Arrivederci amore, ciao – di Michele Soavi.

Arrivederci amore, ciao (2006), un ritratto sociale a tinte fosche dal genio di Michele Soavi.

Intorno al film

La collana “Cinema Criminale” (Hobby & Work) ripropone in dvd un gioiello del cinema italiano contemporaneo, Arrivederci amore, ciao (2006) di Michele Soavi. Il titolo non tragga in inganno: in questo film, l’amore trova veramente poco spazio, e la vicenda è una rappresentazione cruda, realistica e nerissima della società italiana contemporanea, travagliata da ferite ancora aperte e da altre che continuano a formarsi. Un capolavoro d’impegno civile e politico, un ritratto a tinte fosche di un’umanità senza speranza, diretto con forza da Michele Soavi, uno dei più grandi registi del nostro cinema attuale. Il soggetto, scritto da Michele Soavi insieme a Lorenzo Favella, è tratto dal romanzo omonimo di Massimo Carlotto, personaggio finito al centro di un lungo dramma giudiziario dal 1976 al 1993.

 

La vicenda

Giorgio Pellegrini (Alessio Boni) è un ex terrorista di sinistra che si è rifugiato in Sudamerica. Tornato in Italia per ottenere la riabilitazione, si scontra con il vicequestore della Digos Ferruccio Anedda (Michele Placido): il poliziotto lo costringe a fare i nomi dei suoi vecchi compagni, ricattandolo con una fotografia che lo inchioda come responsabile di un omicidio. Trascorsi alcuni anni in carcere, a Milano Pellegrini sembra deciso a cambiare vita, ma viene trascinato ancora nella spirale del crimine: dopo aver scoperto la natura corrotta di Anedda, si allea con lui per mettere a segno alcuni colpi. Con il denaro ricavato dalle rapine, Giorgio apre un ristorante nel Nord Est italiano e si innamora, ricambiato, di Roberta (Alina Nedelea). Ma ancora una volta il passato torna a bussare alla sua porta, e il continuo ricatto del viscido Anedda innesca una nuova serie di violenze.

Narrazione e stile

Uno degli elementi più singolari che balzano subito agli occhi dello spettatore è la voluta e geniale dissonanza fra il titolo (che potrebbe essere quello di una commedia romantica) e il carattere nero della vicenda. “Arrivederci amore, ciao” è il ritornello della canzone Insieme a te non ci sto più (1968) di Caterina Caselli, autentico leit-motiv del film, che sentiamo spesso in funzione sia intradiegetica che extradiegetica, e che conferisce alla pellicola una carica espressiva ancora maggiore.

La canzone romantica della Caselli ricorda a Giorgio Pellegrini il suo passato da terrorista, e, quasi come un simbolo del passato che non lo lascia tranquillo, torna continuamente nelle sue orecchie, imprimendosi anche in quelle dello spettatore. Già dall’inizio, quando vediamo il protagonista in un villaggio del Sudamerica: una radio trasmette Insieme a te non ci sto più, e subito dopo l’uomo uccide un amico su commissione, in cambio di un passaporto. La regia delinea così, fin da subito, la sua personalità. Pellegrini è interpretato magistralmente dall’attore bergamasco Alessio Boni (qui in una delle prove migliori della sua carriera), il cui personaggio “bello e dannato” depista continuamente lo spettatore, che rimane sempre indeciso se considerarlo una vittima degli eventi oppure un vero bastardo, come si rivelerà nel crudele e cinico finale.

Ma ancora più strepitosa è l’interpretazione del grande Michele Placido, nel ruolo del viscido e corrotto funzionario di polizia Anedda: particolarissimo anche nell’aspetto fisico (capelli impomatati, vestito elegante, baffetti curatissimi, spiccato accento sardo e bocca sempre in atto di masticare), dà origine a un personaggio che merita di entrare nella storia del cinema per l’intensità e la caratterizzazione. Già la sua entrata in scena, durante l’interrogatorio di Pellegrini, è da applausi: “Anedda. Vicequestore Anedda della Digos – Non mi ci trovo con le sigle – (calcio in mezzo alle gambe) Allora impara questa: NCC, non sono così coglione!”. Michele Placido, uno dei più grandi attori del nostro cinema, dopo aver interpretato l’integerrimo commissario di polizia Corrado Cattani nelle prime quattro serie de La piovra e il mafioso in due bei film di Damiano Damiani (Un uomo in ginocchio e Pizza Connection), ricopre alla grande questo nuovo ruolo, quello del poliziotto corrotto. E non solo corrotto, ma veramente marcio nell’animo, ricattatore, rapinatore e assassino, sempre al di sopra di ogni sospetto: dopo la sua morte, avvenuta per mano di Pellegrini (in un’ottima sequenza che, arrivando inaspettata, inchioda lo spettatore alla poltrona), verrà ricordato paradossalmente come “un fedele servitore dello Stato e della giustizia”.

