Claudio Fragasso torna al cinema con La grande rabbia (2016)

Intorno al film

Dopo la duplice parentesi nella commedia con Una notte da paura e Operazione vacanze, Claudio Fragasso ritorna nel genere che gli è più abituale fin dagli anni Novanta, cioè il noir/poliziesco, con La grande rabbia (2016). Abile come pochi altri al giorno d’oggi nel realizzare un connubio fra impegno e spettacolo – come insegnano i maestri degli anni Settanta – ha messo in scena i temi più scottanti del nostro Paese: dopo naziskin (Teste rasate), mafia e polizia (Palermo Milano solo andata e il sequel Milano Palermo il ritorno), terrorismo (Concorso di colpa), esercito (Le ultime 56 ore), con il nuovo film tocca all’immigrazione e alle periferie come terreno fertile per la criminalità. Cambia la produzione, che passa dal mainstream con un budget medio/alto a un sistema semi-indipendente low-budget (produce la factory del regista insieme a Gianni Paolucci), e l’abilità di Fragasso è di riuscire comunque a mantenere un’ottima regia e messa in scena. Dopo una lunga e faticosa lavorazione, lo scorso 28 aprile La grande rabbia è uscito al cinema: pur essendo distribuito in meno sale per i suddetti motivi, il film è riuscito a riscuotere un buon successo di pubblico e critica.

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La vicenda

La vicenda si svolge a Roma lungo una giornata del dicembre 2014: sullo sfondo delle tensioni fra popolazione e immigrati, che sfociano nei violenti scontri di Tor Sapienza con la polizia, si dipanano le storie di due ragazzi borderline uniti da una fraterna amicizia, il romano Matteo (Maurizio Matteo Merli) e Benny (Miguel Gobbo Diaz), ragazzo di colore adottato da piccolo e appena uscito dal carcere. Matteo fa parte di un gruppo neofascista che vuole ripulire la città; Benny, anch’egli fascistoide, si guadagna da vivere partecipando a combattimenti clandestini. Matteo vuole tenersi lontano dalla malavita, ma finisce per seguire l’amico in alcune imprese, come recuperare il suo oro da una comunità rom e fargli da manager in un incontro.

Narrazione e stile

Claudio Fragasso, nelle note di regia, indica esplicitamente come modello il neo-noir francese L’odio di Mathieu Kassovitz, che nel 1995 sconvolse le platee per la cruda rappresentazione delle rivolte nelle banlieu parigine, e del quale La grande rabbia si può considerare una risposta italiana. Effettivamente, guardando il film emergono varie similitudini stilistiche e tematiche: la vicenda narrata, l’asciutto realismo, l’uso del B/N per tutti gli 86 minuti raffigurano in modo spietato le tensioni sociali, la vita delle periferie, la micro-criminalità della Roma contemporanea, un mondo violento dove le storie dei singoli finiscono per incrociarsi tragicamente con la Storia recente. Soggetto e sceneggiatura sono scritte da Rossella Drudi, moglie e collaboratrice del regista, e come sempre il connubio fra script e messa in scena è perfetto. Rispetto alle opere precedenti, Fragasso utilizza una regia meno roboante (pur non rinunciando a scene spettacolari), più intimista e socio-psicologica, mescolando il noir con il dramma sociale, sia per una precisa scelta stilistica sia per il nuovo sistema produttivo di cui si è parlato.

Un film di questo tipo si esporrebbe inevitabilmente al rischio di strumentalizzazioni ideologiche, ma Fragasso e la Drudi sono abili nell’evitare l’ostacolo adottando uno sguardo il più possibile neutrale: non c’è una distinzione manichea fra “buoni” e “cattivi”, la violenza e la rabbia sono rappresentati come elementi distruttivi e sbagliati da qualunque lato o fazione sociale li si guardi – basti pensare al triste linciaggio conclusivo da parte dei facinorosi in preda a un odio cieco. Tutti fanno parte di una situazione esplosiva più grande di loro, tutti in qualche modo sono colpevoli, tutti esercitano una forma di violenza (sicuramente è un’opera che appassiona e fa riflettere). Le situazioni di degrado vengono analizzate dall’interno, con una profonda caratterizzazione dei personaggi e con tocchi semi-documentaristici in alcune scene (vedasi le interviste agli abitanti del quartiere), nonostante sia un film di “finzione” con attori. Il titolo non è secondario: se da un lato riecheggia L’odio, dall’altro sembra contrapporsi alla “Grande bellezza” messa in scena in modo estetizzante da Paolo Sorrentino nel suo film Premio Oscar. Qui non c’è spazio per nessuna idealizzazione, la realtà è messa a nudo nei suoi aspetti più duri e sgradevoli, specchio della drammatica attualità italiana di cui il film rappresenta problemi e contraddizioni. La grande rabbia è un film pluri-tematico: sotto lo sguardo di Fragasso passano l’immigrazione, la criminalità (italiana e straniera), la polizia, la gente che si ribella, l’organizzazione neofascista di cui Matteo fa parte, la periferia come humus fertile per la nascita della micro-criminalità – e in questo ricorda per certi versi lo struggente noir Non essere cattivo (2015) di Claudio Caligari. Ampio spazio è dedicato ai dialoghi, secchi e taglienti, e alla costruzione dei personaggi, tutti pieni di contrasti interni: sul variegato panorama umano dominano Matteo, fascista convinto nonostante il parere contrario del padre e del fratello celerino, e Benny, che nonostante il colore della pelle si sente profondamente italiano e addirittura vuole introdursi nel movimento di estrema destra di cui fa parte l’amico. Due contro tutti, due “ultimi” che vogliono emergere o quantomeno sopravvivere, e lo fanno come possono in una Roma ostile e “nuda”, come recita la ricorrente e ossessiva canzone rap che sentiamo: l’uno partecipando alle ronde per “ripulire” la città, l’altro con i combattimenti clandestini. Accanto a loro ruotano piccoli delinquenti, neofascisti, rom, immigrati che a loro volta sopravvivono come possono. I due protagonisti hanno la fisicità espressiva dell’esordiente Diaz e di Merli, già con varie esperienze nel cinema e figlio del grande Maurizio, celebre attore di film polizieschi negli anni Settanta, e sono affiancati da interessanti personaggi di contorno interpretati a loro volta da attori di alto livello. Ricordiamo il padre di Matteo, uno stralunato Flavio Bucci con la sua “filosofia della monnezza”; il grosso e tatuato capo rom Gianluca Petrazzi (figlio di Riccardo, celebre stuntman negli anni Settanta, a sua volta stuntman e regista del buon poliziesco Roma criminale); il folle combattente nazista “Führer” (Giulio Base), incarnazione del superomismo nietzschiano, che compare sul ring indossando una tunica da frate e picchia citando versi della Bibbia – personaggio ripreso da Teste rasate (1993) dove era interpretato ancora da Base; Vincenzo Peluso, capo del reparto celere della polizia; Ydalia Suarez nel ruolo di Alicia, una donna sudamericana che incrocia la sua storia con quella di Matteo e Benny; oltre ai vari caratteristi di contorno, da notare un cameo dello stesso Fragasso nel ruolo di un pensionato che predica l’unione di bianchi e neri contro i politici.

