Pensavo fosse amore, invece era possesso: Una rivoluzione culturale per fermare il femminicidio

Come ogni anno, il 25 novembre scorso si è celebrata la giornata mondiale della lotta contro la violenza sulle donne. Una donna su tre è vittima di violenza. Fisica o psicologica.
Secondo gli ultimi dati Istat «non ci sono distinzioni di classe sociale, culturale e di ceto economico» . Ad oggi il Bollettino di Guerra riscontra 117 vittime uccise sul campo di battaglia che è la vita quotidiana per le donne.
Mediamente 1 giorno su 3 una donna muore in Italia vittima della guerra del genere.

Cos’è il Femminicidio? E cosa si può fare per fermarlo?

La violenza maschile sulle donne costituisce la prima causa di morte al mondo per le donne di età compresa tra i 16 ed i 44 anni. La notizia data del 2002, ma da allora ben poco è stato fatto nel mondo, e in Italia in modo particolare, per contrastare il costante aumento degli omicidi di donne basati sul genere.
Eppure non mancano gli ammonimenti dell’ONU(1) e delle associazioni che vengono in aiuto alle donne che decidono di dire basta alle violenze subite tra le mura domestiche. Il femminicidio, infatti, non è soltanto quello che la stampa erroneamente si ostina a qualificare di delitto passionale; “non esiste chi picchia per amore” per riprendere lo slogan dell’associazione Aiuto Donna(2). Questo neologismo, coniato da Marcela Lagarde, ingloba tutte le forme di discriminazioni e violenze che gli uomini o la società infliggono alle donne nascondendosi dietro la parola “cultura” o “tradizione”(3).
La violenza di genere è retaggio di una società maschilista che ha per secoli trattato la donna come un essere inferiore sotto tutela del marito.

Radici di una violenza:

In ogni parte del mondo, infatti, anche nelle culture oggi più evolute in materia di pari dignità, per secoli la donna è stata giuridicamente considerata incapace. Basti ricordare che agli albori dell’Unità d’Italia, l’art. 134 del codice Pisanelli (codice civile del Regno d’Italia – 1865) enunciava: “La moglie non può donare, alienare beni immobili, sottoporli ad ipoteca, contrarre mutui, cedere o riscuotere capitali, costituirsi sicurtà, né transigere o stare in giudizio relativamente a tali atti, senza l’autorizzazione del marito”.

I primi passi per un miglioramento della condizione femminile sono stati fatti nel 1946 con la conquista del diritto di voto e, due anni dopo, con l’introduzione del articolo 3 della prima Costituzione della Repubblica Italiana:
“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.

Ma il percorso per la realizzazione del nobile intento di Pari dignità è lungo e pieno d’insidie, considerato che :

  • fino al 1963 il diritto di ius corrigendi ha permesso al marito di battere la moglie, per “correggerla” qualora – a suo personalissimo giudizio – ritenesse che avesse commesso errori;
  • fino al 1969 l’adulterio di una donna era reato, mentre quello dell’uomo era tollerato a meno che non destasse un eccessivo scandalo pubblico;
  • fino al 1975 la potestà maritale ha escluso di fatto i pari diritti ai coniugi;
  • fino al 1981 il delitto d’onore, previsto dal nostro ordinamento, significava che un uomo che uccideva la moglie, la figlia, la sorella, “nello stato d’ira determinato dall’offesa recata all’onore suo e della sua famiglia” aveva diritto a tutte le attenuanti e subiva una pena dai tre ai sette anni, ma se la donna avesse ucciso il marito a causa della stessa offesa era condannata all’ergastolo;
  • fino al 1996 la violenza sessuale era un reato contro la morale, non contro la persona;
  • fino al 2009 non esisteva il reato di stalking.

Oggi, finalmente, leggi a tutela della donna e dei suoi diritti esistono, ma la nostra cultura maschilista continua ad alimentare una violenza diventata illegale, è vero, ma difficile da sradicare.

