Dal team dei Pirati dei Caraibi, un esplosivo e divertente western di Gore Verbinski, The Lone Ranger (2013)

Intorno al film

La “premiata ditta” Bruckheimer – Verbinski – Depp, dopo la saga dei “Pirati dei Caraibi”, torna alla ribalta con il kolossal western “The Lone Ranger” (2013). Un western, in realtà, molto sui generis, che rispecchia lo stile dei loro precedenti film avventurosi: personaggi sopra le righe, alternanza fra azione e ironia, avventure fracassone e inverosimili, e un Johnny Depp libero di gigioneggiare a volontà. Il personaggio di “Lone Ranger”, nato come programma radiofonico e fumetto, divenne protagonista di vari film e serie televisive, e a distanza di anni viene ora riproposto sul grande schermo in maniera spettacolare dal geniale Gore Verbinski (che collabora anche alla produzione insieme a Jerry Bruckheimer).

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La vicenda

La storia è narrata attraverso un lungo flashback: il vecchio indiano Tonto, ormai ridotto a fare da attrazione in un parco giochi, incontra un bambino vestito con la maschera del “cavaliere solitario” e decide di raccontargli la “vera” storia di come nacque Lone Ranger. Tonto (Johnny Depp), un guerriero comanche a caccia dei due uomini che avevano sterminato la sua tribù, incrocia la sua strada col procuratore John Reid (Armie Hammer) e con la vedova di suo fratello sceriffo (Helena Bonham Carter). Dopo l’iniziale diffidenza, l’indiano e l’uomo di legge uniscono le loro forze per dare la caccia al crudele fuorilegge Butch Cavendish: è l’inizio di una lunga serie di mirabolanti peripezie, durante le quali Reid indossa la maschera e diventa il giustiziere solitario Lone Ranger. Sullo sfondo, la costruzione della ferrovia, lo sfruttamento delle miniere e lo sgombero dei territori indiani.

Narrazione e stile

Il genere western attraversa ormai da anni una fase di declino, in cui i bei prodotti si contano quasi sulle dita di una mano (facciamo due). Fa quindi notizia che, nel 2013, siano usciti in sala ben due kolossal appartenenti a questo genere: “Django Unchained” di Tarantino e “The Lone Ranger” di Verbinski. Se il primo è però un vero western (il capolavoro di Quentin, nonché il più bel western degli ultimi 20 anni), il film di Verbinski è invece un “fumettone” avventuroso per tutta la famiglia (infatti la produzione e distribuzione è targata Walt Disney Pictures).
Uno dei caratteri che rendono “The Lone Ranger” un gran bel film da gustare tutto d’un fiato (i suoi 140 minuti volano in fretta) è proprio la sapiente alternanza di situazioni da western autentico con altre ironiche e al limite del fantastico. Le inquadrature di ampio respiro su canyon e praterie, le sparatorie, l’attesa dei pistoleri alla stazione (che sembra richiamare “C’era una volta il West”, anche grazie alle melodie epiche e martellanti), l’agguato dei finti indiani alla fattoria (forse una citazione da “Sentieri selvaggi”) sono un puro distillato di cinema western (c’è anche un bellissimo “mexican standoff” a bordo del treno). In mezzo a uccisioni e scene di violenza (non troppe), convivono però armoniosamente situazioni “leggere” da buddy-movie (vedasi gli irresistibili dialoghi fra Depp e Hammer), avventure fragorose da fumetto (d’altra parte, “The Lone Ranger” nasce proprio da un fumetto) e personaggi incredibili (a cominciare dallo stesso Tonto: un indiano pazzerello con in testa un corvo impagliato a cui continua a dare da mangiare). Assistiamo dunque a una vertiginosa lotta sul tetto di un treno, una rocambolesca fuga da un saloon, esplosioni e cavalcate, paesaggi mozzafiato e scenografie da urlo, fino al lungo e fracassone inseguimento fra i due treni nel finale, sulle note della celeberrima ouverture del “Guglielmo Tell” di Rossini.
L’alternanza tra “realtà” e “favola” è sottolineata anche dall’espediente narrativo del flashback, che risulta più che mai azzeccato: il western, genere cinematografico legato per eccellenza all’infanzia e ai ricordi, è narrato a un bambino da un presunto superstite dell’epopea (neanche lui troppo convinto della veridicità di quanto racconta), conferendo alla vicenda un sapore ancora più magico e leggendario.
I veri punti di forza del film sono i mirabolanti effetti speciali, che trovano lo zenit nel suddetto finale, e la carismatica interpretazione di Johnny Depp (che ripropone in salsa western un personaggio simile al Jack Sparrow dei “Pirati dei Caraibi”): costantemente sopra le righe, look variopinto e parlantina inarrestabile, dà vita a memorabili duetti con l’altro bravissimo protagonista, Armie Hammer (celebre per i suoi ruoli in “The Social Network”, “J.Edgar” e “Biancaneve”), nei panni di John Reid. Degna di menzione anche Helena Bonham Carter, “musa” e moglie di Tim Burton, nel ruolo della cognata di John, con cui continua a covare segretamente il loro vecchio amore.
Nella vicenda trovano spazio anche temi impegnati: la dicotomia tra “rappresentante della legge” e “giustiziere”, che è alla base dello stesso personaggio di Lone Ranger (un procuratore che, indossando la maschera, diventa una specie di supereroe del West, portando la giustizia dove la legge non arriva); gli abusi sugli indiani e l’usurpazione delle loro terre; la costruzione della ferrovia; lo sfruttamento degli schiavi nelle miniere. L’impressione, però, è che la regia sia interessata soprattutto all’aspetto spettacolare del film, com’è logico aspettarsi in un blockbuster dal budget esorbitante.

