PERICLE IL NERO (2016) di Stefano Mordini

Nella pre-candidatura al prossimo Premio Oscar come miglior film straniero c’era – insieme ad altri italiani – anche quel notevole Pericle il nero (2016) di Stefano Mordini, già presentato al Festival di Cannes. Un’opera che va contestualizzata negli ultimi tre anni, nei quali il cinema noir italiano sta conoscendo una particolare fertilità a livello sia produttivo sia qualitativo, quasi una seconda giovinezza. Dai titanici Suburra e Gomorra – La serie a film che omaggiano gli anni Settanta (Roma criminale, Song’e Napule), fino ai noir “intimisti” dove l’elemento spettacolare come sparatorie e risse è subordinato all’analisi psico-sociale dei protagonisti. Parliamo di pellicole quali Non essere cattivo, Anime nere, Perez., La grande rabbia, Senza nessuna pietà, Uno per tutti e – ultimo in ordine di tempo – proprio il nostro Pericle il nero.

pericleilnero

Il soggetto è l’omonimo romanzo breve (circa 150 pagine) di Giuseppe Ferrandino, pubblicato nel 1993 per Granata Press, mentre della sceneggiatura si occupano il regista insieme a Francesca Marciano e Valia Santella. La differenza fondamentale fra il romanzo e il film è l’ambientazione: Napoli nel libro, Bruxelles e Calaïs al cinema, nonostante i riferimenti alla città italiana rimangano comunque significativi. Pericle Scalzone (Riccardo Scamarcio), detto “il nero”, è un napoletano emigrato in Belgio che lavora per il camorrista don Luigi “Pizza” (Gigio Morra), proprietario di una catena di pizzerie. Il compito di Pericle è quello di punire chi sgarra o non vuole cedere l’attività, sodomizzandolo in segno di spregio. Durante una spedizione punitiva, il giovane uccide un’anziana signora che lo aveva riconosciuto: senza saperlo, ha compiuto un errore gravissimo che segna la sua condanna a morte, visto che la donna era sotto la protezione di un boss affiliato a don Luigi. Dopo aver sventato l’agguato di due killer, fugge in Francia, a Calaïs,  dove conosce Anastasia (Marina Foïs), donna separata e con due figli. Fra i due nasce un’intensa storia d’amore, ma i sicari del boss non gli concedono tregua e Pericle è costretto a passare al contrattacco.

Pericle il nero è un eccellente dramma/noir, in cui la vicenda criminale si unisce in maniera indissolubile con l’elemento umano: le dinamiche interne alla camorra sono sviscerate con precisione, parallelamente all’analisi dei personaggi – non a caso, la storia è accompagnata da un frequente utilizzo del monologo esterno di Scamarcio, che in una sorta di “flusso di coscienza” accompagna la triste storia. Perché l’opera di Mordini è innanzitutto un film di amarezza e solitudine, peccato e (tentativo di) redenzione: Mordini, già regista degli apprezzati Acciaio e Provincia meccanica, prosegue la propria poetica composta da personaggi borderline e desolazione umana con quest’opera che fa proprio al caso suo. Curiosa la scelta di spostare la storia in Belgio e in Francia: forse per prendere le distanze dal clima “gomorriano” che tanto imperversa oggi, forse per ampliare lo spazio narrativo introducendo il discorso dei mafiosi emigrati all’estero, oppure come omaggio ai francesi che hanno pubblicato lo scritto, oppure soltanto per quella libertà narrativa che i registi hanno il diritto e il dovere di prendersi.

In Pericle il nero, Mordini trova una perfetta simbiosi tra significato e significante, cioè tra ciò che è rappresentato e come è rappresentato: alla sensazione di solitudine e disperata ricerca di umanità fa da contraltare uno stile freddo e cupo, un’ambientazione invernale, un’estetica che predilige i toni grigi e neri, un color acciaio-plumbeo che dipinge praticamente ogni inquadratura, dagli interni agli esterni – persino il cielo e il mare urlano disperazione, sfociando nella commovente scena in cui Scamarcio piange di fronte all’immensità della distesa marina – fino alle ricorrenti scene notturne. Scamarcio, che negli ultimi anni ha compiuto notevoli passi in avanti rispetto ai tempi in cui interpretava le frivole commedie amorose, incarna al meglio (come fisico, espressione e recitazione) questo personaggio solitario e squisitamente noir, un sicario po’ in stile polar francese anni Settanta – si era già cimentato nel genere con il più spettacolare Romanzo criminale, dove curiosamente interpretava ancora un personaggio noto come “il Nero”.

Mordini descrive con un asciutto realismo, senza enfasi né spettacolarizzazione, un milieu della malavita ricco di topoi del genere ma ripresi in modo mai scontato: il figlioccio del boss che sgarra e si illude di poter cambiare in vita (Pericle), il camorrista espatriato (don Luigi) che ha ancora il controllo su Napoli, il boss alleato che insieme al padrino custodisce un segreto sull’infanzia del protagonista, i sicari, la famiglia, e più sottilmente la sodomizzazione come atto di sfregio (ricordiamo le parole del Marsigliese nel classico Luca il contrabbandiere di Fulci). Pericle/Scamarcio è un personaggio molto fisico: lo vediamo mentre punisce una delle sue vittime sodomizzandola – scena cruda che non scade però nell’erotismo voyeuristico – e sarà protagonista di varie scene di nudo. La vita ordinaria e passiva del protagonista è interrotta dal presunto omicidio di “Signorinella”, anziana donna protetta dalla cosca, colpita con ferocia nella sagrestia di una chiesa dove Pericle sta per “sistemare” un prete che predica contro don Luigi.

Questo fa da detonatore al corpus della vicenda, che vedrà il protagonista vagare da una stanza d’albergo dove i sicari fanno strage della famiglia di gestori (le inquadrature sulle vittime innocenti ricordano una scena simile nel fulciano Tempo di massacro) a un’altra famiglia che invece lo tradirà, fino alla fuga clandestina in Francia. Qui, Pericle conosce per la prima volta l’amore – strepitosa Marina Foïs, “La bellezza della normalità”, come scrive Davide Pulici su Nocturno Cinema – intenso e struggente ma destinato al fallimento (anche se il finale apre un velo di speranza). Pericle vorrebbe “uscire dal giro”, ma naturalmente non è possibile, e da preda diventa cacciatore: quasi come nel sublime Drive di Refn, Scamarcio diventa una sorta di “cavaliere solitario” che difende e si difende – memorabile e di refniana memoria anche l’improvvisa esplosione di violenza nei corridoi dell’abitazione, con il “nero” che uccide ferocemente due killer. La violenza è una costante del film, anche se mai gratuita, e si innalza esponenzialmente in questa seconda parte, sfociando nel sequestro di Signorinella (in realtà solo ferita nella scena in chiesa) e delle nipotine di don Luigi. La tensione cresce creando i presupposti per una resa dei conti spettacolare e violenta, ma Mordini sovverte le regole del noir ed evita ogni risoluzione catartica, non lasciando né vincitori né vinti.

Sullo stile particolare e curatissimo di Pericle il nero si è già detto. Basti aggiungere la solidissima tecnica di Mordini, sempre indispensabile per costruire un ottimo film, che si esplica in piani-sequenza accelerati e in un montaggio frenetico e nervoso come i personaggi. Suggestivo anche il comparto musicale, a metà fra tensione e malinconia.

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