Navigando nei vari social network ho letto post che esprimono appoggio a Putin, amato dalla destra e dai nuovi rampolli del nazionalsocialismo dell’europa occidentale (fonte Internazionale), per un eventuale intervento in Ucraina per “spianare” o “debellare” i nazionalsocialisti locali, rimproverando all’Europa e agli Stati Uniti d’America una politica estera aggressiva verso il paese russo.
Leggo e resto perplesso davanti a certe parole.
Conosciamo questo paese?
L’Ucraina è una giovane nazione passata attraverso il controllo di un potere ereditario e secolare (zarismo), seguito da quello centrale dell’URSS, a una fragile democrazia, senza mai perdere la propria connotazione nazionalista che ha radici nella sua storia più antica. Tra la prima metà del 1500, periodo in cui si ipotizza la fondazione del regno cosacco, da collocarsi geograficamente nell’attuale Ucraina dell’ovest, e la seconda metà del 1700, quelle terre furono teatro di violenti conflitti con i tatari della Crimea. Una situazione durata 200 anni risoltasi con l’intervento deciso della zarina Caterina La Grande che eliminò brutalmente la Zaporogia (la nazione cosacca) nel 1775.
Dopo quasi due secoli di relativa calma, in cui tutto si pose sotto l’egemonia zarista, fu durante la seconda guerra mondiale che il desiderio d’indipendenza della popolazione ucraina riaffiorò violentemente, portando tutta la popolazione ad un’aperta collaborazione con gli occupanti nazionalsocialisti, a cui fornirono sia volontari per l’esercito del Reich (più di 300.000 domande di arruolamento spontaneo) che facili aperture alle loro richieste. Le speranze di sganciarsi dall’URSS però si scontrarono quasi immediatamente con la brutalità degli occupanti e questo portò alla conseguente rivolta degli ucraini anche verso il nazismo.
Nella seconda metà degli anni quaranta, per aver collaborato con il nazionalsocialismo, la popolazione subì deportazioni di massa verso i gulag su ordine di Stalin. Alle deportazioni seguirono un’ulteriore russificazione del territorio ad Est e la “donazione” della Crimea tatara. Questa concessione fu fatta con una certa lungimiranza politica che puntò al controbilanciamento degli equilibri interni alla regione e al ravvedimento di eventuali risacche indipendentiste. I primi risultati furono positivi, ma tutto durò sino ai fatti della primavera di Praga, che determinarono un nuovo raffreddamento delle simpatie verso l’Unione Sovietica.
Dopo il crollo dell’Unione Sovietica l’Ucraina divenne uno stato indipendente ma pur sempre orbitante negli interessi generali dell’economia russa.
Dal 1700 al 2000 l’Ucraina non ha mai sperimentato un’indipendenza reale e sta conoscendo l’esperienza democratica solo da vent’anni, periodo in cui si è corazzata di un forte nazionalismo popolare, ma non istituzionale, con tutti i rischi e le conseguenze che stiamo riscontrando in questi ultimi mesi.
Attualmente a ovest vive la popolazione originariamente ucraina (lontani discendenti delle tribù cosacche), più povera e nazionalista; a est la popolazione russofona, più ricca, detentrice dei poteri decisionali e introdotta dopo le epurazioni degli anni cinquanta; e in Crimea, territorio forzatamente ucraino dal 1954, vivono gli eredi dei tatari che per secoli furono in guerra con i cosacchi (fonte forum sito russia-italia.com). L’Ucraina ha dunque forti risacche di risentimento interno facilmente infiammabili.
In questi giorni ad ovest impera la destra nazionalista, che ha raccolto i consensi negli anni serpeggiando tra la popolazione anche grazie all’assenza di Julija Tymošenko, la leader dell’opposizione interna messa agli arresti dopo un processo farsa voluto da Janukovyč, la proposta politica ucraina degli ultimi anni. Una decisione pesante, presa da un presidente-dittatore spudoratamente filorusso, che con la sua politica economica e energetica ha venduto l’indipendenza ucraina all’oligarchia dell’attuale presidente russo.
Chi è il presidente russo?
