Tutto parla di te (2012) di Alina Marazzi, un intenso viaggio nella maternità fra fiction e documentario.

Intorno al film

La giovane regista milanese Alina Marazzi, autrice di documentari a carattere sociale, si è imposta all’attenzione della critica nel 2002 con Un’ora sola ti vorrei (ritratto della madre prematuramente scomparsa) e nel 2007 con Vogliamo anche le rose (documentario poetico sulle lotte per l’emancipazione femminile). Nel 2012 torna sul set dirigendo l’ottimo Tutto parla di te, uscito nelle sale lo scorso 11 aprile. Un nuovo esperimento per la Marazzi, che si confronta con la docu-fiction, cioè un’opera dove finzione narrativa e inserti documentaristici si fondono senza soluzione di continuità, insieme ad altri linguaggi artistici (danza, fotografia, animazione). Anche in questo caso, il tema è profondo e delicato: la maternità, con i problemi psicologici che sorgono prima e dopo il parto.

tuttoparladite

La vicenda

L’anziana Pauline (Charlotte Rampling) torna dopo molti anni a Torino, sua città natale, e incontra Angela, un’amica di vecchia data che ora dirige un Centro per la maternità. Pauline, attraverso i materiali raccolti dall’amica, inizia una ricerca sui problemi delle madri di oggi: viene quindi a conoscenza di realtà drammatiche e incontra Emma, una giovane mamma che frequenta il Centro non riuscendo ad affrontare le proprie responsabilità. Il confronto fra le due donne si rivela profondo e terapeutico per entrambe, in quanto Emma non riesce ad essere madre, mentre Pauline porta sulle spalle il ricordo di un’infanzia drammatica.

Narrazione e stile

Tutto parla di te colpisce in egual misura per l’intensità che accompagna tutto il film e per le sperimentazioni linguistiche in esso contenute, è un unicum in cui le tematiche e i differenti stili si mescolano indissolubilmente. Alina Marazzi, forte della sua stessa sensibilità di madre, scrive il soggetto e la sceneggiatura del film insieme al compagno Dario Zonta, con la collaborazione di Daniela Persico. Come dichiara la regista, “con questo film ho voluto raccontare l’ambivalenza del sentimento materno e la fatica che si fa ancora oggi ad accettarla e affrontarla. Per restituire la complessità di questo sentimento ho voluto integrare la fiction con materiali diversi: filmati d’archivio, animazioni, elementi documentari, con i quali evocare i vari livelli emotivi che questa tensione muove in chi la vive”.

Dunque, una sfida coraggiosa sia per il tema trattato che per la scelta di mescolare finzione e realtà: una sfida che la Marazzi vince su entrambi i fronti, confermando così il suo talento alla regia. Lo sguardo adottato in tutto il film è intenso, profondamente partecipato e intimista. Per questa sua opera, la giovane regista si avvale di un’interprete d’eccezione, Charlotte Rampling: britannica, classe 1946, è stata ed è tutt’oggi una delle più grandi attrici europee, avendo lavorato con registi del calibro di Luchino Visconti (La caduta degli dei), Giuseppe Patroni Griffi (Addio fratello crudele), Giuliano Montaldo (Giordano Bruno), Liliana Cavani (Il portiere di notte) e altri ancora. In Tutto parla di te, la Rampling restituisce alla perfezione un personaggio enigmatico e carico di dolore, per non aver avuto una buona madre da piccola e, forse, per non aver potuto diventare madre lei stessa. La regia ne valorizza la forte espressività con numerosi primi piani, che raccontano più delle parole: nel film, la Rampling parla poco, spesso i pensieri del personaggio sono espressi con la sua stessa voce fuori-campo, ma ciò che dice o sentiamo rimane impresso più di lunghi discorsi.

Pauline è caratterizzata da un’estrema sensibilità e desiderio di confrontarsi con le altre persone, per aiutarle a superare i loro problemi, ma forse anche per cercare lei stessa aiuto e conforto alla sua solitudine. Il fatto che sia una donna sofferente è chiaro fin da subito (l’espressione del suo viso, i suoi pensieri): quello che (volutamente) non si capisce immediatamente è quale sia la ragione della sua sofferenza; la regia gioca molto su questo, facendo ipotizzare allo spettatore che lei stessa sia stata una madre in difficoltà come le giovani donne che adesso cerca di aiutare frequentando il Centro gestito da Angela (Maria Grazia Mandruzzato, attrice di cinema e teatro). Solo verso il termine del film, scopriremo invece che Pauline è una specie di contrappunto al personaggio di Emma e delle altre donne: loro non riescono ad essere madri, lei invece soffre per aver avuto una brutta infanzia.

