James Bond: Spectre (2015) di Sam Mendes: un kolossal imperdibile

Da quando il ruolo è stato affidato a Daniel Craig, James Bond ha conosciuto un’autentica nuova giovinezza: e non solo per le straordinarie interpretazioni dell’attore, ma innanzitutto per la precisa scelta produttiva di “resettare” la saga e cominciare da zero – una sorta di reboot, tecnicamente – dopo che le ultime avventure con Pierce Brosnan cominciavano a soffrire di una certa stanchezza. La rivoluzione è iniziata nel 2006 con Casino Royale di Martin Campbell, in cui vediamo un Bond che acquisisce la celebre “licenza di uccidere” (la sigla “doppio zero”), ambientato però al presente e non negli anni Sessanta in cui è nato il personaggio. Per cui, basta Guerra Fredda, spie sovietiche e dintorni, ma nuovi nemici più realistici: terroristi internazionali connessi con l’alta finanza, servizi segreti deviati, generali che progettano colpi di stato, organizzazioni criminali di sfera mondiale. Dopo Quantum of Solace (2008) di Marc Forster e Skyfall (2012) di Sam Mendes (celebre regista di Era mio padre e American Beauty), la saga prosegue con un nuovo e mastodontico capitolo, il 24esimo ufficiale del franchise: Spectre (UK/USA, 2015), ancora di Mendes, roboante e spettacolare quanto e forse più di Skyfall, innovativo ma al contempo ricco di citazioni e personaggi ripresi dai vecchi film che restituiscono quel quid bondiano in più e lo rendono uno dei migliori film della saga iniziata nel 1962 con Licenza di uccidere.

Spectre

La vicenda

James Bond (Daniel Craig) si trova a Città del Messico per eliminare un terrorista italiano che sta progettando un attentato: distrutta la bomba ed eliminato il bersaglio, recupera dalla vittima un anello con il misterioso simbolo di una piovra. Ma la sua missione, basata su un video-messaggio del capo M registrato prima della sua morte, non è ufficiale, per cui il nuovo direttore M (Ralph Fiennes) lo sospende a tempo indeterminato. Nel frattempo, i servizi segreti britannici stanno attraversando una delicata fase di transizione: il giovane agente C, per ordine del Ministro degli Interni, vuole realizzare un Intelligence globale e rottamare il vecchio programma “doppio zero”, ritenuto obsoleto. Incurante degli ordini superiori, Bond segue il funerale del terrorista Sciarra a Roma, dove incontra la vedova Lucia (Monica Bellucci) e scopre un’organizzazione di cui il defunto marito faceva parte. Introdottosi in una riunione segreta, Bond apprende che il capo di questa Spectre è tale Franz Oberhausen (Christoph Waltz), un “fantasma” del suo passato creduto morto da anni. Muovendosi poi fra l’Austria e Tangeri, incontra il vecchio nemico Mr. White e sua figlia Madeleine (Léa Seydoux), che 007 promette al padre morente di proteggere dai sicari della Spectre. Catturato con la donna nel deserto africano, Bond si trova finalmente di fronte a Oberhausen, che ora ha assunto il nome Ernst Stavro Blofeld ed è capo di una rete terroristica che controlla tutte le informazioni mondiali. E il nemico si è insediato anche nel servizio segreto britannico.

