Tutti conoscono la famosa frase di Winston Churchill: “Il popolo che dimentica il suo passato è destinato a riviverlo”. Probabilmente molti meno conoscono quest’altra frase di Jacques Lacan: “Ciò che non ha avuto accesso al Simbolico, si ripresenta nel Reale”.
Ho scelto queste citazioni appartenenti a due personalità di spicco, il primo del sapere storico, il secondo di quello psicanalitico, per cercare di riflettere su quale possa essere il senso del celebrare un avvenimento storico come la Liberazione dal nazifascismo e la fine della II Guerra Mondiale, ovvero per noi italiani il 25 aprile.
Lacan con la sua frase piuttosto oscura intende dire che quando un fatto, un atto, un’esperienza, un incontro viene dal soggetto negato, escluso da una propria elaborazione consapevole, in altre parole rimosso, tende a riapparire, a dispetto del soggetto stesso, nel Reale.
Il Reale di Lacan non è la realtà ma ciò che costituisce la parte organica, pulsionale dell’individuo, il corpo vivente. Cioè quella parte che non ha parola e se parla lo fa solo attraverso le manifestazioni e i vissuti corporei. È qualcosa che sfugge alla simbolizzazione e per questo al suo apparire sorprende e sconcerta il soggetto, il quale non sapendo cosa farne e come trattarlo vi reagisce in modo incoerente e scomposto.
Ed è sempre un incontro problematico, di angoscia e del quale, proprio per il fatto che si è incapaci di dargli un senso, se ne è in balia.
Per questo ci si rivolge allo psicologo nel tentativo di trovare soluzione e sollievo a questo manifestarsi incomprensibile e angosciante che può prendere la forma di ansia, fobia, attacco di panico, sentimento di smarrimento.
Evidentemente stiamo parlando di un’operazione che avviene a livello inconscio, sia quello dell’esclusione dal Simbolico, sia quello della sua riapparizione nel Reale.
Ed è una dinamica che riguarda i vissuti specifici ed unici dell’individuo, il quale però, inevitabilmente, si trova inserito in ciò che Lacan chiama “discorso”, cioè in un legame sociale con tutti i risvolti relazionali, sociali ed anche politici ed economici che esso comporta.
A questo punto è facile comprendere il collegamento con la citazione di Churchill, ovvero vedere il nesso tra l’esperienza soggettiva e l’esperienza collettiva. Il popolo, dice il grande statista inglese, che dimentica il suo passato è destinato a ripeterlo; cioè il passato ritorna, sotto altra forma tanto da non essere riconosciuto, come un Ulisse alle porte di Itaca, e per questo motivo può riproporre le stesse dinamiche ed anche gli stessi errori.
I due esempi ci dicono quindi dell’importanza del ricordare e del riflettere sugli avvenimenti passati e soprattutto del dare loro un senso, in altri termini di simbolizzarli.
La “dimenticanza” di cui parla la psicanalisi è inconscia, e non si può dire esattamente lo stesso di quella a cui fa riferimento Churchill, sebbene abbiamo avuto esempi di oblio collettivo della storia.
Per questi motivi è importante ricordare il 25 aprile, seppure ci si chieda come trasmetterne il senso a chi non solo non ha vissuto quel periodo storico ma neppure ha avuto la possibilità di ascoltarne il racconto.
Come quindi parlare ai giovani di avvenimenti appartenuti ad un mondo che a loro probabilmente appare incredibile, dove paesi europei, nei quali oggi essi si muovono e comunicano quotidianamente, hanno sacrificato la vita milioni di uomini e inflitto sofferenze inimmaginabili alle popolazioni a causa di una guerra che li ha contrapposti.
Dare un significato a ciò che è accaduto è un’operazione che non può essere fatta una volta per tutte attraverso le parole ed i riferimenti che soltanto coloro che hanno vissuto quegli anni possono comprendere ma va attualizzata trovando in quei fatti passati i sintomi di un dolore e di un trauma che appartengono a ciascuno di noi, oggi.
Occorre però evitare che la commemorazione di un fatto storico sia presentata come un dogma, imposto da un’autorità superiore insindacabile perché l’effetto sarebbe, ed è ciò che succede, l’allontanamento ed il disinteresse verso di esso.
Per poter attualizzare un fatto storico è necessario compiere il percorso inverso, dal Simbolico al Reale; in altri termini scomporlo riportandolo nella sua nudità e crudezza, all’origine; ai moti, ai desideri, alle pulsioni che possono averlo prodotto e cercare in ciascuno di noi, nella nostra attualità di uomini e donne, prima ancora che nella società, i riverberi di tali moti.
Penso che questo potrebbe essere il percorso da compiere per ridare un significato a ciò che ormai è quasi chiuso tra le pagine di un libro di storia.
Mario Tintori
Psicologo Psicoterapeuta