Vladimir Putin, che fu prima spia del Kgb in Germania dell’Est, e poi uno dei padri dell’attuale politica russa, nata dopo il crollo del comunismo sovietico, prese il potere politico succedendo a Boris Elstin, che ufficialmente passò lo scettro per motivi di salute, mentre dovette ritirarsi perché coinvolto, insieme alla famiglia, in una truffa miliardaria per la ristrutturazione del Cremlino su cui stava indagando la magistrato Carla Del Ponte. L’origine politica dell’attuale presidente russo ha dunque radici in quel comunismo sovietico, che ebbe nell’uso della forza, attraverso l’invasione armata, la soluzione di conflitti politici sia interni alla cortina di ferro (Ungheria, Polonia, Cecoslovacchia), che esterni alla propria area di influenza (Afghanistan), tant’è che le risoluzione dei problemi russi oggi coincidono con separazioni territoriali, invio di soldati e carri armati (Cecenia e Georgia).
Nel corso degli anni Putin ha dimostrato di avere una visione della vita politica e dell’opposizione scarsamente democratica. Si presuppone che abbia commissionato, o quanto meno gradito, il brutale assassinio della giornalista Politkovskaja rea di aver scritto verità scomode sulla guerra cecena; inoltre prese le parti delle popolazioni filorusse durante la crisi regionale in Abkhazia e Ossezia (con le stesse modalità di oggi in Ucraina) desiderose di sganciarsi dalla Georgia, che a sua volta si vide respingere l’ingresso nell’orbita Nato e si trovò privata delle due regioni; ha voluto e promulgato leggi contro l’omosessualità, i cui effetti sono riscontrabili nei filmati agghiaccianti del sito vk.com; infine in data 07 maggio ha fatto votare una legge censura per le oscenità.
Sulla base di queste considerazioni e fatti si può dire che negli stati indipendenti dell’area caucasica si scontrano da anni logiche economiche basate su rubli e dollari (potere russo e Nato), e che quanto si sta verificando in questi giorni sia solo un’altra mossa sullo scacchiere internazionale.
Putin in Ucraina ha alimentato la tensione, e la storia insegna che ha le idee chiare per sfruttarla al meglio, solo non si capisce se in quest’occasione abbia timore o meno della Nato; Obama e gli interessi economici americani, più che occidentali, parlano di rispetto della democrazia ma probabilmente puntano a un presidente fortemente filo-occidentale, più che puramente ucraino. Il perché è ovvio e scontato: in ballo ci sono miliardi di dollari, euro, rubli.
Tre tipologie di campagna comunicativa: filo-russa / filo-occidentale / occidentale
L’Ucraina di oggi ha un forte desiderio democratico e un bisogno di ripresa economica che la rendono labile a qualsiasi influenza. Internamente sono presenti due anime violente del paese che hanno nel separare, o mantenere rapporti politici, probabilità di ritorni economici importanti ma con presupposti diversi. Quello che ora si inizia a percepire è una volontà di entrambe le aree estremiste: ucraina e filorussa, di arrivare al conflitto, magari per favorire velocemente i rispettivi interessi economici.
Nel caso di guerra civile o violente scaramucce le uniche vittime sono e saranno i civili, ossia la popolazione che spera, si appoggia, sbaglia e pagherà anche i suoi più piccoli errori per diversi anni. Errori che potremmo commettere anche noi al loro posto, perché la storia vissuta direttamente è tutta un’altra cosa rispetto a quella letta e non lascia spazi di riflessione, ma solo rapidi passaggi d’azione a cui sempre corrisponde una reazione. Una situazione questa che produce (ovunque) devastanti effetti a lungo periodo.
Il rischio è dunque una guerra tutta interna in cui si confronteranno sul campo due visioni economiche del mondo, quindi non una reale campagna di schieramenti politici o idee che nelle democrazie secolarizzate, di cui ricordiamoci l’Italia ancora non fa parte, portano a duri scontri verbali che difficilmente trascendono in battaglie armate, ma una probabile guerra del denaro, che anche se solo ipotizzata, dimostra nuovamente, e ancora una volta non troppo lontano da casa, quanto poco vale la vita di una persona. A Odessa settimana scorsa è stato così.
Per questo quando leggo le opinioni di superficiali commentatori da pc resto perplesso.