Narrazione e stile

Fra le peculiarità del nuovo corso bondiano c’è sicuramente la stretta continuità di avvenimenti e personaggi che troviamo nei vari film: tutte le pellicole da Casino Royale in poi formano, più rigorosamente che nel passato, una vera e propria saga fatta di capitoli in cui situazioni, nemici e alleati sono un continuum – e di conseguenza per comprendere tutti i dettagli di ciascun film è preferibile aver visto anche i precedenti. Certo, anche nei “vecchi” Bond c’erano i personaggi fissi (il capo M, la segretaria Moneypenny, l’inventore Q, e così via) e nemici ricorrenti, ma nei film recenti si creano relazioni di causa/effetto e legami tra le varie missioni che fino a prima non c’erano. È stata una “rivoluzione” necessaria che ha rinvigorito una saga immortale entrata come poche altre nell’immaginario collettivo e che ora è tornata di prepotenza alla ribalta. Altro dato di fatto imprescindibile: Daniel Craig è probabilmente il miglior James Bond di sempre, alla pari con l’intramontabile Sean Connery, e rispetto ai suoi predecessori possiede – grazie anche a robuste sceneggiature – una dimensione più psicologica e introspettiva; è un agente segreto più “umano”, non un “supereroe” vecchio stile – lo vediamo infatti innamorarsi, subire delusioni, riflettere sul suo lavoro, cadere nel baratro dell’alcolismo e rialzarsi per compiere il suo dovere. Di frequente, come in Spectre, compie missioni non ufficiali e non autorizzate, trovandosi contro il suo stesso capo M che però finisce sempre per riconoscerne l’efficienza, mentre in passato solo una volta l’agente aveva agito in solitaria (Vendetta privata, con Timothy Dalton). Vedendo Craig viene in mente per certi versi l’unico 007 interpretato da George Lazenby, Al servizio segreto di Sua Maestà, sottovalutato ma in realtà fra i migliori della serie: qui abbiamo visto Bond, dongiovanni per eccellenza, innamorarsi e sposarsi, per poi rimanere subito vedovo a causa dell’eterno nemico Blofeld, in un finale struggente che riecheggerà solo anni dopo in Casino Royale. Strettamente connesso alla nuova dimensione più realistica del personaggio c’è un altro elemento che Skyfall e Spectre portano alla ribalta, cioè il passato di Bond, finora rimasto ignoto e che ora assurge invece a elemento fondamentale delle storie.

Dopo i terroristi di Quantum e l’ex agente Silva dei tre film precedenti, qui il nemico da affrontare è l’organizzazione terroristica Spectre, l’avversario numero uno fin dai primi film con Sean Connery, adesso attualizzata e contestualizzata nel nuovo panorama mondiale. Come accaduto per l’arruolamento di Bond, anche con la Spectre e il suo capo Blofeld si riparte da zero: la storia si svolge ai nostri giorni e fonde mirabilmente quel sapore vintage delle imprese di Bond con un nuovo scenario, per certi versi anche più realistico. Se in passato la società segreta ricattava il mondo o voleva far scoppiare una nuova guerra, ora – come vediamo a partire dalla suggestiva e inquietante riunione a Roma – si occupa di industrie farmaceutiche, traffico d’armi, spionaggio internazionale, controllo delle telecomunicazioni e infiltrazioni nei vari servizi segreti. Ernst Stavro Blofeld ha il volto del grandissimo Christoph Waltz, celebre rispettivamente come “cattivo” e “buono” nei due capolavori di Quentin Tarantino Bastardi senza gloria e Django Unchained, che qui conferma la sua enorme espressività risultando perfetto nel ruolo del mellifluo e crudele avversario – da notare una certa somiglianza con quel Charles Gray che lo aveva interpretato in Una cascata di diamanti. Blofeld ha esordito nei primi film senza essere inquadrato nel volto – si vedeva solo il busto e il suo gatto bianco, che torna puntualmente qui – per poi essere interpretato da vari attori come il suddetto Gray e prima ancora Donald Pleasence e Telly Savalas: da super-cattivo fumettistico, in Spectre diventa al pari di Bond un’autentica “persona”, di cui scopriamo il passato e il legame con il nostro agente segreto, subdolo e vendicativo – memorabile quando compare dall’ombra nel salone e nei due confronti finali con Craig, fra cui la crudelissima tortura con gli aghi. Come si accennava, Spectre è infarcito di citazioni più o meno esplicite da vari classici della saga, che la solidissima regia di Mendes si diverte a disseminare lungo la vicenda. Solo per ricordare le più evidenti: la suddetta riunione della Spectre è ripresa da Operazione Tuono, la lotta iniziale e finale in elicottero richiama l’incipit di Solo per i tuoi occhi (dove Roger Moore uccideva Blofeld), mentre la lunga sequenza in treno cita almeno tre film – Dalla Russia con amore, Vivi e lascia morire, La spia che mi amava; c’è poi la clinica in montagna fra le nevi delle Alpi, con relativa fuga, ripresa dal bellissimo Al servizio segreto di Sua Maestà; sottile e nostalgica anche la ripresa del sedile eiettabile della Aston Martin, presente in Missione Goldfinger e che qui Bond utilizza invece a suo vantaggio. Spectre getta quindi un occhio al passato ma costruendo una vicenda solidissima che si innesta sul presente. La storia inizia infatti esattamente dove finiva Skyfall: dopo la morte del vecchio capo M (Judi Dench), è stato nominato come suo successore l’agente Mallory – un sempre convincente Ralph Fiennes – che diventa quindi il nuovo M. Come in Skyfall, fanno da contorno due personaggi imprescindibili della saga, adesso rinnovati in toto: la segretaria Eve Moneypenny, interpretata dall’attrice di colore Naomie Harris, e il genio dei computer e invenzioni varie Q, che ha il volto insolito di un ragazzo (Ben Whishaw) apparentemente imbranato ma in grado di penetrare in ogni sistema informatico. L’alternanza fra omaggio al passato e creazione del nuovo è la cifra caratteristica e il punto di forza del nuovo corso bondiano, mescolanza che in Spectre raggiunge il massimo equilibrio.

