Aldo Lado torna al cinema con: Il Notturno di Chopin (2012)

Intorno al film

Aldo Lado è stato, e continua a essere, uno dei registi più “graffianti” del cinema italiano: sarebbe riduttivo definirlo un regista “di genere”, in quanto è riuscito a spaziare tra diversi di questi (thriller, dramma erotico, fantascienza, commedia) con lo stesso sguardo autoriale, uno stile particolarissimo e pregno di contenuti. Tanti sono gli elementi trasversali nella sua filmografia: la critica al finto perbenismo borghese, la messa in discussione dell’autorità costituita e delle figure che vi appartengono, la rappresentazione di situazioni e figure grottesche ma al contempo realistiche, il tutto sempre condotto con uno stile personale e una narrazione appassionante. A tanti anni di distanza, Lado prosegue il discorso iniziato qui con un nuovo e spiazzante dramma/thriller, Il Notturno di Chopin (2012), a sua volta diverso dai film precedenti: girato con un budget ristretto, è stato presentato in vari festival e distribuito in un’ottima edizione DVD dalla Cinekult (CG Home Video).

notturno

 La vicenda

La storia inizia con una giornata di quiete al parco: bambini che giocano, mamme che parlano. Improvvisamente, la tranquillità è sconvolta da una misteriosa figura che rapisce una bambina dietro un cespuglio. La piccola Alessia (Sofia Vercellin) si risveglia in un lurido scantinato: inizialmente non si rende conto di quanto le è accaduto, poi man mano comprende l’orribile situazione che sta vivendo. Mentre esplora l’ambiente e cerca invano di richiamare l’attenzione, sente il suo aguzzino camminare sopra di lei e suonare al pianoforte il Notturno di Chopin. Salendo su una pila di giornali, osserva dalle sbarre il mondo esterno ma si trova impossibilitata a chiedere aiuto, confortata solo dal pensiero della madre (Silvia Bruera) che le “appare” per tranquillizzarla. Scopre che oltre la parete è prigioniera anche l’amica con cui stava giocando al parco, e ne sente le urla all’arrivo dell’uomo. Poi, solo silenzio e paura: non solo della situazione che sta vivendo, ma anche di quello che le potrebbe accadere.

Narrazione e stile

Il cinema italiano è cambiato in peggio dagli anni Settanta a oggi, dunque anche Lado deve adeguarsi – per quanto riguarda l’aspetto produttivo – ai nuovi tempi: una produzione piccola e una messa in scena minimalista, in cui nonostante tutto emerge il talento di questo geniale autore, la cui creatività evidentemente non si è mai sopita. Col Notturno di Chopin, un’opera squisitamente personale e scritta dallo stesso regista, Lado prosegue il suo discorso e la sua poetica.

Per quanto riguarda il versante thriller della sua lunga carriera, tre sono i film di Aldo Lado divenuti giustamente celebri, La corta notte delle bambole di vetro (1971), Chi l’ha vista morire? (1972) e L’ultimo treno della notte (1975): un complotto esoterico dalle atmosfere polanskiane il primo, una re-interpretazione del thriller argentiano in una tetra Venezia il secondo, un feroce rape&revenge il terzo (sempre incentrati su rapimenti, sparizioni e omicidi). Sgombriamo il campo dagli equivoci: Il Notturno di Chopin è scevro da ogni elemento macabro nel senso più stretto della parola, è un film difficile da classificare in un genere; è un thriller psicologico, un dramma, una denuncia della violenza sui minori, la messa in scena di un orrore più nascosto e meno immediato ma altrettanto realistico e crudele. Il Notturno di Chopin è la dimostrazione che non c’è bisogno di scomodare mostri o creature varie per trasmettere una forte sensazione di angoscia e costante inquietudine. Anzi, il nuovo film di Aldo Lado trova la sua ragion d’essere e la fonte di paura proprio nell’asciutto realismo che caratterizza tutta la vicenda. In effetti, anche nei thriller precedenti Lado non aveva mai subito il fascino del paranormale (se non in maniera subliminale ne La corta notte). Il Notturno di Chopin riparte all’incirca dove finiva Chi l’ha vista morire?: torna il tema dell’infanzia negata, omicidi e rapimenti di bambine (tutti temi di scottante attualità), e il killer di Venezia lascia il posto a questo indefinito ma altrettanto brutale “orco” che agisce in un imprecisato paese della campagna italiana. Non ne vediamo mai il volto, ma solo le mani, l’ombra, le gambe che si muovono: Lado abbandona la pista gialla senza però farlo capire subito allo spettatore, che rimane così spiazzato come era probabilmente intenzione del regista. Chi si aspetta un thriller convenzionale con la soluzione di un enigma e l’individuazione di un colpevole è fuori strada, e viene a mancare ogni risoluzione catartica nella scoperta ed eliminazione del maniaco. Nel Notturno di Chopin, come scrive Davide Pulici per Nocturno, “il regista sposta la prospettiva per raccontare il punto di vista della vittima”: la narrazione è condotta infatti attraverso il punto di vista della bimba (la bravissima Sofia Vercellin, espressiva e perfettamente calata nel difficile ruolo).

