I quattro dell’Apocalisse di Lucio Fulci in DVD

Intorno al film

La Mustang Entertainment mette a segno un bel colpo con la distribuzione in dvd – per la prima volta in Italia – del western I quattro dell’Apocalisse (1975) di Lucio Fulci. Il maestro del cinema horror e thriller (ma non solo) si è cimentato nel genere in tre occasioni: dopo il capolavoro epico Tempo di massacro (1966), Fulci ne recita l’epitaffio funebre sia con il western di cui andremo a parlare, che con il successivo Sella d’argento (1978).

Tre opere molto particolari, così diverse fra loro eppure caratterizzate dall’inconfondibile “tocco fulciano”: iperviolento e “artaudiano”, dunque in sintonia con tutta la sua poetica, particolarissimo e straniante, al di fuori di ogni schema e in un certo senso “sovversivo” nei confronti dei canoni western.

quattro

La vicenda

Il baro Stubby (Fabio Testi) viene imprigionato dallo sceriffo di Salt Flat insieme alla prostituta Bunny, all’ubriacone Clem e al pazzo di colore Bud: sopravvissuti alla strage compiuta da alcuni giustizieri mascherati, vengono liberati dallo sceriffo stesso e si mettono in viaggio su un calesse per raggiungere un’altra cittadina. Lungo la strada, imparano a conoscersi e a rispettarsi, fino all’incontro con il crudele bandito Chaco (Tomas Milian), che li sottopone a torture fisiche e psicologiche. Sfuggiti alla sua furia assassina, proseguono il loro viaggio vivendo nuove avventure, ma non tutti arrivano alla metà. Stubby affronterà Chaco per vendicare i compagni.

Narrazione e stile

I quattro dell’Apocalisse nasce in un’epoca molto particolare per il genere western: dopo aver conosciuto un lungo periodo di gloria (dal 1964, quando Sergio Leone diresse Per un pugno di dollari) in cui si produsse un numero elevatissimo di film (più o meno riusciti), verso la metà degli anni Settanta il genere stava andando incontro a un lento ma inesorabile declino – e i registi sembrano accorgersene. L’epica degli eroi e dei duelli è ormai lontana, e si apre il periodo dei cosiddetti “western crepuscolari”: I quattro dell’Apocalisse, Keoma, California, Mannaja, Sella d’argento, tutti film che rappresentano il tramonto non solo del genere ma anche del mito del West. Non esiste più un eroe in cui lo spettatore può immedesimarsi, la differenza tra buoni e cattivi si assottiglia sempre di più, i bei paesaggi sono sostituiti dal fango, anche i duelli perdono ogni valore epico, e l’enfasi lirica è bandita o – come nel caso di Keoma – ribaltata. Certo, questi western non nascono dal nulla: già negli anni Sessanta un maestro come Sergio Corbucci aveva diretto i due capolavori Django e Il Grande Silenzio, che contenevano già in nuce (e in anticipo sui tempi) il declino del West; ma è negli anni Settanta che “il crepuscolo degli eroi” (Nocturno Cinema) si manifesta appieno.

