SKYFALL – Psicologia del nuovo agente 007

Il nuovo film di James Bond, Skyfall, ci presenta un Agente 007 diverso dai suoi predecessori.

È certamente un uomo più solo, poco interessato a sedurre belle donne; dagli atteggiamenti meno accattivanti da “simpatica canaglia”. Più duro ed anche spietato e nel contempo più fragile e sofferente. Mostra il suo lato debole, insufficiente: tanto da non superare, al fine di reinserirsi nel corpo speciale, le prove attitudinali richieste.Traspaiono in lui i segni di un’infanzia di solitudine, orfano in giovane età di entrambi i genitori.

È un uomo disilluso che non si fa affascinare e che rinuncia ad affascinare la donna, forse perché non crede più all’incontro con l’altro dell’amore. A dire il vero, neppure i precedenti James Bond ci credevamo molto ma il loro vissuti d’amore si sostenevano sulla classica posizione uomo-donna, dove l’uomo è gratificato fallicamente dalla sua conquista e la donna, altrettanto fallicamente è gratificata dall’essere l’oggetto del desiderio dell’uomo forte e vincente.

Il James Bond di Skyfall, invece, non è preso in questa dinamica. La donna più significativa con la quale si confronta è il suo capo, il responsabile degli agenti segreti. Donna severa. Una donna arcigna ma nel momento decisivo madre a lui fedele e in lui fiduciosa.

In ciò, questo Agente 007 mostra, seppure in modo virile, il suo lato ferito e fragile. Egli trova nel capo-madre il sostegno necessario ad affrontare le nuove sfide.

È un uomo contemporaneo, solo, smarrito in città fredde e ipertecnologiche e non troppo a proprio agio nel rapporto con la donna.

La forza e la sicurezza necessarie ad affrontare nel duello decisivo il suo nemico, prototipo disumanizzato della società post-moderna, le può trovare solo ritornando nella sua terra di origine, dove la natura è vita e respiro. Lì, nelle Highland scozzesi, si rifugia, insieme al suo capo-madre e ad un vecchio uomo che fu amico di suo padre, per preparare lo scontro finale.

Un terzetto che in certo qual modo ricostituisce la famiglia perduta e dove James Bond, quale figlio, diventato uomo, si prende cura dei suoi vecchi e li salva, nel terribile scontro finale, dove l’avversario non viene a rappresentare solo il male ontologico ma anche il male senza senso della morte che ha colpito il piccolo James privandolo in giovane età dei suoi genitori.

S’intravede, nella vittoria finale di James Bond, il rabbioso desiderio di recuperare il senso del lutto patito nell’infanzia, salvando illusoriamente i propri genitori dalla morte.

Mario Tintori

Psicologo Psicoterapeuta

www.psicologo.bergamo.it

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