Come insegna Karl R. Popper, “I cittadini di una società civilizzata, le persone cioè che si comportano civilmente, non sono il risultato del caso, ma sono il risultato di un processo educativo”. E, infatti, sia l’ONU, che le Associazioni e Istituzioni che sono confrontate al femminicidio, sono unanime nel dire che per porre fine a questa cultura della violenza di genere serve una migliore informazione e formazione. Non possiamo vincere un male senza prima imparare a chiamarlo per nome e saperlo riconoscere. Se la violenza fisica lascia evidenti segni, quella psicologica, per quanto distruttiva, è subdola. Gli ematomi dell’anima sono invisibili e troppo pochi ancora sanno riconoscere quegli inconfondibili campanelli d’allarme; quelle manifestazioni del potere maschile tese a isolare la donna da parenti e amici, per meglio mantenerla in un’apparente situazione d’inferiorità, controllando le spese domestiche o/e usando violenze verbali del tipo: sei stupida, non ce la puoi fare senza di me.(4)

Ecco perché è importante che le istituzioni e le associazioni si uniscano per :

  • Assicurare una formazione professionale a tutte le persone che per lavoro possono entrare in contatto con la violenza di genere (dalle forze armate, ai medici dei pronto soccorsi, agli avvocati, passando per le autorità, gli operatori dei servizi pubblici o ancora gli psicologi e ginecologi)
  • Attirare l’attenzione dei media sull’importanza della terminologia utilizzata nei fatti di cronaca che raccontano di queste donne uccise da ex mariti e fidanzati; il femicidio non ha nulla a che vedere con amore e passione, bensì con possesso, calcoli economici e delitti d’onore(5)
  • Sabotare l’immagine lesiva delle donne e degli uomini e della relazione che li lega veicolata dai media e dalla televisione, per uscire dai cliché sessisti e machisti(6)
  • Diffondere la cultura della non-violenza nelle scuole(7)
  • Sensibilizzare l’opinione pubblica sul carattere incettabile della violenza sulle donne e sulle pene che s’incorrono.
  • Garantire un numero sufficiente di servizi sociali e case rifugio. L’ONU stima che ci vorrebbe una casa rifugio per ogni 100.000 abitanti
  • Informare l’opinione pubblica dell’esistenza di strutture d’accoglienza
  • Monitorare questo fenomeno. Ad oggi per esempio in Italia non esistono dati sul risultato della legge anti stalking
  • Appoggiare la richiesta dei membri della convenzione anti violenza(8) di revisione del Piano Nazionale contro la violenza che giunge a termine nel 2013.

Il femminicidio riguarda tutti noi, uomini e donne, perché non esiste chi, almeno una volta, non ha avuto paura. Paura che la propria figlia faccia un brutto incontro. Paura che il proprio compagno viva male il fatto di essere lasciato. O paura che un gesto sconsiderato possa condizionare per sempre la vita del proprio figlio.

(1) Rapporto sulla missione in Italia della Relatrice Speciale ONU contro la violenza sulle donne 2012 – Il blog dei Giuristi Democratici per l’informazione su ogni forma di discriminazione basata sul genere e per l’implementazione in Italia della CEDAW, la Convenzione ONU per l’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna. http://gdcedaw.blogspot.it/

(2) Aiuto Donna – Uscire dalla violenza – onlus – www.aiutodonna.it

(3) Femminicidio. Dalla denuncia sociale al riconoscimento giuridico internazionale di Barbara Spinelli ed. Franco Angeli.

(4) Se la donna fosse un elefante di Maryline JM-W ed. Miele www.romanzocollage.it

(5) GiULiA la rete nazionale delle giornaliste unite libere autonome http://giulia.globalist.it/

(6) Essere Maschi di Stefano Ciccone ed. Rosenberg&Sellier – Bellezza femminile e verità. Modelli e ruoli nella comunicazione sessiste di J. Pinnock e S. Ballista ed. Fausto Lupetti

(7) A tavola con Platone. Esercitazioni e giochi d’aula sulle differenze culturali, sessuali e di genere di J. Pinnock e S. Ballista ed. Ferrari Sinibaldi. www.nonlofacciopiù.net: un sito che fornisce supporto ai più giovani che s’interrogano sulla violenza, l’amore e le paure.

(8) http://convenzioneantiviolenzanomore.blogspot.it/

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