Quando Fulci affronta un genere lo fa sempre in maniera del tutto personale, scardinandolo dall’interno (non a caso si definiva un “terrorista dei generi”): pensiamo a quel geniale e folle noir/poliziesco che è Luca il contrabbandiere (1980), unica incursione del regista nel genere, trasformato in un film ai limiti dell’horror. I quattro dell’Apocalisse è un western fuori da ogni canone (quasi un “anti-western”, potremmo definirlo), lento e affascinante, con poca azione e tanti dialoghi, straniante e ricco di violenza. Ricordiamo il crudele massacro iniziale, il sangue che scorre copioso dalle ferite (cifra stilistica di Fulci), lo stupro di Bunny, la tortura di Chaco che scuoia lo sceriffo, la carne staccata dalla gamba del defunto Clem e servita come pasto. A volte la crudeltà è esibita, altre volte mostrata a fatto compiuto (come la strage dei religiosi), ma è una protagonista indiscussa del film. Sceneggiato da Ennio De Concini sulla base di alcuni racconti ottocenteschi di Francis Brett Harte, è un road-movie crudele e malinconico, psichedelico e surreale, a tratti persino gotico. Tutti i personaggi sono in qualche modo dei “perdenti”, e non c’è un eroe in cui lo spettatore può identificarsi: né nei quattro reietti, che poco hanno di western, né nel diabolico Chaco (un superbo Milian, più feroce che mai); anche Stubby, interpretato da un ottimo Fabio Testi (grande attore da rivalutare), non ha nulla di eroico, e la resa dei conti finale perde ogni tono lirico, riducendosi a uno scontro vigliacco e quasi svogliato. Sembra in certi momenti di assistere a un film “sessantottino”, grazie anche a una fotografia e una colonna sonora dal sapore psichedelico: il direttore della fotografia è Sergio Salvati, fedele collaboratore di Fulci, che dà vita a un’immagine particolarissima e distintiva del film, coi colori e i contorni flou, cioè slavati e “snebbiati”. L’odissea dei quattro protagonisti ha un carattere quasi da “viaggio iniziatico”, fra sofferenza, amicizia, speranza, nascita di una nuova vita (Bunny è incinta) e morte: fra praterie, terre arse dal sole e un villaggio innevato, Fulci conduce lo spettatore in questo viaggio allucinante e anche commovente in certi momenti (vedasi la lunga parte conclusiva nel villaggio). Ricco di elementi gotici e surreali – la città fantasma sotto la pioggia, Bud nudo che parla coi morti nel cimitero, i giustizieri incappucciati che uccidono i viziosi – I quattro dell’Apocalisse non è solo una pietra miliare del western italiano, ma un film sperimentale, un film d’autore sicuramente non facile da seguire ma di alto valore cinematografico.

Notevole anche il cast, in cui spiccano Testi e Milian. Quest’ultimo è sicuramente il personaggio che rimane più impresso, un crudelissimo bandito dal look hippie (capelli lunghi, bandana e vestiti colorati) che attraversa il West consumando droga e facendo stragi (per il personaggio, Milian afferma di essersi ispirato al serial killer Charles Manson). Bravissimi anche gli altri tre attori del quartetto: la bella attrice inglese Lynne Frederick (nota anche per essere stata la moglie di Peter Sellers), lo statunitense Michael J. Pollard (Gangster Story), e l’attore di colore Harry Baird, nativo della Guyana britannica. Anche se non molto famosi, hanno i volti giusti per la caratterizzazione dei personaggi, che incarnano un po’ gli “ultimi” della società: oltre al baro (Testi), ci sono una prostituta, un ubriacone, un pazzo. Lungo il film incontriamo inoltre vari caratteristi del genere western e non solo: Donald O’Brian (lo sceriffo di Salt Flat), Adolfo Lastretti, Bruno Corazzari, Giorgio Trestini (l’indimenticabile “Franceschino” di Milano calibro 9); nel ruolo dello sceriffo torturato da Milian troviamo poi il volto noto di Lorenzo Robledo, che duellava in chiesa con Volonté in Per qualche dollaro in più e che fu oggetto di un’altra memorabile tortura nell’ottimo e violentissimo western Mi chiamavano Requiescat…ma avevano sbagliato.

La colonna sonora

I quattro dell’Apocalisse è un film molto ricco anche nel comparto musicale. La colonna sonora è composta dal trio Franco Bixio, Fabio Frizzi e Vince Tempera, spesso operanti insieme. Frizzi è un altro fedele collaboratore di Fulci (Zombi 2, L’aldilà e altri ancora), e qui insieme ai due colleghi dà vita a una memorabile colonna sonora psichedelica: un po’ in stile “Pink Floyd” (per avere un’idea), è composta da brani – per lo più cantati – in pieno stile rock anni Settanta, a metà fra atmosfere allucinate, romantiche e malinconiche. Una colonna sonora veramente particolare per un western, straniante e in perfetta armonia con il carattere dell’opera. Vero e proprio leit-motiv è il brano Movin’ On, oltre a vari pezzi intitolati ciascuno a un personaggio (Stubby, Bunny, etc.). Le musiche sono eseguite dalla band “Cook and Benjamin Franklin Group”, in cui troviamo anche Tempera alle tastiere.

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