Intorno al film
Mario Monicelli è stato in grado di sviluppare la sua poetica passando dal dramma alla commedia senza soluzione di continuità: padre della commedia all’italiana, ha immortalato nei suoi film decenni di storia popolare, dipingendo vizi e virtù in salsa agrodolce. Fra le sue opere più famose c’è sicuramente Amici miei (1975), un capolavoro ricco di divertimento ma anche amarezza entrato nell’immaginario collettivo con i suoi personaggi indimenticabili e alcune scene cult. Lo stesso Monicelli diresse poi il secondo atto, riuscito quanto il primo, e Nanni Loy il terzo, gradevole ma un po’ “crepuscolare” e senza la verve dei due precedenti. L’idea di Amici miei venne da Pietro Germi, che non poté però realizzarlo a causa della malattia che lo avrebbe condotto alla morte nel 1974: i realizzatori del film hanno voluto rendergli omaggio scrivendo nei titoli di testa “Un film di Pietro Germi”.
La vicenda
Quattro amici fiorentini, compagni da una vita, cercano di superare i loro problemi familiari ed economici ritrovandosi per fare burle e “zingarate”, viaggi senza meta con il solo scopo di divertirsi in compagnia. Sono il Conte Mascetti (Ugo Tognazzi), il Melandri (Gastone Moschin), il Perozzi (Philippe Noiret) e il Necchi (Duilio Del Prete), ai quali si aggiunge il professor Sassaroli (Adolfo Celi), conosciuto dopo un incidente. Tra avventure sentimentali, scherzi e riflessioni sulla vita, il quintetto vive alla giornata: ciascuno coi suoi problemi, ma uniti dall’amicizia e dalla voglia di vivere in allegria.
Narrazione e stile
Amici miei è uno dei vertici della commedia all’italiana, un film che intrattiene piacevolmente con battute irresistibili e situazioni sopra le righe, ma presenta anche l’inconfondibile vena malinconica e amara di Monicelli – già presente ne La Grande Guerra e che raggiungerà lo zenit con il crudele Un borghese piccolo piccolo – per esempio nella figura del Conte Mascetti, perennemente senza soldi ma con una propria dignità e una morale ben precisa.
Determinante è il quintetto di attori in stato di grazia, ciascuno dei quali dà vita a personaggi con caratteri pittoreschi: oltre a Tognazzi, irresistibile mattatore della commedia italiana, troviamo un altro gigante del genere come Gastone Moschin (pienamente a suo agio nei ruoli comici ma anche drammatici – vedasi Milano calibro 9), il francese Philippe Noiret e altri due grandi attori italiani, Duilio Del Prete e Adolfo Celi. Altrettanto variegato è il cast femminile: Olga Karlatos, volto noto soprattutto nel cinema “di genere”, è la moglie del Sassaroli e poi compagna del Melandri; Milena Vukotic, famosa soprattutto come moglie di Fantozzi, interpreta qui la consorte altrettanto sfortunata del Conte Mascetti; Silvia Dionisio è la giovane amante del medesimo, e nel finale compare anche Angela Goodwin, vedova del Perozzi. Da notare infine la presenza del celebre attore francese Bernard Blier, che diventa co-protagonista degli ultimi 40 minuti e vittima di un grandioso scherzo ad opera del quintetto.
Memorabili le gag che i cinque amici si rimbalzano l’un l’altro o con i malcapitati che incappano nelle “supercazzole”, cioè frasi senza senso con l’unico scopo di prendere in giro e salvarsi da situazioni scomode (come un vigile in procinto di multarli). Amici miei inizia con la presentazione dei personaggi e la voce narrante del Perozzi, che funge quindi anche da narratore esterno; mentre i quattro storici amici si mettono in viaggio per una “zingarata”, un flashback ci mostra il bizzarro incontro col professor Sassaroli in una stanza d’ospedale. L’articolazione in lunghi flashback è una costante del film, che attraverso una certosina sceneggiatura si snoda fra eventi passati e presenti: la regia immensa di Monicelli e le interpretazioni istrioniche danno vita a 127 minuti assolutamente gradevoli, seguendo quello che dovrebbe essere un vademecum per ogni commedia che si rispetti. Innumerevoli i momenti divertenti, ed è incredibile come i cinque amici riescano sempre a trovare un modo di ridere anche nelle situazioni più difficili (pensiamo alla scena in ospedale o al funerale che chiude l’opera): fra un’imbucata a una festa elegante, un finto progetto di demolizione di un paesino e la celeberrima sarabanda di schiaffi ai passeggeri del treno in partenza, i personaggi sono eterni ragazzini che vogliono prendere la vita come un gioco senza preoccuparsi troppo del domani (come fa notare l’austero figlio del Perozzi, simbolo di due generazioni opposte). Tutti i protagonisti si trovano a vivere situazioni grottesche, vessati da una vita familiare non proprio idilliaca: Tognazzi, nobile decaduto e che vive in una stamberga, riesce sempre a raccontare frottole alla moglie per recarsi ai suoi incontri galanti, Celi e Moschin si dividono la donna creando equivoci imbarazzanti, Del Prete vive con la bisbetica consorte e gestisce il bar dove sono soliti trovarsi, mentre Noiret è in perenne conflitto col figlio. Per evadere dalla realtà, li vediamo quindi inventarsi sempre nuovi scherzi: particolarmente lungo ed esilarante è quello architettato ai danni del vecchio Righi (Blier), un bisbetico frequentatore del bar al quale gli amici fanno credere di essere una gang di malavitosi, tra finte imboscate e consegne di denaro. La grande “stangata” al vecchio prelude all’indimenticabile finale, che racchiude un po’ lo spirito del gruppo e l’atmosfera agrodolce del film: al funerale del Perozzi, il Righi chiede cosa gli sia successo, e Del Prete/Tognazzi rispondono “Era un traditore. Abbiamo dovuto eliminarlo”, scatenando un’ilarità generale trattenuta a stento.
La colonna sonora
Anche la colonna sonora rispecchia lo spirito della vicenda. L’ossatura è affidata a Carlo Rustichelli, compositore di musiche per innumerevoli film, che qui esprime al meglio il proprio stile semi-jazzistico con melodie dal sapore malinconico. A questi brani di sottofondo, non invasivi ma che arricchiscono comunque l’atmosfera, si contrappongono gli allegri motivetti cantati dai cinque amici.
Davide Comotti