I famigerati studi di settore

Entro il 7 luglio p.v., a seguito della consueta proroga, i contribuenti titolari di partita iva che svolgono un’attività soggetta a studi di settore dovranno versare il saldo delle imposte relativo all’anno 2013.

I contribuenti oramai da parecchi anni, oltre a formulare al proprio consulente fiscale la consueta domanda: ma quanto devo versare?, chiedono: ma sono congruo?

La domanda deriva dal timore che il mancato raggiungimento della congruità espone il contribuente alla possibilità (non la certezza) di essere oggetto di accertamento fiscale da parte dell’amministrazione finanziaria.

01La congruità

La congruità è la condizione richiesta dall’amministrazione finanziaria ai ricavi conseguiti dal contribuente nell’esercizio della propria attività d’impresa o professionale.

Viene verificata attraverso gli studi di settore, software elaborati mediante analisi economiche e tecniche statistico-matematiche che consentono di stimare i ricavi o i compensi attribuibili al contribuente.

Gli studi individuano, a tal fine, le relazioni esistenti tra le variabili strutturali e contabili delle imprese e dei lavoratori autonomi con riferimento al settore economico di appartenenza, ai processi produttivi utilizzati, all’organizzazione, ai prodotti e servizi oggetto dell’attività, alla localizzazione geografica e agli altri elementi significativi (ad esempio area di vendita, andamento della domanda, livello dei prezzi, concorrenza, ecc.).

L’utilizzo degli studi

Qualora la dichiarazione dei redditi indichi ricavi o compensi inferiori a quelli derivanti dagli studi di settore, all’amministrazione finanziaria è consentito operare un accertamento “analitico presuntivo” ai sensi dell’art. 39 comma 1 lett. d) del DPR 600/73, previo contraddittorio con il contribuente.

L’utilizzo in sede di accertamento dei risultati degli studi di settore, tuttavia, non può avvenire in modo automatico, essendo condizionato:

1) alla misura dello scostamento tra i ricavi o i compensi presunti e quelli dichiarati

2) alla dimostrazione, da parte dell’Ufficio procedente, che la stima operata sulla base dello studio di settore rappresenta l’effettiva situazione economica del contribuente.

1Per quanto riguarda lo scostamento, l’art. 62-sexies comma 3 del DL 331/93 richiede per procedere all’accertamento analitico presuntivo “gravi incongruenze” tra i valori dichiarati e quelli desumibili dagli studi che, quindi non devono essere genericamente inferiori a quelli presunti, ma devono esprimere un’entità di scostamento rispetto al valore puntuale tale da assumere le caratteristiche della gravità. In tal senso, la circ. Agenzia delle Entrate 22.5.2007 n. 31 ha avuto modo di precisare che le “gravi incongruenze” che legittimano l’accertamento basato sugli studi di settore non possono “ritenersi sussistenti in presenza di qualsiasi scostamento, indipendentemente dalla relativa rilevanza in termini assoluti o percentuali. Scostamenti di scarsa rilevanza [..] potrebbero infatti rivelarsi inidonei ad integrare le sopra menzionate «gravi incongruenze», oltre a determinare l’oggettiva difficoltà, per il contribuente, di contraddire le risultanze dello studio di settore”.

Per quanto riguarda l’adeguatezza della stima a rappresentare la situazione economica del contribuente, la circ. 5/2008 dell’Agenzia delle Entrate ha indicato gli elementi sulla base dei quali è valutata l’attendibilità dei risultati dello studio di settore rispetto alla fattispecie concreta. Si tratta, in particolare, delle seguenti condizioni:

1) assenza di elementi oggettivi che rendono inadeguato il percorso di formazione dello studio di settore;

2) correttezza dell’imputazione del contribuente al cluster di riferimento (il cluster rappresenta un gruppo omogeneo di contribuenti che hanno simili caratteristiche);

3) mancanza di cause particolari che abbiano potuto influire sul normale svolgimento dell’attività collocando il contribuente al di sotto del livello determinato dallo studio.

E’ soprattutto su quest’ultima condizione che il contribuente deve fare attenzione, in quanto la giurisprudenza ha più volte sentenziato che i risultati dello studio di settore non possono considerarsi attendibili in presenza di condizioni di anormalità dell’attività svolta determinate da particolari situazioni personali del contribuente o del mercato in cui opera.

La valenza degli studi

I risultati derivanti dagli studi di settore costituiscono presunzioni semplici; di conseguenza, l’Ufficio non può procedere ad accertamenti automatici. L’accertamento in base agli studi di settore, infatti, deve basarsi su ulteriori elementi probatori in grado di giustificare lo scostamento tra i ricavi o compensi dichiarati e quelli determinati attraverso il ricorso a tali strumenti.

Ferma restando la verifica dell’attendibilità dello studio di settore nei termini poc’anzi illustrati, le ulteriori prove avvaloranti le stime degli studi devono essere ricercate dall’Ufficio attraverso indagini sulla contabilità e altre risultanze documentali e sulle movimentazioni bancarie del contribuente.

Per la Cassazione è infatti pacifico che nessuna significatività possa derivare automaticamente dalle risultanze matematico-statistiche, definiti «meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività».

In ogni caso, per quanto riguarda gli accertamenti emessi dagli uffici dell’agenzia delle Entrate, nessuno strumento induttivo, parametri, redditometro o studi di settore, può obbligare il contribuente a dichiarare più di quanto effettivamente incassa, anche per la ragione che non si può superare il diritto del cittadino, costituzionalmente protetto, a pagare il giusto tributo fiscale, costringendolo invece a pagarne uno diverso, maggiore o minore.

Il contribuente può sempre difendersi dalle presunzioni, fornendo la prova contraria, motivando e documentando idoneamente le ragioni per le quali la dichiarazione di ricavi o compensi di ammontare inferiore a quello presunto in base ai parametri può ritenersi giustificata, in relazione alle concrete modalità di svolgimento dell’attività. Per il procedimento di controllo, è rilevante la fase di contraddittorio con il contribuente, che consente agli uffici di conoscere e considerare le specifiche caratteristiche dell’attività esercitata e di adeguare il risultato dell’applicazione degli studi alla particolare situazione dell’impresa o della professione esercitata.

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