Django torna a combattere in Sudamerica nell’esplosivo sequel “Django 2 – Il grande ritorno”, finalmente in dvd
Intorno al film
L’uscita del capolavoro di Tarantino Django Unchained ha inaugurato una sorta di “Django – mania”. Il personaggio creato da Sergio Corbucci nel 1966, e rivisitato dal geniale Quentin, è diventato un vero e proprio fenomeno di culto (o meglio, è tornato ad esserlo, visto che già negli anni Sessanta il western italiano proliferava di pistoleri omonimi in film più o meno riusciti). Sulla scia del successo, viene dunque distribuito in Italia anche il visionario omaggio di Takashi Miike Sukiyaki Western Django (2007), ambientato in Giappone, e la veneranda Cinekult (CG Home Video) mette a segno degli ottimi colpi: prima con il cofanetto Django Unlimited (che comprende il Django di Corbucci e tre fra i migliori “apocrifi”), poi distribuendo per la prima volta in Italia l’unico vero sequel dell’originale, cioè Django 2 – Il grande ritorno (1987) di Nello Rossati.
La vicenda
Django (Franco Nero), dopo una vita all’insegna della violenza, ha deciso di abbandonare le armi e si è ritirato in un convento in Sudamerica. Un giorno apprende di avere una figlia, Marisol, e scopre che la ragazzina è stata rapita dal crudele principe ungherese Orlowsky (Christopher Connelly), un mercante di schiavi soprannominato “il Diavolo” che viaggia su un battello saccheggiando i villaggi della costa insieme alla sua banda. Django disseppellisce dunque la sua mitragliatrice e torna a combattere per liberare la figlia e gli altri prigionieri.
Narrazione e stile
La nascita di Django 2 – Il grande ritorno nel 1987 avviene come incrocio di due fenomeni. Da una parte, c’è il tentativo di far rinascere il western italiano in un periodo in cui era ormai dimenticato da anni: Duccio Tessari, uno dei fondatori del genere, realizza nel 1985 la trasposizione cinematografica del celebre fumetto Tex Willer con Tex e il Signore degli Abissi, un film gradevole e divertente che si dimostra però un flop; nel 1987, Bruno Mattei (prolifico regista della cosiddetta “exploitation” italiana) realizza i due crudeli e sottovalutati western pro-indiani Scalps e Bianco Apache; e nello stesso anno tocca proprio a Nello Rossati dirigere (con lo pseudonimo di Ted Archer) il primo seguito ufficiale di Django. Anche questi film non ottengono però il successo sperato, e il sogno di riportare in vita il genere si spegne; ci riproverà nel 1995 Enzo G. Castellari con Jonathan degli orsi, poi il glorioso western italiano chiude definitivamente i battenti. Dall’altra parte, Django 2 deve essere contestualizzato nel genere che andava per la maggiore in Italia negli anni Ottanta, cioè i film d’azione costruiti su imitazione (spesso ottima) dei modelli americani (Rambo, Indiana Jones, i Vietnam-movie, i post-atomici). La pellicola di Rossati si rivela infatti una strana combinazione incredibilmente efficace fra il genere western e, soprattutto, quello avventuroso: a cominciare dall’ambientazione, spostata dal West al Sudamerica.
L’inizio di Django 2 è un ottimo esempio di meta-cinema: due anziani pistoleri (fra cui notiamo il grande attore William Berger, icona degli anni d’oro del western italiano) vogliono sfidarsi a duello, ma poi rinunciano e preferiscono bere qualcosa insieme, dicendo che il periodo glorioso del vecchio West è finito; sembra davvero una dichiarazione del regista, consapevole che il genere è ormai defunto: il che conferisce al film un valore aggiunto, perché non pretende di essere la rinascita del genere, semmai l’epitaffio funebre. Assisteremo dunque a qualcosa di nuovo, a un personaggio che ha fatto la “storia” del west(ern) trapiantato in un contesto nuovo, quel Sudamerica teatro spesso del nuovo cinema avventuroso. Ecco quindi che anche l’estetica di Django cambia radicalmente rispetto al primo film: capelli lunghi e cartuccere a tracolla ne fanno una specie di novello Rambo. Trait d’union è la mitragliatrice, simbolo (insieme alla bara) del personaggio: Django la disseppellisce da una tomba dov’è inciso il suo nome, fa il suo “grande ritorno” a suon di piombo, e alla fine riparte promettendo di tornare (forse in vista di eventuali futuri sequel, purtroppo mai realizzati).