Nonostante l’approccio differente rispetto ai film precedenti, per tutto quanto si è detto inizialmente sullo stile, Fragasso non rinuncia allo spettacolo – le scene d’azione sono una delle sue specialità – riuscendo a trovare quel giusto equilibrio fra ritmo e denuncia che non può mancare in ogni noir che si rispetti. Non ci sono le sequenze roboanti di Palermo Milano solo andata e sequel o de Le ultime 56 ore, ma le scene di violenza e azione rimangono impresse. Pensiamo innanzitutto ai combattimenti clandestini di Miguel Gobbo Diaz, prima con lo zingaro nel campo rom, poi col folle Giulio Base nel capannone: scontri violenti, acrobatici, fatti di calci, pugni e colpi proibiti – notevoli le coreografie dirette da Fragasso con l’aiuto dello stuntman Petrazzi – privi di ogni connotazione fumettistica o pulp ma terribilmente realistici, come tutta l’atmosfera plumbea che si respira nel corso della vicenda (degna di nota anche la rissa fra la coppia Diaz/Merli e gli zingari). Altra componente fondamentale dello spettacolo sono gli scontri fra polizia e facinorosi, ottenuti alternando vere immagini di repertorio con efficaci ricostruzioni in stile ACAB di Sergio Sollima. E anche quando non c’è azione vera e propria, il film non ha un attimo di cedimento: la regia riesce a mantenere il ritmo sempre alto, grazie a una trama complessa, personaggi ben caratterizzati, dialoghi pregnanti e mai banali, momenti di suspense (vedasi i tentativi di aggressione nei tuguri abitati dagli extracomunitari), e un montaggio frenetico (Angelo D’Agata) messo in risalto dalla colonna sonora rap che convoglia in modo sempre più sincopato fino al tragico epilogo – naturale conclusione di una tensione crescente e sempre pronta a esplodere. L’asciutto bianco e nero fotografato da Robin Brown valorizza l’atmosfera plumbea e disperata dello squarcio sociale rappresentato: Fragasso gira nei luoghi più squallidi di Roma, fra periferie, baraccopoli e casermoni underground – tratto ricorrente della sua narrazione fin da Teste rasate e prima ancora da quel gioiello d’autore che è Difendimi dalla notte (1982); La grande rabbia è un film violento, una violenza fisica e psicologica che non risparmia nessuno, tra lotte, pestaggi, scippi e scontri di piazza. Fragasso riesce ancora una volta a fotografare uno spaccato attuale della realtà italiana più drammatica: come aveva fatto nel 1995 con Palermo Milano solo andata – erano gli anni delle stragi di mafia e dei pentiti – ora lo fa con l’immigrazione e la micro-criminalità delle periferie romane: in modo diverso, ma sempre con grande acume e forte impatto emotivo.

La colonna sonora

Più che il commento musicale di Pino Donaggio, comunque efficace con le sue tonalità tese oppure grigie e malinconiche, nella colonna sonora spiccano i brani rap del romano Tommaso “Piotta” Zanello, uno fra i più conosciuti esponenti dell’hip-hop italiano. Musiche ritmate, canzoni frenetiche narranti storie di vita che accompagnano le drammatiche vicende dei personaggi e che ben si sposano con il B/N e il montaggio sincopato: migliore scelta non si poteva fare, visto che il rap è per eccellenza il genere musicale “della strada”, dei giovani borderline che cercano di emergere o vivere come possono, proprio come i nostri personaggi.

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