Gomorra – La serie (2014) di Stefano Sollima: quando la tv diventa cinema e fenomeno mondiale

Intorno al film

Non è la prima volta, in Italia, che una serie televisiva diventa puro cinema uscendo dalla mediocrità generale della fiction. Pensiamo a Michele Soavi (Uno bianca) e Stefano Sollima, i due registi più attivi nel genere noir/poliziesco insieme a Claudio Fragasso, che con le loro opere riescono a coniugare spettacolo e impegno come non accadeva da anni. Sollima aveva già conquistato le platee con il film ACAB (2012) e le due serie Romanzo criminale (2008 e 2010). In quel caso, la serie ha superato l’omonimo film di Michele Placido (pure notevole) come qualità e successo. Stefano Sollima ora ha superato se stesso con una serie televisiva acclamata da pubblico e critica: Gomorra – La serie (2014), tratta dal celebre romanzo di Roberto Saviano che aveva già conosciuto una trasposizione sul grande schermo ad opera di Matteo Garrone. Co-prodotta e trasmessa da Sky, ora disponibile in DVD e Blu-ray, è diventata subito un fenomeno mondiale, surclassando il sopravvalutato e noioso film.

locandina

La vicenda

Napoli, ai giorni nostri. Don Pietro Savastano è il boss di un potente clan camorristico attivo nello spaccio di droga: circondato dalla moglie Imma, dall’immaturo figlio Gennaro e dal braccio destro Ciro, oltre che da numerosi e fedelissimi uomini, deve contrastare il clan rivale di Salvatore Conte. Mentre si svolgono vari scontri a fuoco per la conquista del territorio e Conte fugge in Spagna, Genny viene introdotto alla crudele vita da camorrista. Il dominio dei Savastano inizia a vacillare dopo la soffiata di un traditore e l’arresto del boss: Don Pietro continua a gestire la famiglia anche dal carcere, ma dopo una grande rivolta da lui organizzata viene trasferito al 41-bis. Dal regime di massima sicurezza gli è impossibile impartire ordini, quindi all’interno del clan inizia una lotta intestina per il comando fra Gennaro, Imma e Ciro. Anche Salvatore Conte rientra a Napoli, ogni equilibrio è saltato, e per i Savastano è tempo di guerra.

Narrazione e stile

Gomorra – La serie in realtà non è una semplice fiction televisiva, ma un lungo film a puntate – 12 per la precisione, ciascuna di 45/50 minuti circa (non a caso è stata proiettata anche in alcune sale cinematografiche, suddivisa in un tot di episodi per serata). Variety la definisce “Un nuovo standard per la fiction italiana”, Huffingtonpost.it “Il miglior racconto epico degli ultimi 20 anni”: sono solo alcuni dei giudizi che importanti riviste mondiali attribuiscono a Gomorra, riportando così agli antichi splendori il cinema italiano (che non sta attraversando un bel momento, fatte alcune eccezioni). Rispetto a Romanzo criminale, qui non tutti gli episodi sono diretti da Stefano Sollima: sua è la direzione artistica di tutta la serie e sette sono le sue puntate, alternate a due di Francesca Comencini (Lo spazio bianco) e tre di Claudio Cupellini (Una vita tranquilla). Il “cambio di mano” si sente: Sollima dirige con la sua inconfondibile mano spettacolare e robusta che manca un po’ agli altri due, ma il risultato è un amalgama omogeneo e strepitoso, crudele e realistico, a volte spettacolare a volte intimista; anzi, forse proprio l’alternanza fra sguardi diversi consente un’originale variazione di prospettive da cui raccontare una storia così complessa e sfaccettata.

Lo sguardo comune che unisce tutta la serie è l’estremo realismo sociologico e psicologico con cui i registi esplorano l’universo della camorra (il tutto è supervisionato da Roberto Saviano): un’esplorazione che va dalla micro-criminalità (i ragazzini a cui è affidata la piazza di spaccio, i giovani attratti dalla malavita) fino a “quelli che contano” (vedasi i rapporti col mondo politico e i grandi narcotrafficanti), passando attraverso i rapporti interni alla “famiglia”, il distorto “codice d’onore” dei camorristi, senza trascurare la lunga parentesi carceraria di Don Pietro con tutte le sue regole interne. Gomorra – grazie alla mano solida dei tre autori – riesce a variare di registro lungo il tortuoso svolgersi degli eventi, passando da uno stile quasi documentaristico (i palazzoni degradati, la vita da strada) a sequenze spettacolari o comunque di forte impatto emotivo. In certi momenti, il film sembra davvero uscito dalle atmosfere “ciniche infami e violente” del poliziesco anni Settanta, senza però concedere mai spazio all’exploitation o all’azione di stampo fumettistico: tutto è terribilmente reale e di stretta attualità, accresciuto dalle memorabili interpretazioni degli attori (pure non famosi) e dall’uso prevalente del dialetto napoletano durante i dialoghi (la serie è da vedere infatti coi sottotitoli in italiano). La violenza è naturalmente una fra le componenti principali dell’opera: una crudeltà mostrata senza remore, un ambiente presentato in tutta la sua durezza, ma senza compiacimento e mai in maniera gratuita, sempre finalizzata alla rappresentazione il più possibile veritiera di queste realtà. Un’opera di spettacolo ma anche di denuncia, che si muove fra gli eleganti salotti dei boss e soprattutto le squallide strade e abitazioni dove vive la manovalanza, con una minuziosa descrizione del degrado urbano.

