La notte dei diavoli (1972) di Giorgio Ferroni

La notte dei diavoli (1972) di Giorgio Ferroni, un inquietante horror gotico tratto da un racconto di Aleksej Tolstoj.

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Intorno al film

Giorgio Ferroni, uno dei maestri del western italiano, diresse anche due importanti horror gotici: Il mulino delle donne di pietra (1960) e La notte dei diavoli (1972), due pellicole molto diverse fra di loro ma entrambe fondative del genere, rispettivamente per gli anni Sessanta e Settanta. Grazie alla Rarovideo, finalmente anche il secondo film gode di un’eccellente distribuzione in dvd (la prima in assoluto), con un master audio e video eccezionale e alcuni extra da non perdere: un’intervista all’attore Gianni Garko e al critico Davide Pulici, l’inizio alternativo del film e un ricco booklet a cura della rivista “Nocturno Cinema”.

La vicenda

La vicenda inizia con il ricovero in un ospedale psichiatrico di un individuo (Gianni Garko) che non ricorda più niente di sé, trovato in stato di shock mentre vagava nei boschi. La sua mente allucinata rivive in flashback gli eventi che lo hanno segnato: smarritosi in una campagna della Jugoslavia, trova soccorso presso una misteriosa famiglia, che vive nel terrore di qualcosa. Presto scoprirà che nei dintorni si aggira un wurdalak, un essere “non morto” che trasforma gli altri in suoi simili. Tutta la famiglia è vittima dell’orrendo contagio, mentre lui riesce a salvarsi dandosi alla fuga; ma la sua mente, ormai, è irrimediabilmente compromessa.

Narrazione e stile

Chiunque abbia dimestichezza con l’horror italiano, si renderà subito conto che la trama descritta è, in sostanza, un remake de I Wurdalak, secondo episodio del film I tre volti della paura (1963) di Mario Bava, un’altra pietra miliare del genere. Il soggetto (che nel film di Ferroni è firmato da Eduardo Manzanos Brochero) è basato su un racconto di Aleksej Tolstoj, incentrato appunto su queste inquietanti creature, apparentemente umane ma in realtà entità maligne, a metà strada fra zombi e vampiri, che contagiano le persone amate per tenerle in eterno con sé. L’episodio baviano durava circa mezzora, mentre La notte dei diavoli quasi un’ora e mezza, il che espone il film di Ferroni ad alcuni rischi. In certi momenti, effettivamente, la pellicola risente di una certa lentezza, ma l’espediente della narrazione in flashback e la grande cura di tutti gli aspetti del linguaggio cinematografico la rendono comunque un ottimo prodotto, sicuramente uno dei migliori horror gotici degli anni Settanta.

Dopo le numerose pellicole del genere prodotte nel decennio precedente, il pubblico e i registi sentivano la necessità di sperimentare qualcosa di nuovo: innanzitutto, l’ambientazione temporale viene spostata dall’Ottocento alla contemporaneità. Ma non solo: vista la censura meno rigida, gli anni Settanta diventano il periodo in cui gli artigiani del cinema possono mostrare scene più esplicite di violenza e di erotismo. Lo stile gotico “anni Settanta” aggiunge inoltre atmosfere oniriche, con inquadrature “flou” e musiche romantiche, sospese nel tempo, ma al contempo inquietanti e spesso accompagnate da vocalizzi femminili. La notte dei diavoli, insieme a un altro cult come La notte che Evelyn uscì dalla tomba (1971) di Emilio Miraglia, si colloca proprio al punto di transizione fra il gotico più classico degli anni Sessanta e lo stile del nuovo decennio, che raggiungerà lo zenith con il capolavoro La morte ha sorriso all’assassino (1973) di Aristide Massaccesi.