Lo spettacolo e l’azione sono condotti ai massimi livelli – forse ancora più che in Skyfall – con quella giusta e voluta esagerazione tipica delle avventure di 007. Esplosioni, sparatorie, crolli di edifici, inseguimenti coi mezzi e nei luoghi più insoliti caratterizzano il 24esimo film dall’inizio alla fine, garantendo un ritmo elevatissimo anche nei momenti di indagine e nei dialoghi. La celeberrima “sequenza gunbarrel” con l’inconfondibile tema musicale torna finalmente all’inizio (in Quantum of Solace e Skyfall era stata messa stranamente alla fine, perdendo un po’ d’efficacia), e subito dopo si apre un lungo piano-sequenza fra le strade di Città del Messico dove è in corso la festa per il Giorno dei Morti: seguendo Bond, la macchina da presa si snoda tra i viali fino a una camera d’albergo dove ha inizio l’azione vera e propria. Vediamo Craig camminare su un cornicione, eliminare dei killer con un fucile di precisione e far esplodere un intero palazzo che frana sull’edificio di 007 costringendolo a una fuga disperata. Se già non fosse chiaro lo stile gigantesco e fracassone (in senso buono) di ciò che vedremo, ecco che Bond salta al volo su un elicottero in fase di decollo, lotta sospeso nel vuoto col terrorista e riesce in extremis a raddrizzare il velivolo proseguendo pacificamente il volo. Questa è l’essenza di Bond, questo è ciò che lo spettatore si aspetta e ciò che Mendes, con una regia solidissima e un grande senso dell’inquadratura e del montaggio, riesce a portare magnificamente sullo schermo. Le successive sequenze d’azione saranno altrettanto memorabili, e ambientate negli scenari più disparati come vuole la tradizione. A Roma assistiamo a un forsennato e adrenalinico inseguimento in notturna fra la Aston Martin di Bond e l’auto del killer nemico (il gigantesco Dave Bautista), che si snoda prima fra le strade del centro (anche con impressionanti inquadrature in soggettiva) e poi sugli argini del Tevere concludendosi in modo pirotecnico. Ci spostiamo quindi in Austria, fra le nevi delle Alpi, dove nella sequenza forse più esagerata del film si svolge un inseguimento fra i rapitori di Léa Seydoux in auto e James Bond con un piccolo aereo, che li segue prima in volo poi atterrando sulla neve. Inaspettata e violenta la lotta sul treno tra Craig e Bautista, un cruento scontro corpo a corpo senza esclusioni di colpi che vede ovviamente l’agente segreto avere la meglio. È la parte introduttiva a quella che si aspetteremmo essere la conclusione nel covo della Spectre, un avveniristico e immenso edificio situato in un cratere nel deserto africano dove ha luogo un fragoroso scontro fra Bond e i terroristi; ma, come vuole la tradizione degli ultimi Bond, la fine è più volte procrastinata, per cui la resa dei conti si svolge nel cuore di Londra, sempre a base di sparatorie, esplosioni, inseguimenti e una gigantesca fuga in elicottero, un insieme di situazioni in cui vedremo avere un ruolo primario anche l’odiosissimo agente C (Andrew Scott).

