Da quel momento, l’immonda compagnia si precipitò, come un solo Narciso,
a contemplare la propria immagine triviale sulla lastra.
Una follia, uno straordinario fanatismo s’impadronì
di tutti questi nuovi adoratori del sole.
Charles Baudelaire, 18591
Il «Giornale della Provincia di Bergamo», il 10 settembre del 1844, presentò così la presenza del dagherrotipista Ottone Feldmann alla Fiera di S. Alessandro: «Poiché la corrente Fiera non è gran fatto ricca di spettacoli atti ad allettare la nostra curiosità, non devesi lasciare inosservato quello tra i pochi che merita di essere visitato, pei sorprendenti risultati, de’ quali è testimonio chi ti concorre; vo dire la macchina di Daguerre, mercé la quale […], chi lo desidera, ottiene in pochi secondi (da 25 a 30 circa) la propria immagine, ritratta su di una lamina di rame inargentata, colla più assoluta perfezione2». A quanto pare la possibilità di vedere la propria immagine riprodotta su una lastra di rame, fu l’unica vera novità di quell’anno che vide accorrere numerosi curiosi per osservare la meravigliosa invenzione di Louis-Jacques-Mandé Daguerre.
La notizia dell’invenzione di Daguerre fu data, con un ampio articolo pubblicato sempre sul «Giornale della Provincia di Bergamo», già nel 1939, ma non riscosse l’attenzione che suscitò cinque anni dopo e che raggiunse la sua massima espressione con l’immagine di Gaetano Donizetti gravemente malato eseguita nell’agosto del 1847 a Parigi.
In poco tempo si diffusero numerosi studi fotografici che mettevano a disposizione la loro capacità tecnica ai clienti che con sempre maggior frequenza, si presentavano nelle botteghe per essere ritratti e portarsi a casa, in eleganti astucci o, dopo il 1854 con l’invenzione delle Cartes de visite (formato 54×92), in piccole stampe, la memoria della propria immagine.
Il capostipite dei fotografi professionisti bergamaschi, fu Giovanni Rossetti (1815-1891), un pittore che si diede alla fotografia probabilmente per supplire alle scarse doti pittoriche. Rossetti iniziò l’attività fotografica nel 1861 con una terrazza di posa situata in casa Facheris, ai “Tre passi” (in contrada San Bartolomeo 1146, oggi via Tasso) e si affermò come ritrattista della “buona clientela” bergamasca.
Al cliente che si recava in casa Facheris, Rossetti mise a disposizione un ambiente simile a quello che si poteva trovare in uno studio pittorico: un atelier di ritrattistica fotografica, costruito su una terrazza protetta da ampie vetrate, in cui erano presenti gli stessi elementi classici di arredo usati dai pittori come balaustre, sedie, divani, tende ed elaborati fondali. L’analogia tra pittura e fotografia fu pressoché scontata e, fin da subito, si diffuse un atteggiamento che predisponeva all’imitazione e alla rincorsa dei modi e degli stili, delle idee e dell’identità della pittura dell’Ottocento. Non stupisce che a Bergamo quasi tutti i fotografi “pionieri” furono fotografi pittori o pittori fotografi. Nelle cronache del tempo i grandi ritrattisti erano elogiati per la loro capacità di resa dei particolari, la sapienza nel cogliere la somiglianza con il soggetto e per le qualità formali.
Tra questi spiccò il nome di Andrea Taramelli che fu scelto da molti esponenti della nobiltà e della borghesia bergamasca e non solo. Tra di essi ci furono: Antonio Tiraboschi (direttore della Civica Biblioteca) con cui ebbe anche un’interessante collaborazione per la produzione di una serie di fotografie sui Costumi di Parre, per rappresentare Bergamo all’Esposizione Nazionale di Milano del 1881;
e il tenore Giovanni Vaselli che scelse Andrea Taramelli per essere immortalato nelle vesti di Torquato Tasso per l’omonima opera di Gaetano Donizetti rappresentata al teatro Riccardi (dal 1897 Teatro Donizetti) nel 1881.
A quanto pare il tenore, in un momento di pausa dalle prove, decise di uscire dal teatro in costume per farsi fotografare da Taramelli che aveva lo studio dall’altra parte della strada rispetto al teatro.
Inoltre non è da dimenticare che, spesso, chi diede vita a uno studio fotografico vide nella fotografia la possibilità di avere il successo che non aveva avuto in pittura, come fu per Giovanni Rossetti, e di ricavare dei guadagni immediati come il caso di Cristoforo Capitanio (1832-1903) e Cesare Bizioli (1847-1914), due studenti dell’Accademia Carrara, che andarono in Argentina per sfruttare il desiderio degli immigrati italiani di inviare in patria foto ricordo.
Si conclude così la prima parte della storia della fotografia a Bergamo nell’Ottocento.
Michela Giupponi
BIBLIOGRAFIA
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– Domenico Lucchetti, Fotografi pionieri a Bergamo, Galleria dell’Immagine, Bergamo, 2004
– Federica Muzzarelli, L’invenzione del fotografico. Storia e idee della fotografia dell’Ottocento, Einaudi, Torino, 2014
– Alfredo De Paz, L’immagine fotografica. Storia, estetica, ideologie, CLUEB, Bologna, 1986
– Giovanni Raboni(a cura di), Charles Baudelaire. Poesie e prose, Arnoldo Mondadori, Milano, 1973
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– Pittori bergamaschi dell’Ottocento, Banca Popolare di Bergamo, Bergamo, 1993
1 G. Raboni(a cura di), Charles Baudelaire. Poesie e prose, Arnoldo Mondadori, Milano, 1973, pp. 812-818.
2 Dagherrotipia, in «Giornale della Provincia di Bergamo», 10 settembre 1844.