Convivenza

Questa parola richiama, al giorno d’oggi, un rapporto di coppia, fatto di scelte personali senza necessità di benedizione civica o divina.

Questo collegamento è parzialmente un errore.

La convivenza non dovrebbe solo richiamare l’amore di due sole persone, che per scelta stanno insieme e decidono di condividere la reciproca vita, ma dovrebbe richiamare la condivisione dello spazio comune con persone diverse, la vita quotidiana con culture diverse, il rapporto civile di cittadini diversi, perché dovrebbe ricordarci che siamo tutti diversi: io da voi, voi da me, altri da noi.

Qualcuno ci ha insegnato che esiste anche un probabile “più” diverso, senza però darci spiegazioni realmente sostenibili di questa diversità. Solitamente l’insegnamento si basa su studi antropologici che vengono fatti ricadere nella semplicistica suddivisione in razze dell’umanità, creando dei distinguo culturali per cui un giallo è quasi come un bianco, ma il bianco è molto meglio di un nero, di un rosso, di un olivastro, e di un giallo, rafforzando questa teoria con delle forzature alla storia e dichiarando in fase finale che “se fosse vero il contrario sarebbe tutto capovolto, per cui il nero sovrasterebbe il bianco che sarebbe inferiore al giallo, al rosso, ad un olivastro.”

Idea bestiale del mondo

Un’immagine che distorce la realtà estratta da identità.com

Tutto questo gran parlare di razze, di individuazioni fisiche più che semiotiche, ci porta ad essere influenzati da un pensiero che ha in sé delle fortissime dietrologie, e che vede nella possibilità dell’essere stanziale di una persona di “colore o cultura diversa”, in uno spazio prossimo a chi lo abita da generazioni, un tentativo di invasione, e di conseguenza di una lineare alterazione del dogma della supremazia propostoci.

Tutto questo gran parlare di razze e di supremazia crea la condizione di timore di poter perdere il primato. Dopotutto basta che gli altri siano di più e il gioco è fatto. Con questo senso di instabilità la reazione sociale è l’arroccamento. Da dietro le nostre impermeabili difese dichiareremo il nostro perché non vogliamo conoscere: “se noi siamo il meglio, sono gli altri che si devono uniformare” e dimenticheremo la grande verità: non si smette mai di imparare.

Con la suddivisione in razze accettiamo un dogma che ci impigrisce, ci incattivisce e ci rende ignoranti.

Il dogma, come tale, per continuare a vivere non ha solo bisogno di società, ma necessita di altri sostegni altrettanto dogmatici e problematici, come quelli che di solito sono proposti da chi affronta la religione come esperienza impositiva e indicativa del corretto modo di vivere, e non come uno studio millenario di milioni di persone che hanno portato noi ad essere maggiormente emancipati, liberi, mobili e conviventi.

Palestina e Israele

Un’immagine estratta da un articolo di odysseo.it

La religione è difatti un problema quando si manifesta come potere umano, e questo lo insegna la storia affrontata con totale e franca onestà. Ed è quello religioso, nella storia umana, uno dei poteri più invasivi, perché vuole operare sullo spirito delle persone, rifiutando di stare alla pari con il potere temporale e transitorio di popoli autodeterminati, autoregolamentati, autofinanziati, con cui dichiara di voler convivere, ma di cui cerca però di comprimerne le derive di libero pensiero, nel timore di vedere il “potere spirituale” e dogmatico messo a confronto con idee sociali creative, e nel timore di ricevere inevitabili note di richiamo. Dopotutto se è vero che Dio attraverso suo figlio disse:“Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici.(Vangelo di Giovanni 15, 9-17) e che lui, figlio di Dio, morendo insegnò il senso e il bisogno della pace umana, dell’amore incondizionato, del perdono, allora quando papa Urbano II (prendendo un esempio a caso) disse la storica frase a proclamo delle crociate: “Dio lo vuole” dimostrò che la religione, quella sostenuta da un potere tutto umano, ha una propria storica fallibilità, una propria imprecisione umana e un’umana mediocrità.

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Urbano II proclama la prima crociata, immagine estratta da un articolo di cattolicesimo-reale.it

 

Anche questo giudizio, che per qualcuno potrebbe essere “spietato”, nasce da un’attenta e libera analisi della storia. Se mettiamo a confronto le catastrofi storiche a base religiosa (crociate, progrom, il genocidio armeno) con le catastrofiche guerre dei popoli (invasione della Gallia, le campagne dei Conquistadores, la Guerra dell’Oppio, i conflitti mondiali del XX secolo), ci viene mostrato che i peggiori conflitti, anche quelli economici e giuridici, sono sostenuti e spinti da persone che hanno il consenso di una larga maggioranza della popolazione media, ossia di quelle persone che umanamente sono fallibili. Da qui si può ammettere senza offendere, che la fallibilità umana “inquina” l’infallibilità divina, e l’infallibilità (presunta) di chi ha il potere sui popoli.

Per cui, se è vero che la dietrologia dogmatica di chi suddivide l’umanità in razze, dimostra la sua fallibilità di pensiero nel momento in cui divide le persone, invece di unirle per migliorarci, e che la sua ricerca di sostegno è altrettanto fallimentare perché trova conferme in chi riesce a dividere DIO in religioni diverse, e che se una religione è in grado di distruggerne un’altra va combattuta, arginata e odiata, all’ora è vero che l’unica soluzione sta nella convivenza.

La convivenza non ha bisogno di studi, impianti dogmatici politici e religiosi, guerre e relative spese militari. La convivenza è l’azione più umana ed economica possibile. Non consuma, non distrugge, ma alimenta e sostiene.

Dalla convivenza potremmo imparare a non avere paura, scoprendo il nostro coraggio sociale, che ci permetterebbe di arginare i nostri difetti. Dalla convivenza potremmo ricevere delle lezioni culturali incredibili, scoprendo che la cultura antropologica basa la propria riflessione sullo stupore per le varietà di esperienze di vita sociale umana e non sul desiderio di dividere il mondo in blocchi spaventati e bellicosi.

Senza convivenza siamo come i Lillipuzziani dei I viaggi di Gulliver, in grado di fare la guerra per un uovo.

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