Spectre prosegue l’opera di rinnovamento anche nell’immagine dei servizi segreti. Certo, la saga di James Bond non vuole essere un’opera di denuncia socio-politica bensì di intrattenimento e azione. Eppure, rispetto ai tempi di Sean Connery e Roger Moore in cui c’era una distinzione manichea fra “buoni” e “cattivi”, i film con Daniel Craig riflettono un’epoca buia in cui è sempre più difficile distinguere fra nemici e alleati. Pensiamo a Quantum of Solace, in cui la CIA e il governo britannico vengono a patti con multinazionali e dittatori, e Bond deve fuggire persino dai vertici americani e dal suo governo. Ma ricordiamo anche l’ex agente segreto di Skyfall, e soprattutto le strette connessioni tra alta finanza, terrorismo e governi che vediamo in Casino Royale e appunto Spectre, in cui il ruolo stesso degli agenti segreti vecchio stampo viene messo in discussione attraverso questo misterioso piano di rinnovamento globale.

La colonna sonora

La saga di James Bond è uno di quei casi in cui la colonna sonora riveste un ruolo di primissimo piano, innanzitutto per il “James Bond Theme” di Monty Norman, celeberrimo e imprescindibile, di cui bastano poche note per capire di che personaggio si tratta: la vivace melodia è presente in tutti i 24 film, la sentiamo fin dalla “sequenza gunbarrel” e torna numerose volte nella pellicola – arrangiata in modalità differenti a seconda della situazione – e così accade pure in Spectre. Anche la canzone dei titoli di testa risulta fondamentale e identificativa di ogni film: trattasi in questo caso della romantica e nostalgica Writing’s on the wall, scritta e interpretata dal cantante britannico Sam Smith. L’intera colonna sonora è composta da Thomas Newman, già autore delle musiche di Skyfall, che qui offre ancora il meglio di sé con una serie di brani che restituiscono di volta in volta l’atmosfera delle varie sequenze.

Intorno al film

Da quando il ruolo è stato affidato a Daniel Craig, James Bond ha conosciuto un’autentica nuova giovinezza: e non solo per le straordinarie interpretazioni dell’attore, ma innanzitutto per la precisa scelta produttiva di “resettare” la saga e cominciare da zero – una sorta di reboot, tecnicamente – dopo che le ultime avventure con Pierce Brosnan cominciavano a soffrire di una certa stanchezza. La rivoluzione è iniziata nel 2006 con Casino Royale di Martin Campbell, in cui vediamo un Bond che acquisisce la celebre “licenza di uccidere” (la sigla “doppio zero”), ambientato però al presente e non negli anni Sessanta in cui è nato il personaggio. Per cui, basta Guerra Fredda, spie sovietiche e dintorni, ma nuovi nemici più realistici: terroristi internazionali connessi con l’alta finanza, servizi segreti deviati, generali che progettano colpi di stato, organizzazioni criminali di sfera mondiale. Dopo Quantum of Solace (2008) di Marc Forster e Skyfall (2012) di Sam Mendes (celebre regista di Era mio padre e American Beauty), la saga prosegue con un nuovo e mastodontico capitolo, il 24esimo ufficiale del franchise: Spectre (UK/USA, 2015), ancora di Mendes, roboante e spettacolare quanto e forse più di Skyfall, innovativo ma al contempo ricco di citazioni e personaggi ripresi dai vecchi film che restituiscono quel quid bondiano in più e lo rendono uno dei migliori film della saga iniziata nel 1962 con Licenza di uccidere.

