Cha cha cha (2013) di Marco Risi, un affascinante noir sullo sfondo di una Roma torbida e violenta

Intorno al film

Il poliziesco/noir è purtroppo un genere poco frequentato dal cinema italiano di oggi, per cui quando escono in sala pellicole di questo tipo c’è sempre di che gioire (o almeno incuriosirsi). Oltre ai film dei nuovi maestri (Fragasso, Soavi, Sollima, Placido), che sono garanzia di qualità, capita ogni tanto di trovarsi di fronte a prodotti insoliti e degni di attenzione. È questo il caso di Cha cha cha (2013), il film che non ti aspetti da un regista come Marco Risi: figlio del grande Dino e noto soprattutto per i cosiddetti film “neo-neorealisti” (Mery per sempre, Ragazzi fuori, Il branco) e per alcune opere di denuncia (Il muro di gomma, Fortapàsc), realizza qui invece un bel noir; dunque, puro cinema “di genere” in un momento in cui proprio il “genere” in Italia affronta momenti di crisi alternati a speranze di rinascita. Risi, visto il suo background cinematografico, non possiede la mano spettacolare dei suddetti registi, ma dirige con solidità una vicenda appassionante e con risvolti che possiamo definire “impegnati”.

cha cha cha

La vicenda

La storia si svolge a Roma ai nostri giorni, e vede come protagonista l’ex poliziotto Corso (Luca Argentero): espulso dalla polizia per motivi poco chiari, svolge ora l’attività di detective privato. Il suo attuale incarico è quello di indagare, per conto della sua vecchia fiamma Michelle (Eva Herzigova), sulla vita del figlio sedicenne. Quando il ragazzo muore in quello che sembra un incidente, l’investigatore segue invece la pista dell’omicidio: muovendosi tra agenzie di intercettazioni, piccoli criminali e loschi uomini d’affari, Corso rimesta nel torbido e scopre verità scottanti legate alla morte di un imprenditore. Ormai è chiaro che il ragazzo è stato ucciso per aver saputo troppo, ma le sue indagini sono ostacolate sia da alcuni misteriosi killer che dall’ambiguo commissario di polizia Torre (Claudio Amendola).

Narrazione e stile

Cha cha cha, più noir che poliziesco, sembra quasi un’involontaria risposta alla rappresentazione onirica e “felliniana” della Roma che vediamo ne La grande bellezza (2013) di Paolo Sorrentino: la città raccontata da Risi è sicuramente più cruda e realistica (come tipico del suo stile), una Roma “nera” e violenta (grazie anche alla fotografia del compianto Marco Onorato, che predilige i toni cupi), fatta di personaggi ambigui, detective privati, poliziotti corrotti, donne bellissime, fotografi alla ricerca di scandali, piccoli delinquenti, personalità importanti che si muovono nell’ombra. E poi c’è la vita notturna, fra discoteche e festini nelle ville (da qui il titolo, a dire il vero fuorviante), altrettanto corrotta di quella diurna e intrecciata con essa in maniera indissolubile: è il lato sporco e viziato della società italiana, soprattutto della sua parte “bene”, rappresentato da Risi con il suo consueto realismo, fra droga e prostituzione, attrici disposte a tutto per la scalata al successo, loschi avvocati e imprenditori, onorevoli scoperti in situazioni imbarazzanti. Ci sono dunque tutti gli elementi del noir, con uno stile però lontano dall’estetica pulp che oggi va per la maggiore, e più vicino invece alla tradizione italiana e francese (un po’ anche “alla Raymond Chandler”, se vogliamo).

