Suburra (2015) di Stefano Sollima

Intorno al film

Il 2015 fornisce varie prove che il grande cinema italiano (quello vero, fatto con tecnica e coraggio) è ancora vivo: per un’incredibile alchimia di casualità, escono nelle sale il tanto atteso Suburra di Stefano Sollima e il postumo Non essere cattivo di Claudio Caligari, mentre sbarca in DVD il provocatorio Eva Braun (2014) di Simone Scafidi, solo per citare i più significativi. Tutti film lontani l’uno dall’altro, ma che riportano in auge vari modi di fare cinema vecchio stile che attualmente latitano nel nostro cinema. Il titanico noir di Sollima, grossa co-produzione tra Italia e Francia, racconta la criminalità organizzata della Roma contemporanea, la cosiddetta “Mafia Capitale”, una fusione di denuncia e spettacolo che non si vedeva dai gloriosi anni Settanta di Damiano Damiani, Fernando Di Leo e Sergio Sollima. Stefano, figlio d’arte di quest’ultimo, è allo stato attuale il maggior esponente (se non l’unico) di un cinema che coniuga il discorso socio-politico con lo spettacolo, dimostrando una solidissima tecnica per niente scontata ma indispensabile per fare del buon cinema. Escludendo alcune valide opere di Michele Placido e Claudio Fragasso, l’ultimo vero capolavoro (in senso autoriale) del noir/poliziesco italiano è stato Arrivederci amore, ciao (2006) di Michele Soavi: e Suburra, come scrive Davide Pulici su Nocturno, è appunto “il miglior noir che si sia visto in Italia dai giorni di Arrivederci amore, ciao”.

suburra

La vicenda

Roma, novembre 2011. Mentre il governo Berlusconi sta per cadere e Papa Ratzinger annuncia le sue future dimissioni, si stagliano su una Roma violenta e apocalittica le vicende di alcuni loschi personaggi che finiscono per intrecciarsi. Il parlamentare Filippo Malgradi (Pierfrancesco Favino) durante una notte in hotel a base di sesso e droga assiste alla morte per overdose di una delle due ragazze, lasciando all’altra il compito di sbarazzarsi del cadavere. L’impero criminale di Roma è gestito da un misterioso e potente boss noto come il “Samurai” (Claudio Amendola), che non esita a eliminare chiunque gli intralci la strada: il suo obiettivo è il “Waterfront”, un colossale progetto di night-club e casinò che vuole diventare la Las Vegas di Ostia. A tale scopo ha bisogno di protezioni politiche, e il destino fa incrociare la sua strada con quella di Malgradi, sua vecchia conoscenza. Il politico, per mettere a tacere un ragazzo che conosce il segreto di quella notte, incarica un criminale soprannominato “Numero 8” (Alessandro Borghi) di spaventarlo, ma il sicario in preda a un raptus uccide selvaggiamente il ragazzo. La vittima è il giovane rampollo di una famiglia mafiosa di origine zingara, rivale del clan del Samurai, che scatena una guerra personale contro Numero 8 e il suo mandante. Il Samurai si impegna a proteggere e finanziare Malgradi in cambio dell’approvazione della legge di cui ha bisogno, e al deputato non resta che accettare. Nell’intrigo criminale rimane coinvolto anche un giovane imprenditore e PR della vita notturna romana, Sebastiano (Elio Germano), che viene strumentalizzato dal boss zingaro per portare avanti la sua guerra.