La mano di Lado è ancora forte, sia nello stile che nella narrazione, e la sua regia solida riesce a creare una forte immedesimazione e partecipazione emotiva nello spettatore. Dopo l’incipit nel parco, con uno strepitoso piano-sequenza e la soggettiva dell’assassino, gran parte del film si svolge nell’opprimente e squallido scantinato dove Alessia è tenuta prigioniera: muri di color ocra, tubature gocciolanti, una porta di ferro inesorabilmente chiusa, cumuli di vecchie riviste e una scatola di lampadine, un letto e una finestra con le sbarre. Cosa può esserci di più spaventoso, a maggior ragione per una bambina? La piccola reagisce con paura ma anche con dignità: disperati tentativi di richiamare l’attenzione, uno studio meticoloso dell’ambiente per cercare un modo di fuggire, difendersi o chiamare aiuto, una sorta di temporaneo “adattamento” a questo ambiente ostile. Dopo gli spogli interni, è il mondo esterno – o meglio, ciò che può scorgere – ad essere esplorato: gli unici luoghi che può vedere sono una chiesa, un piccolo ponte e scorci di paesaggio, una campagna grigia e spesso nebbiosa, in cui ogni tanto si muovono figure quasi surreali – un clown, un corteo funebre, varie persone così vicine eppure irraggiungibili (“La realtà cruda e crudele si sposa all’astratto”, afferma Nocturno). Lado e la scenografa Alessandra Rapattoni hanno dedicato parecchia cura anche alle location interne, pensando “alla prigione come qualcosa di simile a un fegato” (Pulici), un po’ come se la piccola fosse stata metaforicamente inghiottita da un macro-organismo.

Questo, almeno in sintesi, è Il Notturno di Chopin: non è un film semplice, non è un giallo classico in cui lo spettatore può “giocare” a scoprire il colpevole. Con uno stile minimalista ma sempre raffinato nelle inquadrature e nella fotografia, tutto giocato su una lentezza ossessiva (il sottotitolo è infatti Prigioniera del tempo), Lado ci racconta la paura primigenia di un bambino, un orrore latente, reale e sempre d’attualità, che si nasconde nella vita quotidiana sotto le false apparenze della normalità; e anche il tema dell’orrore invisibile, delle apparenze che si ribaltano nascondendo un enorme marciume, è squisitamente personale e autoriale, già presente in maniera forte nei suoi thriller degli anni Settanta. Da segnalare, all’interno di un cast non famoso ma assolutamente efficace, alcuni importanti camei: Davide Pulici e Manlio Gomarasca di Nocturno nei panni rispettivi di un prete (figura spesso presente nei film di Lado) e di un muratore, e nella sequenza iniziale Franca Gonella – attrice italiana molto in voga negli anni Settanta.

La colonna sonora

L’atmosfera asettica e minimalista del film è rispecchiata anche dalla colonna sonora: il leit-motiv è costituito dal brano musicale del titolo, uno fra i celebri Notturni di Chopin, lento e nostalgico. Utilizzato spesso nel film in funzione intradiegetica – cioè suonata al pianoforte dal rapinatore – e talvolta extradiegetica, funge da contrappunto all’angosciante vicenda trasformandosi da una musica rilassante in un pezzo ossessivo. Richiama un po’ l’espediente della musica a contrasto (per esempio: una melodia dolce utilizzata su una scena violenta), utilizzata in passato da Lado (e non solo: Deodato, Fulci, e altri ancora) e sempre efficace. Da notare anche la presenza in due sequenze della canzone partigiana Bella ciao. Per il resto, ampio spazio è dedicato al silenzio e ai suoni ambientali.

Davide Comotti

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