La vicenda

James Bond (Daniel Craig) si trova a Città del Messico per eliminare un terrorista italiano che sta progettando un attentato: distrutta la bomba ed eliminato il bersaglio, recupera dalla vittima un anello con il misterioso simbolo di una piovra. Ma la sua missione, basata su un video-messaggio del capo M registrato prima della sua morte, non è ufficiale, per cui il nuovo direttore M (Ralph Fiennes) lo sospende a tempo indeterminato. Nel frattempo, i servizi segreti britannici stanno attraversando una delicata fase di transizione: il giovane agente C, per ordine del Ministro degli Interni, vuole realizzare un Intelligence globale e rottamare il vecchio programma “doppio zero”, ritenuto obsoleto. Incurante degli ordini superiori, Bond segue il funerale del terrorista Sciarra a Roma, dove incontra la vedova Lucia (Monica Bellucci) e scopre un’organizzazione di cui il defunto marito faceva parte. Introdottosi in una riunione segreta, Bond apprende che il capo di questa Spectre è tale Franz Oberhausen (Christoph Waltz), un “fantasma” del suo passato creduto morto da anni. Muovendosi poi fra l’Austria e Tangeri, incontra il vecchio nemico Mr. White e sua figlia Madeleine (Léa Seydoux), che 007 promette al padre morente di proteggere dai sicari della Spectre. Catturato con la donna nel deserto africano, Bond si trova finalmente di fronte a Oberhausen, che ora ha assunto il nome Ernst Stavro Blofeld ed è capo di una rete terroristica che controlla tutte le informazioni mondiali. E il nemico si è insediato anche nel servizio segreto britannico.

Narrazione e stile

Fra le peculiarità del nuovo corso bondiano c’è sicuramente la stretta continuità di avvenimenti e personaggi che troviamo nei vari film: tutte le pellicole da Casino Royale in poi formano, più rigorosamente che nel passato, una vera e propria saga fatta di capitoli in cui situazioni, nemici e alleati sono un continuum e di conseguenza per comprendere tutti i dettagli di ciascun film è preferibile aver visto anche i precedenti. Certo, anche nei “vecchi” Bond c’erano i personaggi fissi (il capo M, la segretaria Moneypenny, l’inventore Q, e così via) e nemici ricorrenti, ma nei film recenti si creano relazioni di causa/effetto e legami tra le varie missioni che fino a prima non c’erano. È stata una “rivoluzione” necessaria che ha rinvigorito una saga immortale entrata come poche altre nell’immaginario collettivo e che ora è tornata di prepotenza alla ribalta. Altro dato di fatto imprescindibile: Daniel Craig è probabilmente il miglior James Bond di sempre, alla pari con l’intramontabile Sean Connery, e rispetto ai suoi predecessori possiede – grazie anche a robuste sceneggiature – una dimensione più psicologica e introspettiva; è un agente segreto più “umano”, non un “supereroe” vecchio stile – lo vediamo infatti innamorarsi, subire delusioni, riflettere sul suo lavoro, cadere nel baratro dell’alcolismo e rialzarsi per compiere il suo dovere. Di frequente, come in Spectre, compie missioni non ufficiali e non autorizzate, trovandosi contro il suo stesso capo M che però finisce sempre per riconoscerne l’efficienza, mentre in passato solo una volta l’agente aveva agito in solitaria (Vendetta privata, con Timothy Dalton). Vedendo Craig viene in mente per certi versi l’unico 007 interpretato da George Lazenby, Al servizio segreto di Sua Maestà, sottovalutato ma in realtà fra i migliori della serie: qui abbiamo visto Bond, dongiovanni per eccellenza, innamorarsi e sposarsi, per poi rimanere subito vedovo a causa dell’eterno nemico Blofeld, in un finale struggente che riecheggerà solo anni dopo in Casino Royale. Strettamente connesso alla nuova dimensione più realistica del personaggio c’è un altro elemento che Skyfall e Spectre portano alla ribalta, cioè il passato di Bond, finora rimasto ignoto e che ora assurge invece a elemento fondamentale delle storie.