Narrazione e stile

Stefano Sollima è riuscito negli ultimi anni a conquistare pubblico e critica grazie al suo stile così roboante, emotivo e spettacolare e al contempo in grado di penetrare come pochi altri nei gangli della criminalità e della legge con lucidità e acutezza (tanto è stato il successo di Suburra che il regista ha già annunciato la futura produzione di una relativa serie-tv). Con Sollima jr. la differenza tra cinema e televisione si appiattisce fino quasi a scomparire, facendo diventare puro cinema anche le serie televisive, ed è l’unico in grado di fare questo, insieme – non a caso – a quel Michele Soavi di cui si parlava in precedenza: il regista è diventato celebre infatti per le due serie-tv Romanzo criminale (più riuscite rispetto all’omonimo film di Placido), storia romanzata della Banda della Magliana e delle sue connessioni con politica, mafia e terrorismo; erano gli anni fra il 2008 e il 2010, prima ancora che il regista esordisse sul grande schermo con ACAB (2012), spietato racconto della vita e del lavoro all’interno del reparto celere, il più controverso fra le unità della polizia; il 2014 è stato l’anno di Gomorra, serie-tv decisamente migliore dell’omonimo film di Garrone ed enorme successo in tutto il mondo, a tal punto che Sollima ne sta preparando la seconda serie; alternandosi dunque con eguale abilità fra cinema e televisione, arriviamo all’attesissimo e immenso Suburra (2015), che si impone come un kolossal fin dalla durata di circa 130 minuti, con un ritmo intenso e mozzafiato, senza un attimo di tregua anche nei dialoghi, tanto che non si sente minimamente la durata, anzi – prosegue Pulici su Nocturno – “dopo 130’ di durata se ne vorrebbe ancora”. I film e le serie dirette da Sollima sono sempre tratti (o ispirati) dagli omonimi romanzi: Giancarlo De Cataldo per Romanzo criminale, Roberto Saviano per Gomorra, Carlo Bonini per ACAB, Giancarlo De Cataldo e Carlo Bonini per Suburra. I due scrittori collaborano anche alla sceneggiatura insieme a Sandro Petraglia e Stefano Rulli.

Il nome “Suburra” fa riferimento a un vasto e popolato quartiere dell’antica Roma in cui regnavano il malaffare e l’immoralità e in cui – come spiega la voce narrante del primo teaser italiano – il Potere si incontrava con il crimine; anche nel linguaggio popolare, “Suburra” è diventato sinonimo di luogo malfamato. La dimensione inquietante della parola originaria è colta dal regista e rispecchiata in una dimensione apocalittica, quasi a voler creare un trait-d-union fra quanto accadeva nell’antichità e quanto sta accadendo oggi. Il romanzo Suburra, scritto dal giudice De Cataldo e dal giornalista investigativo Bonini, è fra i più appassionanti e coraggiosi riguardo la criminalità organizzata in Italia: un po’ come Gomorra di Saviano per la camorra napoletana, Suburra (curiosa anche l’assonanza fra i due termini) è un’impietosa rappresentazione dei legami fra criminalità e politica nella Roma contemporanea, scritto prima ancora che esplodesse lo scandalo di “Mafia Capitale” sulla base delle inchieste giudiziarie che da anni covavano prima di scoperchiare la cloaca in tutta la sua integrità. Se da un lato si lega alla Gomorra di Napoli, dall’altro Suburra è quasi una prosecuzione di Romanzo criminale: sia per lo stile sollimiano ormai inconfondibile, con un’incredibile e spettacolare unione fra realtà, Storia e storie romanzate, ma anche per una sorta di eredità diretta – il Samurai è descritto come un ex membro della Banda della Magliana, così come lo era il padre di Aureliano Adami detto “Numero 8”, ormai defunto e non degnamente rappresentato dalla nuova generazione. Il vecchio e il nuovo si confrontano e scontrano continuamente (si insiste molto sull’opposizione fra vecchia e nuova malavita), e la Suburra romana dei nostri giorni è la naturale prosecuzione degli anni di piombo in cui agivano il Libanese e la sua gang, rappresentazione e metafora di un’Italia allo sbando ieri come oggi – e i personaggi sono, chi più chi meno, ispirati a figure reali (pensiamo in particolare al Samurai e al boss di origine rom). Suburra è il più nero e apocalittico fra le opere di Sollima, ambientato per la maggior parte in una Roma notturna e piovosa dominata da Piazza San Pietro, Castel Sant’Angelo e il Tevere coi suoi ponti, il tutto alternato allo spoglio lido di Ostia, ai locali notturni e ai simboli del Potere come il Parlamento e il Vaticano (da notare l’eccellente fotografia di Paolo Carnera), mentre le date scandiscono il conto alla rovescia di sette giorni verso “l’Apocalisse” – la caduta del governo Berlusconi, simbolo di un Italia sull’orlo del baratro politico, economico e morale, ma anche il fallimento dei sogni dei protagonisti, e più in generale la crisi delle istituzioni e dei valori. Dunque un film nerissimo su una società senza speranza come i suoi protagonisti, un’opera che anche in questo senso si riallaccia al più volte citato Arrivederci amore, ciao, un plumbeo ritratto che mette in luce le ferite oggi ancora aperte del terrorismo.