I momenti di maggiore enfasi e spettacolo li troviamo nelle puntate dirette da Stefano Sollima, specialista del genere. La serie inizia in media res, cioè senza la presentazione dei personaggi ma l’introduzione dei medesimi nel corso della vicenda: Ciro e un altro affiliato al clan incendiano la casa di Conte, dando inizio a una serie di ripercussioni che sfociano nell’adrenalinica sparatoria all’interno di un capannone. Ed è solo il preludio a varie sequenze, naturalmente diluite nei vari episodi, in cui mitra e pistole diventano i veri protagonisti: pensiamo all’attentato nel bar, inaspettato e fragoroso, o alla strage della gang nigeriana ad opera dei camorristi. Le emozioni di Gomorra non vengono solo dalle notevoli scene d’azione, ma anche dalla sanguigna caratterizzazione dei personaggi e dei loro rapporti, nonché da alcuni momenti di particolare enfasi narrativa e stilistica. Da antologia il suicidio in carcere di un giovane delinquente, reso ancora più forte dall’espediente della musica a contrasto: la romantica e struggente canzone Ancora noi del napoletano Alessio, cantata da lui stesso per la fidanzata di Genny, diventa il contrappunto della drammatica scena carceraria con le due situazioni montate in alternanza. Puro cinema, impensabile nella maggior parte delle pellicole italiane odierne e che Sollima aveva già dimostrato di saper creare in Romanzo criminale (pensiamo alla similare esecuzione del “Terribile” sulle note di Tutto il resto è noia). Ricordiamo anche la rivolta carceraria guidata da Savastano, con i letti in fiamme e gli agenti in assetto antisommossa, e la lunga odissea di Ciro in Spagna, impegnato a trattare con Salvatore Conte e costretto da una gang sovietica a una drammatica roulette russa. Esplosioni improvvise di violenza inchiodano lo spettatore alla poltrona: la brutale uccisione del presunto traditore per mano di Don Pietro, la “prova del fuoco” di Genny incaricato di uccidere uno sconosciuto, innumerevoli omicidi a sangue freddo su cui anche il regista Cupellini va giù pesante (pensiamo alla ragazzina picchiata selvaggiamente e al suo giovane fidanzato freddato a bruciapelo). Gomorra procede con un progressivo aumento della tensione che esplode nella lotta intestina durante le ultime due puntate: le nuove leve che eliminano i vecchi boss (con scene rapide e montate in sequenza dal sapore “padrinesco”), la tesissima resa dei conti fra Genny e Ciro in teatro durante la recita dei bambini, il commando armato che nel finale libera Don Pietro lasciando presagire una nuova serie (di cui infatti si sta parlando).

Impeccabile anche dal punto di vista estetico, grazie all’accorto uso della macchina da presa, scenografie perfette (sia naturali che ricostruite) e una fotografia molto cinematografica, Gomorra può contare su interpretazioni grandiose. Nessun attore è famoso, ma tutti coi volti e le recitazioni giuste: Marco D’Amore (presente anche nel noir Perez. con Luca Zingaretti) è il glaciale e impenetrabile Ciro; Fortunato Cerlino è Don Pietro, incarnazione perfetta del boss vecchio stampo; Maria Pia Calzone (molto attiva in varie fiction) è Donna Imma, moglie di Pietro e donna di carattere che prenderà le redini del clan; Salvatore Esposito è Gennaro, ragazzo immaturo e aspirante capoclan che subirà una profonda trasformazione dopo la drammatica esperienza in Honduras; Marco Palvetti è Don Salvatore Conte, giovane camorrista che all’inizio appare poco ma che pian piano rivestirà un ruolo sempre più importante. Tutti personaggi eviscerati nei loro caratteri e i cui rapporti sono in continua evoluzione, affiancati da caratteristi che completano l’efficacia della messa in scena.

La colonna sonora

Rispetto a Romanzo criminale, ricchissimo di brani d’epoca, qui la colonna sonora è meno “invasiva” e strettamente ancorata al mondo napoletano, sempre in virtù dell’accurato realismo. Numerosi pezzi sono composti ed eseguiti dalla band rock/elettronica Mokadelic, diluiti nel corso delle 12 puntate, mentre l’orecchiabile canzone in dialetto napoletano che accompagna sempre i titoli di coda è Nuje vulimme ‘na speranza del rapper NTO’. Il rap è infatti uno stile molto presente all’interno della serie, nella sua concezione primigenia di “musica da strada” e quindi particolarmente adatta ad accompagnare scene di spaccio e degrado urbano. Ai brani rock e rap si alternano vari pezzi popolari napoletani, fra cui spicca Ancora noi di Alessio per la suddetta scena dell’impiccagione.

Davide Comotti

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