La ricerca del passato è una delle costanti di Pauline, come si vede dal suo desiderio di scoprire vecchie foto (autentiche) di mamme e bambini, o nella sequenza in cui ricostruisce una casa delle bambole. Le situazioni a cui assistiamo durante il film, cioè le esperienze spesso drammatiche delle giovani donne, sono reali (ecco gli inserti documentaristici di cui si parlava in precedenza): vediamo quindi donne che stanno per diventare madri ma non si sentono pronte, oppure neo-mamme che vivono un forte contrasto psicologico fra la gioia dell’evento e il peso della responsabilità. Particolarmente drammatica, anzi agghiacciante, è la testimonianza di Mary Patrizio, in carcere per aver ucciso il proprio bambino durante una depressione post-parto.

Fra tutte queste situazioni documentarie si innesta la “fiction”, che rappresenta però situazioni e personaggi assolutamente realistici: la giovane danzatrice Emma (la talentuosa Elena Radonicich) si trova a fare i conti con il proprio dovere di madre, che la obbliga a trascurare il lavoro, e con l’assenza del suo compagno. Inizia quindi un intenso confronto fra le due donne, e il loro incontro si rivelerà terapeutico per entrambe.

Dal punto di vista squisitamente stilistico, ci sono altri elementi significativi da notare, oltre agli inserti documentaristici. Innanzitutto, i filmati d’epoca in bianco e nero, anch’essi autentici, che mostrano scene di vita di giovani madri. Ma anche, sempre rimanendo sul richiamo al passato (un altro tema-cardine del film), le bellissime animazioni in stop-motion realizzate da Beatrice Pucci che mettono in scena una famiglia felice, sogno irrealizzato di tutti i protagonisti. Le fotografie d’autore, immagini quasi fantasmatiche di donne imprigionate fra le mura domestiche, sono realizzate da Simona Ghizzoni ispirandosi alle opere di Francesca Woodman. Infine, ma non certo per ordine d’importanza, il fatto che Emma sia una danzatrice dà modo alla regista di esplorare il linguaggio del teatro-danza, grazie alle coreografie della Fattoria Vittadini.

Dunque, un film sperimentale che mescola con sapienza differenti linguaggi artistici in un’opera resa omogenea non solo dall’ottima regia, ma anche dal montaggio perfetto di Ilaria Fraioli e dalla limpida fotografia di Mario Masini.

La colonna sonora

La colonna sonora è firmata da Dominik Scherrer e dal gruppo pop-rock Ronin. Scherrer compone le malinconiche musiche d’atmosfera che accompagnano la vicenda, mentre i Ronin (che avevano già scritto le musiche per Vogliamo anche le rose) sono gli autori del brano più memorabile, Animal’s Eyes, che sentiamo sui titoli di coda. Scritta appositamente per Tutto parla di te, la canzone dei Ronin gode anche di un proprio videoclip, diretto dal giovane filmmaker bergamasco Matteo Giovanelli e interpretato da Elena Radonicich, che presenta la “stessa temperatura emotiva e cromatica” del film. Intensità, amore e tristezza accompagnano infatti tutta la vicenda, e tali sentimenti sono trasmessi alla perfezione anche dalle musiche.

 

Davide Comotti

Bergamasco, classe 1985, dimostra interesse per il cinema fin da piccolo. Nel 2004, si iscrive al corso di laurea in Scienze Umanistiche dell’Università degli Studi di Bergamo (laurea che conseguirà nel 2008): durante gli studi universitari, ha modo di approfondire la sua passione tramite esami di storia, critica e tecniche del cinema e laboratori di critica e regia cinematografica.

Diventa cultore sia del cinema d’autore (Antonioni, Visconti, Damiani, Herzog), sia soprattutto del cinema di genere italiano (Fulci, Corbucci, Di Leo, Lenzi, Sollima, solo per citare i principali) e del cinema indipendente di Roger A. Fratter.

Appassionato e studioso di film horror, thriller, polizieschi e western (soprattutto italiani), si occupa inoltre dell’analisi di film rari e di problemi legati alla tradizione e alle differenti versioni di tali film.

Nel 2010, ha collaborato alla nona edizione del Festival Internazionale del Cinema d’Arte di Bergamo.

Esordisce nella scrittura su “La Rivista Eterea” (larivistaeterea.wordpress.com). Attualmente scrive su ciaocinema.it, lascatoladelleidee.it, mondospettacolo.com. In precedenza, ha curato la rubrica cinematografica della rivista Bergamo Up e del sito di Bergamo Magazine. Ha redatto inoltre alcuni articoli per i siti sognihorror.com e nocturno.it.

Ha scritto due libri: Un regista amico dei filmakers. Il cinema e le donne di Roger A. Fratter (edizioni Il Foglio Letterario) e, insieme a Vittorio Salerno, Professione regista e scrittore (edizioni BookSprint).

Contatto: davidecomotti85@gmail.com

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