Tra fiaba e realtà: Paolo Uccello

Tra gli artisti più eclettici e particolari del 400 italiano merita di essere ricordato Paolo Uccello, pittore non particolarmente conosciuto ma sicuramente interessante. Guardando i suoi dipinti e gli affreschi sembra quasi di entrare in un Medioevo fiabesco abitato da draghi, cavalieri e principesse in pericolo. Belli ed inquietanti allo stesso tempo.

Da alcuni documenti risulta che dovrebbe essere nato attorno al 1397 in una famiglia che godeva di una certa dignità nella Firenze dell’epoca. Il soprannome Uccello gli fu affibbiato, secondo le fonti, perché egli si dilettava molto nella raffigurazione di volatili; la firma Pauli Ugielli comparve per la prima volta in un affresco di grande prestigio, e questo lascia un dubbio in realtà sulla vera motivazione del soprannome, che seppur dimostra l’amore del pittore per gli animali, sembra una spiegazione troppo riduttiva vista l’importanza dell’opera in cui scelse di collocata.

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In un’epoca caratterizzata dal rigore di Piero della Francesca, quelle di Paolo Uccello sembrano opere astratte, oniriche, ancora legate a quello stile gotico che ormai tutti gli artisti avevano superato.

In San Giorgio e il drago, dipinto tra il 1450 e il 1460, le tre figure sono poste in un ambientazione paesaggistica all’aperto: una grotta sulla sinistra copre parte del cielo scuro in cui si intravede lo spicchio della Luna, e sulla destra anaza un groviglio turbinoso di nuvole, presagio di una possibile tempesta. La principessa assiste al combattimento tra il mostro e il cavaliere con un atteggiamento impassibile: ha la bocca semi aperta ma non mostra ne timore ne spavento. Sembra quasi incorporea, senza peso, e più che essere lei la prigioniera pare tenere al guinzaglio il drago. Il cavaliere, San Giorgio, sta colpendo con la lancia il drago: anche lui non mostra la rabbia o il vigore che in quel momento, mentre sta attaccando, dovrebbe mostrare. L’unico accenno di violenza della scena è il sangue che sgorga dalle fauci del drago.

FIG2

La serie delle tre tavole che presentano la Battaglia di San Romano rappresenta l’opera più importante dell’artista. I dipinti raccontano tre episodi salienti dello scontro tra Firenze e Siena nel 1432, e il momento più intenso è rappresentanto nella seconda, Le milizie fiorentine sbaragliano le truppe senesi. In questa tavola, che misura 1832×323, la successione dei piani sembra quasi non esistere: l’idea di profondità è data da alcuni semplici dettagli, come le lance e le balestre scorciate, i cavalli e i soldati che, muovendosi, eseguono movimenti obliqui. La violenza della scena è attutita dalla ricchezza dei dettagli, sopratutto nei cavalli che sembrano quasi giocattoli più che animali veri.

FIG.3

Ma l’opera più misteriosa e a cui ancora non si è riusciti a dare un significato completo è la Caccia notturna. Non si sa di preciso per chi e per quale motivo sia stata commissionata l’opera, ma probabilmente faceva parte dell’arredo di una stanza.

Sullo sfondo formato da un cielo nero si stagliano alberi altissimi e sottilissimi, che formano come fossero colonne la quinta della raffigurazione, che pare essere infinita. In questo bosco quasi incantato sono inseriti, immobili e fuggitivi al tempo stesso, uomini e animali intenti appunto in una battuta di caccia notturna. Tra i colori scuri dello sfondo spicca il rosso vivo degli abiti degli uomini e il bianco degli animali, che danno luce al dipinto.

Quest’opera è considerata l’ultima di Paolo Uccello, artista ormai settantenne che non rinuncia fino alla fine alla sua visione incantata e fiabesca.

FIG.4

Chiarezza, complessità, regolarità geometrica e fantasia sono gli ingredienti fondamentali della poetica di Paolo Uccello. Molti l’hanno accostato addirittura alle correnti del cubismo e del surrealismo, che per certi aspetti sembra quasi anticipare.

Vasari, il biografo degli artisti rinascimentali, ricorda come verso la fine della sua carriera Paolo Uccello si ritrovò solo, isolato, per via del suo stile così distante da quello dei suoi contemporanei.

Secondo alcuni l’artista divenne pazzo nel tentativo di studiare la prospettiva perfetta, ma guardando oggi le sue opere sappiamo che è una falsità. Per lui lo sfondo dei dipinti non doveva raappresentare uno sfondo reale, era semplicemente la quinta dove inserire i suoi personaggi, con fantasia, come in una fiaba.

E così allora, dobbiamo continuare e guardare i suoi dipinti. Come se stessimo leggendo una fiaba.

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