Ne La notte dei diavoli, a dire il vero, l’erotismo non è molto accentuato (anzi, è uno dei film più “casti” del periodo): i punti di forza sono costituiti soprattutto dalle atmosfere angoscianti, dall’ottima interpretazione di Gianni Garko (indimenticabili alcuni suoi primi piani allucinati) e dagli effetti speciali ad opera di Carlo Rambaldi (prima del suo sbarco ad Hollywood). L’angoscia trasmessa dal film deriva in buona parte dalla sensazione di pericolo incombente e invisibile: Ferroni, nella prima parte, gioca più sul “non visto” che sull’orrore mostrato, dimostrando una raffinatezza stilistica non scontata. Nella seconda parte, concede invece più spazio alle scene di sangue: indimenticabili, ad esempio, sono il paletto conficcato nel torace al capofamiglia trasformato in wurdalak (è l’unico modo per uccidere queste creature), la bambina vampirizzata che morsica al collo la madre per poi mostrare fiera la bocca sporca di sangue, e soprattutto la decomposizione “in diretta” del volto dei wurdalak uccisi. Ferroni omaggia il film di Bava almeno in due inquadrature, cioè quando mostra i bambini affacciati alla finestra, e poi ancora loro due in versione malvagia mentre ridono nel bosco: e il bambino, sappiamo, è una delle figure più inquietanti nel cinema horror.

Se volessimo descrivere la cifra caratterizzante del film, potremmo dire che è il cosiddetto “perturbante” freudiano, cioè quella paura che è tanto più forte nella misura in cui riguarda realtà (come la casa, la famiglia, i bambini) che solitamente dovrebbero apparire rassicuranti. Un altro luogo spaventoso per eccellenza è il manicomio, dove vediamo Gianni Garko, all’inizio e alla fine della vicenda, tormentato da incubi e visioni. In proposito, è importante notare che l’edizione Rarovideo inserisce all’inizio una sequenza inedita, che vuole rappresentare i deliri del protagonista mentre viene analizzato dai medici: una scena dallo stile squisitamente anni Settanta, in cui si susseguono come in un incubo immagini da brivido (un teschio coperto da vermi, una testa che esplode, un corpo di donna che fluttua nel vuoto, due incappucciati che estraggono il cuore alla stessa donna).

Nel corso del film, trova spazio anche una storia d’amore fra Nicola (il protagonista) e Sdenka (Agostina Belli), l’unica della famiglia a non essere contagiata: ma anche questa vicenda è destinata a finire in tragedia, nel lugubre finale all’interno del manicomio.

La colonna sonora

Ne La notte dei diavoli si crea una “magica” sinestesia fra immagine e musica. I tetri paesaggi dove si svolge la vicenda (fra boschi, cimiteri e case diroccate) e i volti dei personaggi sono valorizzati dalla fotografia di Manuel Berenguer Serra, mentre la splendida colonna sonora è firmata dal maestro Giorgio Gaslini. Il motivo principale, che sentiamo fin dai titoli di testa e che ritorna spesso nel film (in differenti variazioni) è il cosiddetto “tema di Sdenka”: è la tipica musica da gotico anni Settanta di cui si parlava in precedenza, malinconica e inquietante, accompagnata da bellissimi vocalizzi femminili (eseguiti, in questo caso, da Edda Dell’Orso).

 

Davide Comotti. Bergamasco, classe 1985, dimostra interesse per il cinema fin da piccolo. Nel 2004, si iscrive al corso di laurea in Scienze Umanistiche dell’Università degli Studi di Bergamo (laurea che conseguirà nel 2008): durante gli studi universitari, ha modo di approfondire la sua passione tramite esami di storia, critica e tecniche del cinema e laboratori di critica e regia cinematografica.

Diventa cultore sia del cinema d’autore (Antonioni, Visconti, Damiani, Herzog), sia soprattutto del cinema di genere italiano (Fulci, Corbucci, Di Leo, Lenzi, Sollima, solo per citare i principali) e del cinema indipendente di Roger A. Fratter. Appassionato e studioso di film western, polizieschi, thriller e horror (soprattutto italiani), si occupa inoltre dell’analisi di film rari e di problemi legati alla tradizione e alle differenti versioni di tali film.

Nel 2010, ha collaborato alla nona edizione del Festival Internazionale del Cinema d’Arte di Bergamo.
Scrive su “La Rivista Eterea” (larivistaeterea.wordpress.com), ciaocinema.it, lascatoladelleidee.it< e cura la rubrica cinematografica del sito di Bergamo Magazine (bergamomagazine.it) e del mensile Bergamo Up. Ha scritto inoltre alcuni articoli sui siti sognihorror.com e nocturno.it.

Ha scritto due libri: Un regista amico dei filmakers. Il cinema e le donne di Roger A. Fratter (edizioni Il Foglio Letterario) e, insieme a Vittorio Salerno, Professione regista e scrittore (edizioni BookSprint).

Contatto: davidecomotti85@gmail.com

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