risi, ma sicuramente è uno dei più riusciti e singolari, una magistrale commedia nera mescolata con il genere noir/poliziesco, un ritratto spietato, cinico e caustico della società e politica italiana di quegli anni. Come diceva il maestro Fernando Di Leo, la commedia è il genere che rivela con maggior precisione i caratteri di un’epoca, e Mordi e fuggi ne è una dimostrazione lampante. La genialità dell’operazione si intuisce già dal cast – quei colpi che distinguono un buon film da un grande film e di cui solo i grandi registi sono capaci – in cui Risi affianca due star così gigantesche ma diametralmente opposte come il nostro Marcello Mastroianni, re del cinema italiano, e l’inglese Oliver Reed, sanguigno interprete di ruoli da “duro” (ricordiamo il poliziesco Revolver e il dramma/horror I diavoli), una strana coppia che funziona a meraviglia.

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Scritto dallo stesso Risi insieme a Ruggero Maccari e Bernardino Zapponi, ha come protagonista l’industriale farmaceutico Giulio Borsi (Mastroianni), che durante una scappatella amorosa con l’amante Danda si imbatte in un trio di rapinatori guidati dal celebre Fabrizio Lener (Reed). I tre anarchici, reduci da un colpo dove è stato ucciso un poliziotto, durante una sosta in autogrill prendono in ostaggio la coppia costringendoli a salire in macchina con loro per coprirne la fuga, e chiedendo un riscatto di cento milioni di lire per il rilascio dei due. Mentre la polizia li insegue insieme a un capannello di giornalisti e curiosi che ne fanno un caso mediatico, la fuga dei cinque prosegue tra varie avventure, compresa la sosta in casa di un anziano e bizzarro ex generale che vive con la sorella.

C’è davvero tanto in Mordi e fuggi, già nell’aspetto narrativo e formale prima ancora che contenutistico. Davvero mirabile come Dino Risi riesca a mescolare i canoni della commedia all’italiana (satira, risate a denti stretti, battute al vetriolo) con elementi noir, un genere che qui non si riduce alla burla o alla parodia: la rapina con un morto, il sequestro a mano armata, il finale sanguinario e tragico, il tutto filtrato con lo sguardo grottesco e satirico tipico di Risi – e del resto, la commedia nostrana dei tempi d’oro è sempre stata ricca di momenti drammatici (pensiamo all’evoluzione di Un borghese piccolo piccolo da satira di costume a crudele film di vendetta).

La struttura da road-movie con i tre banditi e gli ostaggi inseguiti dalla polizia, divenuta in seguito un topos del genere poliziesco, era all’epoca qualcosa di innovativo – nel 1974, ma uscito solo molti anni dopo, Mario Bava ci forniva un magnifico esempio con la pietra miliare Cani arrabbiati, che presenta più di un punto in comune con Mordi e fuggi (in primis, l’idea di girare buona parte del film all’interno di un’auto con la claustrofobica descrizione dei rapporti fra i personaggi).

Ancora di più colpisce la similitudine con il celeberrimo e successivo film americano Quel pomeriggio di un giorno da cani (1975), con Al Pacino rintanato nella banca che ha appena rapinato, soprattutto per la sarabanda mediatica che si scatena attorno al sequestro. Difficile dire se Bava e Sidney Lumet abbiano visto e si siano ispirati all’opera di Risi – dato che gli anni di produzione erano sequenziali, e non sappiamo quando effettivamente siano stati distribuiti i vari film – ma di certo la nostra opera è frutto di un’idea geniale e innovativa.

L’elemento poliziesco e la commedia sono fusi in maniera inestricabile, con una prevalenza della seconda, dando vita a uno spietato ritratto socio-politico dell’Italia nei suoi anni più turbolenti – altri paragoni che vengono in mente sono Vogliamo i colonnelli di Mario Monicelli sui vari tentativi di golpe e Caro papà dello stesso Risi su terrorismo e rapporti familiari. Mordi è fuggi è un po’ un sunto di tutto quanto stava accadendo nel Belpaese: se il fattore politico è predominante, non è secondaria neanche la messa alla berlina dei vizi degli italiani – l’industriale con l’amante, il fidanzato di Danda (Carole André) che non si fa problemi perché crede nell’amore libero, i “parenti serpenti” di Mastroianni che preferirebbero tenersi i soldi e lasciarlo al suo destino.

Particolarmente sviluppato è poi il discorso legato alla lotta politica armata: i tre banditi ci tengono a identificarsi non come rapinatori ma come anarchici comunisti che rapinano e uccidono non per i soldi ma per la causa rivoluzionaria (“Mordi e fuggi” è il bizzarro nome del loro gruppo di appartenenza) – il che innesca una serie di dialoghi per nulla scontati con l’industriale Mastroianni, incarnazione del capitalismo, sulla società contemporanea.

C’è poi quella spiccata satira dei mass-media a cui si accennava in precedenza, attraverso gustosi siparietti come l’auto inseguita da operatori televisivi e reclame pubblicitarie. Mordi e fuggi può contare su una solidissima sceneggiatura diretta da una regia come sempre impeccabile, che costruisce un racconto appassionante ricco di quei momenti grotteschi e graffianti che non possono mancare in questi film: la scena al ristorante con Mastroianni che cerca di rinnegare il suo credo fascistoide per non inimicarsi i sequestratori, i giornalisti che inseguono l’auto coi cinque, l’inseguimento che fa cadere i preti in bicicletta (notiamo anche una certa satira sul clero), le ciniche preoccupazioni di industriali e polizia sulle conseguenze della situazione, e la banda che interrompe un disco con vecchia musica per cantare un inno anarchico (quest’ultimo è solo uno dei numerosi siparietti in casa del generale interpretato da Lionel Stander).

La coppia Mastroianni/Reed giganteggia, rimanendo impressa proprio per la diversità dei due attori che danno vita a duetti memorabili – tanto impaurito e ossequioso il primo quanto granitico e inflessibile il secondo, acclamato dalla gente quasi fosse un novello Robin Hood: uno strano rapporto che sfocerà persino in una sorta di amicizia. Notevoli anche i caratteri a latere, in particolare le due donne – Carole André che diverrà l’amante di Lener, forse perché ritenuto più uomo rispetto a Giulio Borsi, e la mascolina Nicoletta Machiavelli nel ruolo dell’anarchica – senza dimenticare il terzo uomo interpretato dal caratterista Bruno Cirino.

Mordi e fuggi è davvero un film d’altri tempi, lo specchio di un’epoca ma anche di un cinema oggi scomparso: un grande regista, grandi attori e un altrettanto ottimo comparto tecnico, dal direttore della fotografia Luciano Tovoli al compositore della colonna sonora Carlo Rustichelli – autore di melodie malinconiche con il suo consueto stile jazz, alternato a brani musicali tipici di quegli anni.

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