Viaggio a sud di Lampedusa

In questi ultimi mesi siamo stati bombardati dalle immagini dei tg nazionali di sbarchi di immigrati, abbiamo ascoltato i bilanci, li abbiamo visti camminare per chilometri, per poi essere respinti e abbiamo assistito alla follia paranoica dell’Europa. Tutti si sono sentiti in diritto di dire la loro, forse più manipolati dal medium televisivo, che realmente informati. Per cominciare a informarsi un pochino, vi propongo un libro: “A sud di Lampedusa” di Stefano Liberti, un giornalista, che non vuole colpire con esagerazioni o immagini ad effetto, che sarebbero state fin troppo facili -dato l’argomento- ma punta a un giornalismo d’indagine.

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Liberti, giornalista de “Il manifesto”, nell’estate del 2002 ha iniziato la sua esplorazione sulle coste del Marocco, con l’intento di ripercorrere a ritroso le tappe dei migranti che approdano a Lampedusa. Ha svolto, dunque, una lunga serie di viaggi -descritti nei dodici capitoli del libro- in parte per conto del suo giornale e in parte per vari altri progetti in cui è stato coinvolto. Liberti stesso introduce così il suo testo: “Questo libro è il frutto di un’ossessione: quella di capire le ragioni dei cosiddetti viaggi della disperazione, le cause e i meccanismi mentali alla base dell’emigrazione dall’Africa verso l’Europa”.

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E l’autore sembra davvero essere ossessionato da questa volontà di capire le rotte migratorie, ma anche dal desiderio di mostrare l’emigrazione per quello che è, al di là dei luoghi comuni. Per fare questo, Liberti dialoga con i migranti, con i passeurs, con i sindacati e le associazioni, con i consoli delle ambasciate e con altri giornalisti come lui, nel tentativo di ricostruire “il mosaico delle partenze”; e più le partenze si spostano a sud, più lui scende, insegue le nuove rotte, sempre più lontane dalle mete. Dialogando con i reali protagonisti di questo fenomeno, ne viene fuori un’immagine totalmente diversa, da quella distorta che ne possiede un europeo medio; per esempio si scopre che non esiste un sistema mafioso dietro i viaggi, ma spesso si tratta semplicemente di gruppi di amici e conoscenti che fanno collette per comprare piroga e motori, oppure vi sono agenzie che organizzano la traversata alla luce del sole. Dal Senegal, al Niger, dalla Mauritania all’Algeria, dalla Turchia al Marocco, l’autore dialoga sempre con i migranti e sempre incontra uomini rimpatrati o respinti, che non smettono di sognare l’Europa, spesso bloccati in posti lontani dalle loro terre d’origine, ma senza la possibilità di tornare indietro. Si crea, così, una nuova categoria sociale: ” gli intrappolati”, migranti in transito che rimangono bloccati in attesa di racimolare soldi per proseguire il loro viaggio e spesso creano una vera e propria comunità, lì dove la loro traversata ha subito un arresto. Per esempio a Maghnia, in Algeria, le città sono due, una è quella ufficiale e l’altra è una distesa di tende, ricoperte di teli di plastica nera, completamente costruita dai migranti in transito verso l’Europa.

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Il libro ci fa ascoltare direttamente le testimonianze dei protagonisti, le loro ragioni, anche delle autorità politiche che respingono uomini e donne in fuga dalla loro patria. Tuttavia non punta solo sui dialoghi in presa diretta, ma spiega le dinamiche politiche degli stati africani dagli anni novanta ad oggi e sopratutto le strategie e gli accordi portati avanti dall’Europa, ritenuta uno dei maggiori responsabili del fenomeno migratorio.

Infine l’autore non smette mai di interrogarsi sul suo ruolo di giornalista europeo in terra africana ed è pronto a filtrare per noi le testimonianze che ci propone, chiedendosi sempre quale è la verità, non stancandosi mai di cercare, di rischiare e proseguire il suo viaggio a sud di Lampedusa.

“Quello che vedete adesso sono gli effetti delle vostre politiche: se smetteste di fare concorrenza sleale ai prodotti africani, se smetteste di spogliare i nostri paesi delle loro ricchezze, se manteneste gli impegni assunti al momento della decolonizzazione, finanziando progetti di sviluppo, noi forse non partiremmo. Ma la verità è che voi volete che partiamo.”

Elena Ravasio

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