La colonna sonora

In un film dal respiro epico come “The Lone Ranger”, il compositore della colonna sonora originale non poteva essere che Hans Zimmer, specializzato in musiche per kolossal (“Il gladiatore”, “Pirati dei Caraibi”, “Il Codice Da Vinci”, “Angeli e demoni”, e moltissimi altri ancora). Memorabili i brani tesi e cadenzati, dal sapore quasi morriconiano, che accompagnano alcune fra le sequenze più squisitamente western del film, come l’attesa dei pistoleri alla stazione e i campi lunghi sulla costruzione della ferrovia. Curiosa, infine, anche se intonata col clima ironico che spesso si respira nel film, la presenza dell’ouverture del “Guglielmo Tell” di Rossini, che rende ancora più incredibile il fragoroso finale.

Davide Comotti

Bergamasco, classe 1985, dimostra interesse per il cinema fin da piccolo. Nel 2004, si iscrive al corso di laurea in Scienze Umanistiche dell’Università degli Studi di Bergamo (laurea che conseguirà nel 2008): durante gli studi universitari, ha modo di approfondire la sua passione tramite esami di storia, critica e tecniche del cinema e laboratori di critica e regia cinematografica.

Diventa cultore sia del cinema d’autore (Antonioni, Visconti, Damiani, Herzog), sia soprattutto del cinema di genere italiano (Fulci, Corbucci, Di Leo, Lenzi, Sollima, solo per citare i principali) e del cinema indipendente.

Appassionato e studioso di film horror, thriller, polizieschi e western (soprattutto italiani), si occupa inoltre dell’analisi di film rari e di problemi legati alla tradizione e alle differenti versioni di tali film.

Nel 2010, ha collaborato alla nona edizione del Festival Internazionale del Cinema d’Arte di Bergamo.
Esordisce nella scrittura su “La Rivista Eterea” (larivistaeterea.wordpress.com). Attualmente, scrive sulla rivista cartacea “Bergamo Up” e sulle riviste online lascatoladelleidee.it, ciaocinema.it, mondospettacolo.com, horror.it e malastranavhs.wordpress.com. Ha redatto inoltre alcuni articoli per il sito della rivista “Nocturno Cinema” (nocturno.it).
Ha scritto due libri: Un regista amico dei filmakers. Il cinema e le donne di Roger A. Fratter (edizioni Il Foglio Letterario) e, insieme a Vittorio Salerno, Professione regista e scrittore (edizioni BookSprint).

Contatto: davidecomotti85@gmail.com

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