Dopo i terroristi di Quantum e l’ex agente Silva dei tre film precedenti, qui il nemico da affrontare è l’organizzazione terroristica Spectre, l’avversario numero uno fin dai primi film con Sean Connery, adesso attualizzata e contestualizzata nel nuovo panorama mondiale. Come accaduto per l’arruolamento di Bond, anche con la Spectre e il suo capo Blofeld si riparte da zero: la storia si svolge ai nostri giorni e fonde mirabilmente quel sapore vintage delle imprese di Bond con un nuovo scenario, per certi versi anche più realistico. Se in passato la società segreta ricattava il mondo o voleva far scoppiare una nuova guerra, ora – come vediamo a partire dalla suggestiva e inquietante riunione a Roma – si occupa di industrie farmaceutiche, traffico d’armi, spionaggio internazionale, controllo delle telecomunicazioni e infiltrazioni nei vari servizi segreti. Ernst Stavro Blofeld ha il volto del grandissimo Christoph Waltz, celebre rispettivamente come “cattivo” e “buono” nei due capolavori di Quentin Tarantino Bastardi senza gloria e Django Unchained, che qui conferma la sua enorme espressività risultando perfetto nel ruolo del mellifluo e crudele avversario – da notare una certa somiglianza con quel Charles Gray che lo aveva interpretato in Una cascata di diamanti. Blofeld ha esordito nei primi film senza essere inquadrato nel volto – si vedeva solo il busto e il suo gatto bianco, che torna puntualmente qui – per poi essere interpretato da vari attori come il suddetto Gray e prima ancora Donald Pleasence e Telly Savalas: da super-cattivo fumettistico, in Spectre diventa al pari di Bond un’autentica “persona”, di cui scopriamo il passato e il legame con il nostro agente segreto, subdolo e vendicativo – memorabile quando compare dall’ombra nel salone e nei due confronti finali con Craig, fra cui la crudelissima tortura con gli aghi. Come si accennava, Spectre è infarcito di citazioni più o meno esplicite da vari classici della saga, che la solidissima regia di Mendes si diverte a disseminare lungo la vicenda. Solo per ricordare le più evidenti: la suddetta riunione della Spectre è ripresa da Operazione Tuono, la lotta iniziale e finale in elicottero richiama l’incipit di Solo per i tuoi occhi (dove Roger Moore uccideva Blofeld), mentre la lunga sequenza in treno cita almeno tre film – Dalla Russia con amore, Vivi e lascia morire, La spia che mi amava; c’è poi la clinica in montagna fra le nevi delle Alpi, con relativa fuga, ripresa dal bellissimo Al servizio segreto di Sua Maestà; sottile e nostalgica anche la ripresa del sedile eiettabile della Aston Martin, presente in Missione Goldfinger e che qui Bond utilizza invece a suo vantaggio. Spectre getta quindi un occhio al passato ma costruendo una vicenda solidissima che si innesta sul presente. La storia inizia infatti esattamente dove finiva Skyfall: dopo la morte del vecchio capo M (Judi Dench), è stato nominato come suo successore l’agente Mallory – un sempre convincente Ralph Fiennes – che diventa quindi il nuovo M. Come in Skyfall, fanno da contorno due personaggi imprescindibili della saga, adesso rinnovati in toto: la segretaria Eve Moneypenny, interpretata dall’attrice di colore Naomie Harris, e il genio dei computer e invenzioni varie Q, che ha il volto insolito di un ragazzo (Ben Whishaw) apparentemente imbranato ma in grado di penetrare in ogni sistema informatico. L’alternanza fra omaggio al passato e creazione del nuovo è la cifra caratteristica e il punto di forza del nuovo corso bondiano, mescolanza che in Spectre raggiunge il massimo equilibrio.