Suburra è così gigantesco in tutto – narrazione, stile, estetica, concetti – che trascende persino il cinema stesso di Sollima, elevandosi a qualcosa d’altro: una potenza visiva, un respiro epico che richiamano monumenti dei gangster-movie americani quali Scarface di De Palma in primis e Il padrino di Coppola. Perché Suburra è una saga, seppure concentrata in sette giorni a livello di cronologia intradiegetica, un nuovo romanzo criminale che racconta in modo titanico un impero del crimine e la relativa, viscontiana, “caduta degli dei”. Nessun personaggio è idealizzato, la macchina da presa si muove in un mondo dove, come si usa dire, “il più pulito ha la rogna”, tutti sono ripresi nella loro meschinità e crudeltà; eppure, alcuni fra i protagonisti non si sottraggono a un certo afflato eroico/nostalgico: in particolare Numero 8, borgataro coatto rasato e tatuato con sogni di gloria (commovente la scena in cui immagina il lido di Ostia invaso dalle luci dei casinò), e il Samurai – un Claudio Amendola quasi irriconoscibile e in stato di grazia – vecchio boss con un look alla Provenzano che controlla con il pugno di ferro la criminalità organizzata di Roma. Significative anche le uccisioni di entrambi, dirette con grande enfasi: Alessandro Borghi (che vediamo in un ruolo simile in Non essere cattivo e come poliziotto in Roma criminale) viene freddato dal Samurai sul suo amato lido, mentre scorrono le note malinconiche degli M83; Claudio Amendola, quando ormai il suo progetto Waterfront sta per entrare nel vivo, si trova di fronte il nemico che non ti aspetti, la donna di Numero 8 che per vendetta lo crivella di colpi a sangue freddo in una notte piovosa, col suo corpo che si accascia nell’acqua del cortile – una morte che ricorda quella del Libanese in Romanzo criminale di Sollima, ma anche la sorte beffarda di Al Pacino in Scarface che muore nella piscina sotto la sua insegna “The world is yours”, e in senso lato l’esecuzione di Tomas Milian nel classico Milano odia (1973), che finisce la sua vita di gangster fra i rifiuti. Le altre figure figure-cardine che completano il quintetto di protagonisti, attorno ai quali ruotano tutte le vicende e i caratteri a latere, sono l’onorevole Malgradi, il boss Manfredi Anacleti e il PR Sebastiano. Ciascuno definito in maniera certosina, tutti egualmente squallidi. Malgradi (un gigantesco Favino, fra i migliori attori italiani contemporanei e già diretto da Sollima in ACAB) rappresenta il politico corrotto per eccellenza, che vende e compra voti, viene a patti con la mafia e trascorre le sue notti segrete in orge con escort, ragazze minorenni e droga (vi si può leggere anche una celebre figura politica italiana). Anacleti, interpretato magnificamente dall’iracondo e corpulento Adamo Dionisi, incarna la famiglia criminale “nuova” che non accetta di stare in disparte e tenta la scalata al vertice con ogni mezzo, ma anche lui avrà il suo redde rationem a sorpresa per mano dell’apparente mansueto Elio Germano che si ribella ai suoi ricatti, lo stordisce con una mazza e lo fa sbranare dal suo cane. Germano, anche lui diretto alla perfezione, è un PR al centro della vita notturna romana, quella di alto borgo, fatta di industriali, politici e prostitute, che assiste al suicidio del padre (Antonello Fassari) ed eredita i suoi debiti nei confronti di Anacleti, il quale lo costringe a lavorare per lui inserendolo nello spietato mosaico criminale. Suburra può contare infatti su una sceneggiatura complessa, piena di storie e personaggi che si incrociano, ma di cui non si perde mai il filo del discorso grazie alla solidissima scrittura e regia: una storia a mosaico che stringe nella ragnatela del crimine, una morsa che stritola chiunque vi si avvicini e che coinvolge tutti, dai piccoli criminali di borgata alle grandi famiglie mafiose fino ai politici e persino un cardinale (Jean-Hugues Anglade, quello del noir francese Nikita). Notevole importanza rivestono anche le figure femminili: Sabrina (Giulia Elettra Gorietti), la prostituta che assiste alla morte della minorenne diventando un testimone scomodo per tutti – nella sua storia d’amore e amicizia con Germano c’è l’unico barlume di umanità del film, destinato anch’esso a infrangersi per il tradimento di Sebastiano che la vende a Manfredi; e Viola (Greta Scarano), la fidanzata tossicodipendente di Numero 8 protagonista anche di una breve ma serrata sparatoria in un beauty-center e che getta l’ultimo colpo a sorpresa uccidendo il Samurai nella sequenza finale del film.