Il genio di Michele Soavi mette in scena una galleria di personaggi che sono un po’ il simbolo dei mali della società italiana contemporanea, ma anche, in senso lato, di ogni società, di un’umanità vista in maniera estremamente pessimista, senza speranza di redenzione: non solo Pellegrini e Anedda, ma anche una serie di personaggi di contorno, sempre splendidamente delineati, come il boss del night club, il cliente drogato, sua moglie costretta a prostituirsi (Isabella Ferrari), il politico corrotto Sante Brianese (Carlo Cecchi) e altri relitti umani pronti a tutto pur di stare a galla nel marasma generale. Un altro elemento di forza del film sono i dialoghi secchi e pregnanti, soprattutto quelli in cui è protagonista Michele Placido, che in questo film supera veramente se stesso, anche grazie a una pronuncia incredibilmente forte e particolare. Uno su tutti, oltre a quello già citato, si veda quello rivolto a Pellegrini prima della rapina che stanno preparando insieme: “Senti Pellegrini, tu sei cresciuto a libri, canne e rivoluzione, però l’Eskimo te lo facevi comprare da papà. Io ho allevato pecore, e qualche volta ci ho dormito anche. Però adesso mi chiamano dottore. Un motivo ci sarà”. L’applauso scatta automatico.

Michele Soavi, dopo aver esordito con l’horror, ha diretto anche alcuni ottimi film polizieschi per la tv, ed è quindi abile a dirigere scene d’azione. Questa caratteristica si nota soprattutto in due sequenze: l’assalto al furgone portavalori, con la sparatoria fra le guardie giurate e la banda di Pellegrini; il regolamento di conti all’interno della banda stessa, con Pellegrini e Anedda che eliminano i complici e sostengono poi un assedio con due killer slavi armati di fucili mitragliatori. Soavi realizza, con questo film, il capolavoro della sua carriera, riprendendo un po’ la lezione dei maestri Damiani e Squitieri, che realizzavano film di denuncia politica e civile senza rinunciare però alla componente spettacolare. Le scene d’azione vere e proprie sono limitate fondamentalmente alle due suddette, ma è giusto così, perché lo scopo non era quello di creare un autentico poliziesco, quanto piuttosto un noir di stampo sociologico e psicologico.

La tensione non viene mai meno, e l’attenzione dello spettatore viene continuamente catalizzata da quanto succede. Le sequenze di forte impatto emotivo non si contano: oltre a quelle già menzionate, ce ne sono molte altre, fra le quali bisogna ricordare almeno i flashback (costruiti progressivamente, un po’ “alla Sergio Leone”), in cui Pellegrini rievoca il suo passato di terrorista, mentre nella sua mente e nelle orecchie dello spettatore scorrono le note di Insieme a te non ci sto più. E poi, dulcis in fundo (si fa per dire), arriva il finale, una lunga sequenza di incredibile potenza visiva in cui Soavi realizza una lezione di cinema che andrebbe studiata nelle scuole. Pellegrini teme che la sua fidanzata sospetti di lui per l’omicidio di Anedda, e decide di ucciderla somministrandole un farmaco a cui è allergica: mentre la ragazza è per terra agonizzante e si sta rendendo conto dell’accaduto, l’uomo mette il disco con la consueta canzone Insieme a te non ci sto più, e assiste impassibile al supplizio della donna che chiede aiuto. La dolcezza della canzone stride volutamente con quanto sta accadendo, ed è proprio questo a rendere la scena, cruda e disturbante nella sua genialità, così emotivamente forte. Ma i messaggi pessimisti che il film vuole trasmettere in ogni scena non sono ancora finiti: ai funerali della donna, la voce fuori campo di Pellegrini comunica la sua avvenuta riabilitazione.

La colonna sonora

Come già detto più volte durante l’analisi del film, il leit-motiv della colonna sonora è la canzone Insieme a te non ci sto più (1968) di Caterina Caselli, dal cui ritornello è tratto il titolo del film. Tale canzone viene utilizzata sia in funzione intradiegetica (cioè ascoltata, nella finzione, anche dal protagonista del film), sia in funzione extradiegetica (cioè ascoltata solo dagli spettatori). La geniale dissonanza fra la dolce canzone d’amore e quanto vediamo sullo schermo è proprio uno dei punti di forza del film. Un’altra canzone che rimane impressa è quella che sentiamo durante una scena nel night club, La notte di Salvatore Adamo, dalla forte carica erotica. Oltre a vari brani rock e dark (in sintonia con l’atmosfera del film), compaiono poi altri temi musicali (senza parole, solo musica) adatti alle varie sequenze: per esempio, quello più lento e introspettivo che accompagna i momenti di solitudine di Pellegrini e quello più ritmato (quasi da film poliziesco) che dà una forza ancora maggiore alla scena della rapina al furgone portavalori.

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