Dal punto di vista più strettamente giallo-poliziesco, il mondo descritto da Risi in Cha cha cha è “sotterraneo”, forse una rappresentazione metaforica dei tanti misteri italiani (ecco l’aspetto impegnato del film): da un’indagine apparentemente “comune”, Corso approda in palazzi dove vengono intercettate conversazioni segrete, scopre fotografie compromettenti, intuisce collusioni fra malavita e apparati dello Stato, polizia (forse) compresa. E tutto ciò quasi gli costa la vita, in quella che è l’unica vera sequenza d’azione del film: l’agguato a suon di proiettili e il conseguente inseguimento in metropolitana, realizzato in maniera eccellente e con la giusta dose di suspense. Anche se l’azione scarseggia, il ritmo è quasi sempre sostenuto e il film appassiona lo spettatore dall’inizio alla fine, invitandolo a seguire le indagini di Corso attraverso una trama ben sceneggiata e senza inutili contorsioni: non a caso, visto che la sceneggiatura (su un soggetto di Marco Risi) è firmata dallo stesso Risi insieme ad Andrea Purgatori e Jim Carrington. Se è vero che ci sono alcune ingenuità (Argentero che estrae da solo il corpo del ragazzo dalla macchina, cosa notoriamente da non fare; il computer distrutto per eliminare una mail, quando invece i messaggi si possono leggere da qualsiasi pc), la storia è costruita bene, presenta sviluppi interessanti e alcuni colpi di genio (vedasi il twist e contro-twist conclusivo che rimescola le carte in tavola).

Gli attori entrano nelle parti con professionalità, senza strafare. Luca Argentero, ex “gieffino” protagonista di una rapida scalata nel cinema e in tv, è qui alla seconda prova in un poliziesco (dopo un ruolo secondario nel Cecchino di Michele Placido), e possiede il volto giusto da “bel tenebroso” per questo detective dal passato oscuro. La bellissima Eva Herzigova (nota più come fotomodella che come attrice), pur essendo monocorde è abbastanza efficace nel ruolo di Michelle, femme fatale molto sui generis. Curiosamente, sono più riusciti e ben caratterizzati alcuni personaggi a latere: il commissario Torre interpretato da Amendola, odioso e ambiguo, assolutamente memorabile soprattutto nei suoi duetti con Argentero; il losco avvocato Argento (Pippo Delbono, attore e regista teatrale), compagno di Michelle, colluso con la malavita e con poteri occulti; il viscido intercettatore con gli occhiali da sole (Bebo Storti, famoso soprattutto nelle vesti di comico televisivo).

La colonna sonora

Le musiche di Marco Benevento sono più che altro musiche d’atmosfera, brani cupi e tesi che fanno da “tappeto sonoro” evocando gli scenari tipici del noir. In alternanza, ci sono le melodie pop e dance che sentiamo durante le serate nei locali e nelle ville (Ma che colpa abbiamo noi, il Cha cha cha del titolo), con la partecipazione di Shel Shapiro e Nino Frassica nei panni di loro stessi: un’usanza peraltro frequente nel cinema più ancorato alla realtà (ricordiamo Little Tony nell’ottimo noir L’odore della notte di Claudio Caligari).

Davide Comotti

Bergamasco, classe 1985, dimostra interesse per il cinema fin da piccolo. Nel 2004, si iscrive al corso di laurea in Scienze Umanistiche dell’Università degli Studi di Bergamo (laurea che conseguirà nel 2008): durante gli studi universitari, ha modo di approfondire la sua passione tramite esami di storia, critica e tecniche del cinema e laboratori di critica e regia cinematografica.

Diventa cultore sia del cinema d’autore (Antonioni, Visconti, Damiani, Herzog), sia soprattutto del cinema di genere italiano (Fulci, Corbucci, Di Leo, Lenzi, Sollima, solo per citare i principali) e del cinema indipendente.

Appassionato e studioso di film horror, thriller, polizieschi e western (soprattutto italiani), si occupa inoltre dell’analisi di film rari e di problemi legati alla tradizione e alle differenti versioni di tali film.

Nel 2010, ha collaborato alla nona edizione del Festival Internazionale del Cinema d’Arte di Bergamo.

Esordisce nella scrittura su “La Rivista Eterea” (larivistaeterea.wordpress.com). Attualmente, scrive sulla rivista cartacea “Bergamo Up” e sulle riviste online lascatoladelleidee.it, ciaocinema.it, mondospettacolo.com, horror.itmalastranavhs.wordpress.com e nonsologore.it. Ha redatto inoltre alcuni articoli per il sito della rivista “Nocturno Cinema” (nocturno.it).
Ha scritto due libri: Un regista amico dei filmakers. Il cinema e le donne di Roger A. Fratter (edizioni Il Foglio Letterario) e, insieme a Vittorio Salerno, Professione regista e scrittore (edizioni BookSprint).

Contatto: davidecomotti85@gmail.com

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