Lo spettacolo e l’azione sono condotti ai massimi livelli – forse ancora più che in Skyfall – con quella giusta e voluta esagerazione tipica delle avventure di 007. Esplosioni, sparatorie, crolli di edifici, inseguimenti coi mezzi e nei luoghi più insoliti caratterizzano il 24esimo film dall’inizio alla fine, garantendo un ritmo elevatissimo anche nei momenti di indagine e nei dialoghi. La celeberrima “sequenza gunbarrel” con l’inconfondibile tema musicale torna finalmente all’inizio (in Quantum of Solace e Skyfall era stata messa stranamente alla fine, perdendo un po’ d’efficacia), e subito dopo si apre un lungo piano-sequenza fra le strade di Città del Messico dove è in corso la festa per il Giorno dei Morti: seguendo Bond, la macchina da presa si snoda tra i viali fino a una camera d’albergo dove ha inizio l’azione vera e propria. Vediamo Craig camminare su un cornicione, eliminare dei killer con un fucile di precisione e far esplodere un intero palazzo che frana sull’edificio di 007 costringendolo a una fuga disperata. Se già non fosse chiaro lo stile gigantesco e fracassone (in senso buono) di ciò che vedremo, ecco che Bond salta al volo su un elicottero in fase di decollo, lotta sospeso nel vuoto col terrorista e riesce in extremis a raddrizzare il velivolo proseguendo pacificamente il volo. Questa è l’essenza di Bond, questo è ciò che lo spettatore si aspetta e ciò che Mendes, con una regia solidissima e un grande senso dell’inquadratura e del montaggio, riesce a portare magnificamente sullo schermo. Le successive sequenze d’azione saranno altrettanto memorabili, e ambientate negli scenari più disparati come vuole la tradizione. A Roma assistiamo a un forsennato e adrenalinico inseguimento in notturna fra la Aston Martin di Bond e l’auto del killer nemico (il gigantesco Dave Bautista), che si snoda prima fra le strade del centro (anche con impressionanti inquadrature in soggettiva) e poi sugli argini del Tevere concludendosi in modo pirotecnico. Ci spostiamo quindi in Austria, fra le nevi delle Alpi, dove nella sequenza forse più esagerata del film si svolge un inseguimento fra i rapitori di Léa Seydoux in auto e James Bond con un piccolo aereo, che li segue prima in volo poi atterrando sulla neve. Inaspettata e violenta la lotta sul treno tra Craig e Bautista, un cruento scontro corpo a corpo senza esclusioni di colpi che vede ovviamente l’agente segreto avere la meglio. È la parte introduttiva a quella che si aspetteremmo essere la conclusione nel covo della Spectre, un avveniristico e immenso edificio situato in un cratere nel deserto africano dove ha luogo un fragoroso scontro fra Bond e i terroristi; ma, come vuole la tradizione degli ultimi Bond, la fine è più volte procrastinata, per cui la resa dei conti si svolge nel cuore di Londra, sempre a base di sparatorie, esplosioni, inseguimenti e una gigantesca fuga in elicottero, un insieme di situazioni in cui vedremo avere un ruolo primario anche l’odiosissimo agente C (Andrew Scott).

Spectre prosegue l’opera di rinnovamento anche nell’immagine dei servizi segreti. Certo, la saga di James Bond non vuole essere un’opera di denuncia socio-politica bensì di intrattenimento e azione. Eppure, rispetto ai tempi di Sean Connery e Roger Moore in cui c’era una distinzione manichea fra “buoni” e “cattivi”, i film con Daniel Craig riflettono un’epoca buia in cui è sempre più difficile distinguere fra nemici e alleati. Pensiamo a Quantum of Solace, in cui la CIA e il governo britannico vengono a patti con multinazionali e dittatori, e Bond deve fuggire persino dai vertici americani e dal suo governo. Ma ricordiamo anche l’ex agente segreto di Skyfall, e soprattutto le strette connessioni tra alta finanza, terrorismo e governi che vediamo in Casino Royale e appunto Spectre, in cui il ruolo stesso degli agenti segreti vecchio stampo viene messo in discussione attraverso questo misterioso piano di rinnovamento globale.

La colonna sonora

La saga di James Bond è uno di quei casi in cui la colonna sonora riveste un ruolo di primissimo piano, innanzitutto per il “James Bond Theme” di Monty Norman, celeberrimo e imprescindibile, di cui bastano poche note per capire di che personaggio si tratta: la vivace melodia è presente in tutti i 24 film, la sentiamo fin dalla “sequenza gunbarrel” e torna numerose volte nella pellicola – arrangiata in modalità differenti a seconda della situazione – e così accade pure in Spectre. Anche la canzone dei titoli di testa risulta fondamentale e identificativa di ogni film: trattasi in questo caso della romantica e nostalgica Writing’s on the wall, scritta e interpretata dal cantante britannico Sam Smith. L’intera colonna sonora è composta da Thomas Newman, già autore delle musiche di Skyfall, che qui offre ancora il meglio di sé con una serie di brani che restituiscono di volta in volta l’atmosfera delle varie sequenze.

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