Cinema indipendente: Gli arcangeli di Simone Scafidi

Intorno al film

Il cinema italiano contemporaneo, si sa, non vive una situazione felice. Ma sotto la macchina produttiva che segue le spietate leggi del mercato esiste un cinema indipendente, “nascosto”, coraggioso, che spesso riesce per fortuna ad approdare a festival importanti e qualche volta anche nelle sale. E non parliamo solo dei “generi” (horror, poliziesco, commedia), ma anche di un cinema d’autore dalla connotazione squisitamente artistica. È questo il caso del regista pavese Simone Scafidi, definito dall’autorevole critico Davide Pulici “Un filmmaker acuto e feroce, con il sano, vecchio gusto della provocazione e del graffio”. Un regista “anarchico”, dotato di uno sguardo particolare, non rinchiudibile in nessun genere. La sua opera d’esordio, Gli arcangeli (2004) – presentata in vari festival e uscita anche in sala – è stata di recente distribuita in un’ottima edizione dvd dalla Sinister Film per la collana “Italia Underground”.

arcangeli

La vicenda

Il piccolo Christian, durante il battesimo all’età di dieci anni, compie in chiesa uno strano gesto che preoccupa i genitori. Padre Siro (Franco Branciaroli) li rassicura, dicendo che tale comportamento è dovuto alla sua particolare sensibilità, ma in privato spiega la verità al bambino: egli ha avuto una visione, gli Arcangeli che pulivano il volto di Cristo dalle ferite della sofferenza umana, e ciò significa che dovrà affrontare una vita tormentata. Una volta cresciuto, Christian (Andrea Riva) vive infatti un’esistenza vuota, all’insegna del dolore, della violenza, dell’annullamento. Neanche l’incontro con Marlena (Francesca Inaudi), una ragazza segnata pure lei da un dramma, riesce a placare il suo nichilismo.

Narrazione e stile

Parlare del cinema di Scafidi non è cosa semplice, perché vuol dire confrontarsi non solo con uno o più film, ma con un universo artistico, (anti)narrativo, esistenziale e simbolico, nonché con uno sguardo cinematografico complesso e anticonformista (dietro al quale c’è un ampio bagaglio culturale, da Salò di Pasolini al surrealismo di Alberto Cavallone, da Robert Bresson alle opere letterarie di Bret Easton Ellis e Dostoevskij). Il discorso portato avanti dal regista inizia proprio con Gli arcangeli (anzi, già con il mediometraggio Cos’è l’amore), prosegue con Appunti per la distruzione – una docu-fiction che affronta la dicotomia fra “Bene e Male” – ed è tuttora in continuo divenire con il meta-cinematografico La festa e l’inedito Eva Braun. Ne Gli arcangeli, che conserva ancora oggi tutta la sua potenza e freschezza, sono contenuti in nuce gli elementi che caratterizzeranno i suoi futuri film – dal punto di vista sia estetico che contenutistico, una struttura complessa in cui forma e contenuto si intrecciano indissolubilmente.

