Negli spazi letterari di questo sito si era scelto di pubblicare stralci di opere, favole o riflessioni filosofiche, che più o meno potevano essere attinenti con ciò che accadeva intorno a noi in quel momento, o che addirittura si legavano correttamente. Ora proponiamo un filone nuovo, per noi, che è molto utilizzato e funzionale a tutti: l’analisi di un’opera.
Premetto che non saranno cadenzate con regolarità, un po’ per la necessità di essere attento, e tanto perché pur essendo un lettore seriale, sono anche un lettore lento, di quelli che le opere se le gusta, ci pensa, le vive desiderando che durino il più possibile.
Mostrandomi attento e rispettoso dell’argomento letterario che andrò a trattare, riporterò al meglio le emozioni che si sono create durante la lettura.
L’opera “Feria di Agosto”, è una raccolta suddivisa in tre gruppi di novelle brevi titolati: Mare, La città, La vigna. La mia analisi partirà dal primo gruppo: “Mare”, in cui venne raccontata l’immobilità estiva che tutti viviamo durante gli anni della spensieratezza e dell’inconsapevolezza adolescenziale. Pavese però riuscì a sottolineare quanto in realtà sia movimento allo stato puro per chi guarda un adolescente dalla distanza dei suoi anni.
Feria d’agosto
Rileggendo questo libro mi sono accorto che non l’avevo capito – lo lessi da ragazzo intorno ai sedici anni –, perché non potevo capire fino in fondo ciò che stavo vivendo. La mia incomprensione ebbe diverse motivazioni, e posso dire con sicurezza che non fu per le scelte o per i tempi storici, ma che essa nacque per il peso dei ricordi, che avrebbero prodotto dentro di me odio e amore per la mia adolescenza, portandomi adesso a ricordarla con nostalgia e a ricercarne le emozioni attraverso gli odori, le immagini, i posti e le letture.
Cesare Pavese spiegò tante cose in tempi sempre diversi dalla stesura dei suoi romanzi, un po’ come tutti gli scrittori che riescono a rielaborare con il tempo il discorso espresso attraverso le parole di un libro, però per “Ferie d’agosto” riuscì a dire tutto quello che si doveva in poche parole nell’edizione del 1945, quando uscì nella collana Einaudi “Narratori contemporanei”, dove nel risvolto di sovracoperta scrisse:
“Non sempre si scrivono romanzi. Si può costruire una realtà accostando e disponendo sforzi e scoperte che ci piacquero ognuno per sé, eppure siccome tendevano a liberare da una stessa ossessione, fanno avventura e risposta. Qui, come in tutte le avventure, si è trattato di fondere insieme due campi d’esperienza. E la risposta potrebbe essere questa: solamente l’uomo fatto sa essere ragazzo.”
Primo libro: Mare
Nell’infanzia sta l’inizio di tutto, anche il condizionamento della nostra vita. È questa una frase più simbolica che reale, perché aiuta a capire ciò a cui si vorrebbe tornare. Ma oltre a questo è anche una frase fortemente enigmatica. Partendo da essa e facendo un’auto analisi corretta, scopriremmo che ci sono tutti i risvolti del nostro modo di essere, proprio per questo Pavese si impegna nel primo dei tre gruppi che costituiscono “Feria d’agosto”, a ricordare questi duplici aspetti dell’esistenza umana. La necessità del ritorno a un luogo che si ha in visione attraverso ricordi sfumati (un tema introdotto con la novella La langa) che esplode con la necessità di viaggiare e di comprendere ogni atteggiamento infantile. E proprio il contenuto di “Mare” si svolge chiaramente nelle novelle: L’eremita, La giacchetta di cuoio, Primo amore, per poi concludersi dentro l’ultima che da il titolo alla prima parte Il mare. Anche l’amore di Clara (Fine d’agosto), sicuro, incondizionato, paziente, da fastidio perché da sempre le persone sicure generano questa reazione negli altri, e tutte le riflessioni delle novelle precedenti alle principali del primo libro, sembra vogliano introdurre diversi argomenti che poi si sviscerano nelle parole e nei pensieri dei protagonisti, che sono giovanissimi ma già uomini, per loro.
E un gruppo di novelle fortemente emotivo, scritto di cuore, sistemato di testa, che trasmette sensazioni comuni, come lo sguardo sognante di un bambino che osserva una bella ragazza, con gli occhi di chi sta entrando nella fase della pubertà e vorrebbe essere di più, arrivando a desiderare un bacio, un contatto, un attenzione che prima non ipotizzava nemmeno.
Quando ho letto le storie, trovando diversi fili rossi che le collegavano fra loro, tessendo una ragnatela di emozioni spessissima, mi sono seriamente innamorato di questo libro, non per la sua poetica, ma per la storia enorme che riesce a raccontare e a esprimere anche senza averla descritta: la storia della crescita, dello sviluppo, delle necessità che ogni persona vive e che lo porta dentro il proprio percorso personale.
Pavese in queste novelle è riuscito a spiegare l’inizio di alcune cose, aprendo una ricerca letteraria che il libro deve necessariamente affrontare, anche senza risolverle, anche senza raccontarle tutte e che negli altri due gruppi (La città, La vigna) verranno affrontati.
Sono solo parole, ma ricche di riflessioni, e fanno nascere pensieri.
Nel prossimo “articolo” affronterò il gruppo di novelle “La città”.