Noir italiano: Tre colonne in cronaca (1990) di Carlo Vanzina

Intorno al film

Tre colonne in cronaca (1990) è il film che non ti aspetti da un regista come Carlo Vanzina, eppure questo riuscitissimo noir è uno fra i migliori film italiani di denuncia degli ultimi vent’anni. Il re della frivola commedia anni Ottanta e Novanta – un genere che si può amare o detestare, ma che comunque ha segnato e ritratto una generazione – dimostra in vari momenti della sua carriera di saper dirigere anche film di un livello superiore ed estranei al suo genere consueto. Lo dimostrano film come Sotto il vestito niente (1985), uno dei più importanti e riusciti thriller degli eighties, l’avventura in costume La partita (1983) e appunto il nostro film.

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La vicenda

Alberto Landolfi (Gian Maria Volonté) è il direttore di un importante quotidiano di Roma con cui cerca di manovrare l’opinione pubblica su questioni politiche. A Milano viene trovato morto, apparentemente suicida, un agente di borsa: si occupa delle indagini il commissario Dante Morisi (Massimo Dapporto), che scopre trattarsi di un omicidio e viene subito trasferito a Roma. Ma anche qui, per un caso fortuito, torna a occuparsi dello stesso caso, con l’aiuto del giornalista Quinto Cecconi (Sergio Castellitto), redattore nel quotidiano di Landolfi. Scoprono così che dietro l’uccisione dell’agente di borsa si muovono una serie di poteri forti nascosti nell’ombra, fra cui un grande finanziere milanese, un terrorista arabo e un importante uomo politico italiano: è in atto una spregiudicata lotta al vertice per impadronirsi delle azioni del giornale e poterlo quindi manovrare politicamente. Il direttore Landolfi si dimostrerà però altrettanto cinico per riuscire a conservare la maggioranza.

Narrazione e stile

Tre colonne in cronaca è un film particolare sotto vari punti di vista. Innanzitutto per l’abile fusione di vari generi: il poliziesco (senza azione ma con molto ritmo), il giallo e il film di denuncia. Un j’accuse che si muove su vari livelli: il potere degli organi di stampa nel condizionare società e politica (guardando Volonté è impossibile non pensare al similare personaggio da lui interpretato in Sbatti il mostro in prima pagina di Bellocchio); gli squali della finanza, descritti in tutta la loro spietatezza e negli intrighi più sordidi; il lato oscuro della politica, incarnato dall’onorevole Spanò nei suoi legami con l’alta finanza e il terrorismo. Un’opera che tocca dunque argomenti molto delicati, sempre scottanti e attuali, mettendo in scena una vicenda immaginaria ma terribilmente realistica e con riferimenti alla realtà italiana: nel finale, Dapporto si rivolge infatti a Castellitto parlando di cosiddetti “suicidi” tramite un volo dalla finestra della questura, un’impiccagione sotto un ponte e un caffè avvelenato – riferimenti anonimi ma chiari a Pinetti, Calvi e Sindona. Il soggetto, tratto dall’omonimo libro di Corrado Augias e Daniela Pasti, è sceneggiato in maniera robusta dal regista insieme al fratello Enrico: si tratta dunque di una produzione ricca e ambiziosa negli obiettivi, sicuramente il film più impegnato (e impegnativo) di Vanzina, che dimostra così di possedere una buona mano registica e di non essere solo l’autore di commedie più o meno riuscite.

Muovendosi all’ombra del Duomo e del Colosseo, tra uffici e ville lussuose, ci troviamo trasportati in un’appassionante vicenda di omicidi e ricatti, segreti e attentati intimidatori, agenzie di copertura e fantomatiche società finanziarie nei Caraibi. Vanzina dirige con verve una sceneggiatura complessa e che si snoda su vari piani, e anche questa è una peculiarità del film. Sempre in movimento fra Milano e Roma, la storia segue da una parte le indagini di Dapporto e Castellitto, dall’altra la gestione del quotidiano da parte di Volonté e da un’altra ancora le oscure manovre politiche e finanziarie: tre piani che scorrono in maniera parallela, strettamente connessi fra loro ma i cui personaggi agiscono spesso in maniera autonoma (per esempio, Dapporto e Volonté non interagiscono). Infiniti sono i protagonisti che gravitano attorno a questa serie di eventi: una miriade di personaggi più o meno importanti che vengono “sbattuti” in faccia allo spettatore in maniera apparentemente disconnessa – così come gli eventi in cui sono coinvolti – ma che si ricompongono man mano alla perfezione come tante tessere di un mosaico. Un’altra particolarità di Tre colonne in cronaca è il diverso punto di vista narrativo che c’è fra lo spettatore e i protagonisti: lo spettatore, alla fine, è l’unico a conoscere più o meno tutta la verità, mentre gli altri ne conoscono ciascuno solo una parte. Questa singolare struttura non è probabilmente casuale, ma una metafora di quanto accade nel film: ognuno può conoscere al massimo una parte di verità, sicuramente non tutta; come afferma Volonté verso la conclusione, “La verità non esiste. Anche se esiste è praticamente impossibile scoprirla”.

Tre colonne in cronaca è un film complesso e coraggioso, interpretato da uno stuolo di attori importanti. Volonté primeggia su tutti: fra i più grandi attori del cinema italiano, interpreta qui uno dei suoi ultimi personaggi in maniera sempre magistrale – impareggiabile nel tono sommesso, aria sorniona ma comportamento cinico. Dapporto è il tipico commissario moderno, disilluso e umano, lontano anni luce dai “commissari di ferro” del poliziesco anni Settanta: un personaggio abbastanza simile a quello di Castellitto, simpatico e coraggioso giornalista donchisciottesco che combatte una battaglia impossibile. Ottimi anche i numerosi attori di contorno: Joss Ackland (il finanziere Leporino), Spiros Focas (il terrorista Bassouri), Carlo Giuffré (l’onorevole Spanò), Paolo Malco, Demetra Hampton, Lucrezia Lante Della Rovere, Angelica Ippolito, Senta Berger e l’inconfondibile Tony Sperandeo. Pregnanti e ben costruiti anche i dialoghi: Volonté giganteggia, ma anche gli altri interpreti si fanno valere: da ricordare, per esempio, il discorso intimidatorio di Focas ad Ackland sui “capretti evirati”, i confronti fra Dapporto e Castellitto, gli interrogatori del commissario Sperandeo e anche i duetti fra Dapporto e il sottoposto Urru che profumano di poliziesco vecchio stampo.

Notevole, infine, il cast tecnico, formato da grandi nomi del cinema italiano: Luigi Kuveiller alla fotografia, Ruggero Mastroianni al montaggio e soprattutto Ennio Morricone alla colonna sonora,

La colonna sonora

Affidata al maestro Ennio Morricone, si avvale di un brano ripetuto e ossessivo, che sentiamo fin dai titoli di testa: teso e martellante nel suo migliore stile anni Settanta, carico di ritmo e suspense, è composto un po’ sullo stile del celeberrimo pezzo di Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto – un’estetica sonora tipicamente morriconiana e che troviamo in diversi film.

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