Girato in digitale e con una produzione low-budget, la perizia del regista (e della troupe) riesce a superare ogni ostacolo e a creare un film di straordinaria forza visiva e narrativa. Esteticamente affascinante e quasi teatrale (piani-sequenza, lunghe inquadrature fisse, contrasti fra luce e ombra), Gli arcangeli segue sì una linea narrativa, ma al contempo si distanzia dal racconto classico procedendo – come afferma lo stesso regista – secondo dei “quadri”: sequenze visionarie, allucinate, surreali, mirabilmente fuse con altre estremamente concrete (sessualità, violenza). Possiamo definire l’opera prima di Scafidi come un lavoro “antropologico”, perché ciò che interessa all’autore è mettere in scena “l’uomo”, con tutti i suoi interrogativi: la vita e la morte, il Bene e il Male, il dolore, la religione, il sacro, il declino del mondo contemporaneo. Gli arcangeli non dà risposte, ma pone domande, interagendo con lo spettatore: racconta un mistero, esistenziale e metafisico. Fin dall’inizio il film è un enigma, perché non viene volutamente esplicato il gesto del bambino, né mostrata la sua visione. Ma non è un enigma da scoprire, non è un “giallo”, è un viaggio (iniziatico, ma al contrario) nella vita del protagonista, segnata da dolore, solitudine, desiderio di annullamento e rifiuto della morale borghese. Gli arcangeli è un’opera profondamente nichilista, così come lo sarà Appunti per la distruzione – dove il personaggio degli inserti di fiction (sempre Riva) darà vita a squarci apocalittici ancora più estremi. Dissacrante e provocatorio, eviscera attraverso i vari “quadri” numerosi temi scottanti, apparentemente astratti ma invece più concreti di quanto possa sembrare: il “sacro sporcato”, un percorso esistenziale e mistico destinato al fallimento, una ricerca alternativa del senso religioso che spinge il folle Christian (nome non casuale) a volersi “vendicare di Dio” per la sofferenza che si trova a vivere, e quasi a “sostituirsi” a lui in un delirio di onnipotenza. Il protagonista si abbandona alla violenza e sottomissione sulle donne, e finisce con l’abbracciare una religione “al contrario” (c’è un anti-battesimo e un’anti-comunione con Padre Siro). Tutto ciò emerge dalle immagini ma anche dai profondi e deliranti dialoghi, ai quali bisogna abbandonarsi senza cercare di comprendere razionalmente ciò che viene detto. Lungo tutto il film, Christian è seguito da Padre Siro, colui che per primo ha scoperto il suo segreto, entità fantasmatica che fa quasi da (arc)angelo custode, e da una serie di figure tra cui spicca Marlena. Emarginata come lui, con una vita difficile e un figlio disabile, potrebbe essere la risposta al suo bisogno d’amore, ma rimane pura soddisfazione sessuale, e solo nella conclusione la coppia trova un momento di vera intimità e felicità effimera. Gli arcangeli, come si diceva, procede per “quadri”. Ai momenti di narrazione lineare si alternano (e volutamente prevalgono) potentissimi squarci visionari in cui misticismo e realtà si confondono, sottolineati dalle auliche musiche a contrasto. Vedasi la scena della crocifissione di Christian, accompagnato in una landa desolata dalle consuete figure della sua vita; i profondi dialoghi con Padre Siro, quasi un Virgilio che accompagna questo novello Dante nella sua crudele esperienza (ultra)terrena; i monologhi di Christian, che “urla sussurrando” la sua rabbia e follia; le scene di violenza e sottomissione sessuale, di ispirazione pasoliniana e che torneranno in modo più esplicito in Appunti per la distruzione; il finale, con il progressivo e misterico sprofondare nella luce.

Se la regia è eccellente, considerato anche l’esordio nel lungometraggio e lo scarso budget a disposizione, altrettanto lo è il cast, composto da attori che si destreggiano con maestria fra il cinema e il teatro. Gigantesco Andrea Riva (co-autore di soggetto e sceneggiatura insieme a Scafidi), il cui personaggio sembra uscito dalle pagine di un libro di Nietzsche (filosofo infatti citato nel corso del film): bravissimo attore e autentico performer, impressiona lo spettatore con il suo sguardo allucinato e la voce penetrante, oltre che con l’utilizzo del corpo – fondamentale nel film, soprattutto nelle scene quasi da video-arte (la crocifissione, il monologo nella stanza buia illuminato da un fascio luminoso, lo sprofondamento finale nella luce). Lo affianca un’ottima e intensa Francesca Inaudi, nota attrice italiana, e altri attori provenienti da scuole teatrali (Fabrizio Raggi, Zamira Pasceri, Nicole Vignola). Una menzione speciale va al grande Franco Branciaroli, che conferisce un’ulteriore aura di lustro al film: un nome che non ha certo bisogno di presentazioni (ha lavorato con grandi registi come Jancsó, Bolognini, Antonioni), perfetto nel ruolo profondo e importante di Padre Siro, con il suo volto austero e la voce baritonale.

La colonna sonora

Da ottimo regista qual è, Scafidi conosce bene l’importanza della colonna sonora nell’efficacia visiva e narrativa di un film. Ne Gli arcangeli sceglie, in modo geniale, di comporne buona parte attraverso brani di musica classica e religiosa, con melodie altisonanti e aulici vocalizzi. Troviamo la Passione secondo San Matteo di Bach, l’adagio della Quarta Sinfonia di Beethoven, il Requiem di Mozart e due brani della Cavalleria rusticana di Mascagni: il malinconico pezzo che accompagna la scena d’amore fra Riva e la Inaudi e l’allegra aria Viva il vino spumeggiante – utilizzata come “musica a contrasto” durante lo stupro della ragazza legata. L’utilizzo di una colonna sonora dagli accenti “mistici” riprende il tema religioso, ma al contempo stride volutamente con la disperazione che trasuda da tutto il film. Completa il quadro sonoro un po’ di “sound design” d’atmosfera.

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