Per vedere Django 2 nel modo corretto è indispensabile dunque mettersi nell’ottica di assistere a un prodotto assolutamente diverso dal film di Corbucci, di cui è comunque l’unico seguito ufficiale, con lo stesso personaggio e anche lo stesso attore (un Franco Nero sempre in gran forma). Django 2 è significativo anche perché è l’unico caso, all’interno del western italiano, di sequel vero e proprio (con tanto di numero “2” nel titolo, tendenza ereditata forse dai modelli americani), anche se prodotto fuori tempo massimo: di film con la parola “Django” nel titolo ne sono stati fatti a decine negli anni Sessanta (con risultati alterni), ma l’unica similitudine era il nome, di cui si cercava di sfruttare il successo. Rossati, invece, scrive (insieme a Franco Reggiani) e dirige una storia che, a distanza di anni (distanza intra ed extradiegetica), riprende proprio quel personaggio e gli fa vivere nuove avventure.
Girato in Colombia, Django 2 è un gran bel film (se visto nell’ottica giusta), divertente, ricco di azione, con bei paesaggi (spesso desertici, quasi da film post-atomico) e personaggi “fumettistici”. Grazie anche alla fotografia di Sandro Mancori, l’atmosfera che si respira è particolare e straniante, riassunta alla perfezione dalle parole di “Nocturno Cinema”: “una pellicola dai contorni originalissimi, ambientata in un universo fiabesco e violento”. Franco Nero è una specie di “Rambo” che ha (volutamente) poco da spartire col Django del primo film (a parte la sete di vendetta e giustizia), ma si muove ugualmente a suo agio fra deserti, giungle, fiumi e miniere, armato non solo della mitragliatrice ma anche di un altrettanto micidiale fucile a canne mozze. Sembra uscito da un fumetto anche il pittoresco villain della situazione, il principe Orlowsky, mercenario dell’impero asburgico vestito in alta uniforme e responsabile delle peggiori nefandezze. Una nota di merito va dunque anche al grande Christopher Connelly (qui al suo ultimo film prima della prematura scomparsa): attore americano dal viso molto cinematografico (con dei tratti marcati e arcigni), è celebre per le sue interpretazioni proprio negli action-movie italiani degli anni Ottanta (uno su tutti, 1990: I guerrieri del Bronx di Enzo G. Castellari), di cui in un certo senso, abbiamo visto, anche Django 2 fa parte. Nel cast, è curiosa infine la presenza del famoso attore britannico Donald Pleasence nel ruolo di Gunn, un professore compagno di prigionia di Django che lo aiuta a fuggire dalla miniera.
Sparatorie e violenza abbondano, in sequenze sempre a metà fra il western e il cinema d’azione, e il regista si azzarda anche nell’utilizzo di alcune scene al ralenti “alla Castellari”: a volte riuscite, altre volte meno, non sono all’altezza del modello ispiratore ma si lasciano comunque gustare con piacere, così come tutto il film.
La colonna sonora
La colonna sonora è affidata a Gianfranco Plenizio: in conformità con il film, si stacca completamente dalle armonie originali che Bacalov aveva composto per Django, e dirige un gradevole misto fra differenti sonorità. Dal tema western presente nel duello iniziale alle musiche dal sapore latino-americano; dalle melodie quasi epiche coi vocalizzi (anch’esse in salsa vagamente western) ai brani cupi nei momenti più drammatici, fino alle percussioni tipiche degli action-movie.