Respiro epico, interpretazioni intense, sapiente unione di denuncia e spettacolo fanno di Suburra un noir titanico come non se ne vedevano da tempo. Il buon vecchio cinema “alla Damiani” si fonde con i classici gangster-movie e con echi dal noir/poliziesco italiano anni Settanta, il tutto riletto in modo personale dallo sguardo di Sollima. Rispetto alla media dei film italiani contemporanei, Suburra – come tutte le opere del regista – è un film che osa, va oltre, provoca e mostra crudamente ciò che altri non hanno il coraggio di fare. Dialoghi intensi, ritmo, azione e violenza accompagnano la pellicola dal primo all’ultimo minuto. Che sia un’opera forte lo capiamo già da una delle prime sequenze, cioè quando vediamo un amplesso decisamente spinto tra Favino e le due escort alternato a una spedizione punitiva di Numero 8 e i suoi sgherri, che picchiano selvaggiamente un commerciante e incendiano il suo negozio. Sollima non lesina mai sulla violenza, perché il suo modo di fare cinema è spettacolare ma anche realistico, e nel mondo della criminalità non si va di certo per il sottile: pensiamo all’omicidio di “Spadino” Anacleti, accoltellato selvaggiamente alla gola da un ferocissimo Alessandro Borghi, il malavitoso rivale di Amendola fatto fuori da un auto in corsa, l’improvvisa e brutale esecuzione dei due killer nel salone di bellezza, l’irruzione di Manfredi in casa di Malgradi col sequestro del figlioletto, fino alle spietate (e persino malinconiche) uccisioni di Numero 8 e del Samurai di cui si è già parlato. Nel mezzo, un’indimenticabile sequenza d’azione che merita di entrare nei manuali di regia: l’assalto al centro commerciale dei due sicari di Anacleti che scatenano una furibonda sparatoria contro Numero 8 – il loro obiettivo – e la sua guardia del corpo. Cinque minuti di adrenalina pura, con l’agguato che inizia all’esterno e lo scontro a fuoco che prosegue all’interno, una lunga sequenza in cui Sollima dimostra una messa in scena difficile da trovare oggi: per girare una grande scena di suspense e azione non basta fare come certi film americani che accumulano spari ed esplosioni, ma bisogna usare la tecnica per creare l’atmosfera e poi “far cantare” le pistole. E ancora una volta il modello che viene in mente è Damiani, che magari piazza una sola autentica scena d’azione in ogni suoi film, ma quella non si dimentica (pensiamo in particolare all’attentato iniziale in Io ho paura): Sollima “eredita” forse da lui e sicuramente dal padre Sergio (Revolver, Città violenta) la capacità di fondere spettacolo e “discorso” e di alternare un montaggio serrato (a cura di Patrizio Marone) con poderosi piani-sequenza, e questo non solo nelle scene d’azione ma in tutto il film. Lo stile roboante si sposa senza contrasti con l’esplorazione della psicologia e dei rapporti fra i personaggi, fondendosi con un secco realismo che si manifesta anche nell’uso della parlata romanesca e del dialetto rom (quest’ultimo opportunamente sottotitolato).

La colonna sonora

La colonna sonora riveste sempre un’importanza fondamentale nel cinema e nelle serie-tv di Sollima, tanto da diventare una componente imprescindibile delle vicende, un valore aggiunto, come dev’essere nella vera arte cinematografica. Spesso e volentieri il regista ha utilizzato musiche di recupero (il caso più evidente è Romanzo criminale, ricco di brani anni Settanta e Ottanta), anche con l’espediente della musica a contrasto per enfatizzare le immagini – pensiamo, solo per fare due esempi, all’esecuzione del Terribile in Romanzo criminale sulle note di Tutto il resto è noia di Califano, o l’impiccagione in carcere di Gomorra sullo sfondo della canzone napoletana Ancora noi. In Suburra la colonna sonora è affidata interamente al gruppo francese M83, di impostazione dream pop e shoegaze (alternative rock): non ci sono brani musicali famosi, ma numerosi pezzi composti dalla band che creano un impasto potente, ossessivo, psichedelico e persino inquietante in certi momenti, una sonorità presente in numerosissime sequenze e che è perfetta per evidenziare l’atmosfera plumbea e apocalittica. Sollima non rinuncia comunque alla tecnica della musica a contrasto, quando mette in scena l’uccisione di Numero 8 e dei suoi sgherri per mano di Amendola sotto gli occhi disperati e terrorizzati della fidanzata, accompagnando la scena con il brano più malinconico del film – sempre composto dagli M83.

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