Il cecchino (2012), il nuovo e appassionante "romanzo criminale" di Michele Placido

Intorno al film

Dopo Romanzo criminale (2005) e Vallanzasca – Gli angeli del male (2010), Michele Placido firma un nuovo capitolo di quella che possiamo definire una sua personalissima saga poliziesca. Dopo questi ottimi e discussi film, basati su fatti reali della cronaca italiana (la Banda della Magliana e Renato Vallanzasca) e improntati dunque a un realismo spettacolarizzato, il regista si trasferisce in Francia e dirige Il cecchino (Le Guetteur, 2012). Placido incrocia così la sua strada con il cosiddetto “polar” (termine nato dall’unione fra “poliziesco” e “noir”), un genere squisitamente francese molto prolifico negli ultimi anni, e lo fonde abilmente con elementi da poliziesco italiano. Presentato a Cannes proprio nel 2012, Il cecchino è approdato nelle sale italiane solo adesso.

il-cecchino_cover

La vicenda

Scritto da Cédric Melon e Denis Brusseaux, il film è ambientato a Parigi. Vincent Kaminski (Mathieu Kassovitz) è un ex soldato dei corpi speciali: adesso è diventato il capo di una banda di rapinatori, nella quale svolge il ruolo di cecchino. Durante un colpo, neutralizza la squadra del commissario Mattei (Daniel Auteuil), che si mette sulle sue tracce. Catturato grazie a una soffiata, Kaminski riesce a evadere e si mette alla ricerca del traditore, che nel frattempo si è impadronito del bottino e sta eliminando i componenti della banda. Kaminski viene così a trovarsi fra due fuochi: il traditore, che vuole ucciderlo, e il commissario, che nel frattempo continua la sua caccia all’uomo.

Narrazione e stile

Il cecchino, pur rimanendo nell’ambito del “cinema criminale”, è un film completamente diverso da Romanzo criminale e Vallanzasca, per vari motivi: l’ambientazione (non più l’Italia, ma Parigi), il genere (polar francese con accenti da poliziesco italiano) e il carattere (nessun riferimento esplicito a eventi reali). Quello che rimane invariato è lo spettacolo, il ritmo sostenuto, l’ottima confezione estetica (inquadrature, fotografia, montaggio) e la complessità socio-psicologica dei personaggi: il tutto unito dalla solida regia di Placido, che dirige con mano sicura un cast ricco e una vicenda complessa.

Il cast è straordinario, e assolutamente “polar”: Auteuil dà vita a un poliziotto caparbio e tormentato (come nei due classici di Olivier Marchal, 36 Quai des Orfèvres e L’ultima missione); Kassovitz, celebre regista de L’odio, Assassin(s) e I fiumi di porpora (dei primi due ne è anche interprete), delinea invece una figura di delinquente abbastanza singolare. Mattei e Kaminski sono due personaggi da polar “vecchio stile”: il commissario disilluso ma inflessibile, il criminale crudele solo se necessario (quando è possibile, si limita a ferire i poliziotti, senza ucciderli), e fra i due si stabilisce una sorta di guerra psicologica e fisica improntata a un certo rispetto (anzi, il finale esagera nel buonismo, viste anche le ragioni personali del conflitto che emergono durante il film). Dunque, echi da polar classico (pensiamo al rapporto fra il commissario Lino Ventura e il boss Jean Gabin nel capolavoro Il clan dei siciliani di Henri Verneuil) rivisitati con una crudeltà e un cinismo tipici del cinema contemporaneo. Un altro nome illustre è Olivier Gourmet (Nemico pubblico N.1 – L’ora della fuga di Jean-François Richet), nel ruolo del medico Franck, un personaggio in apparenza secondario ma che acquista sempre più importanza nel corso del film, diventando un elemento cardine del meccanismo narrativo. La componente italiana del cast è affidata a Luca Argento (Nico, un uomo della banda) e a Violante Placido, figlia del regista (Anna, la moglie di Nico).

Il cecchino è dunque fondamentalmente un noir/poliziesco francese, ma con rapine, violenze e sparatorie che trasmettono un gusto squisitamente italiano. La rapina iniziale, con la sparatoria in strada e il cecchino sul tetto, merita di entrare in un’ipotetica antologia poliziesca, per la lunga durata (cinque minuti di adrenalina) e per la messa in scena accuratissima, sia nell’aspetto visivo (notevoli, per esempio, i dettagli sulle armi e i car-crash) che sonoro (i proiettili sparati hanno un’acustica eccezionale). Notevoli anche le sparatorie successive: all’interno del night-club (breve ma “esplosiva”), nel casolare, e soprattutto la lunga sequenza che prelude alla resa dei conti finale. Dunque, grande dispiego di armi (pistole, mitra, fucili di precisione, fucili a pompa) e proiettili a volontà. La crudeltà e il sangue abbondando: anzi, la figura del medico Franck, sadico e psicopatico assassino che sequestra e tortura giovani donne, conferisce al film, in certi punti, un’atmosfera da thriller orrorifico.

La tensione e il ritmo non cedono nemmeno un minuto, anzi la vicenda si fa man mano più intricata (forse anche troppo), con l’intreccio fra le indagini di Mattei e i regolamenti di conti nella banda. L’analisi psicologica è certosina, e mai scontata, sia nelle dinamiche della gang che nei singoli personaggi.

Michele Placido, con Il cecchino, dipinge dunque un bel ritratto del milieu francese, così come nei due film precedenti aveva fatto con la malavita italiana: possiamo dire che, se con Romanzo criminale e Vallanzasca Placido vuole rappresentare vicende reali rendendole spettacolari, con questo nuovo film punta invece a rappresentare una vicenda spettacolare rendendola il più possibile realistica. E l’obiettivo è pienamente raggiunto.

La colonna sonora

Composta da Nicolas Errèra e contenente anche brani di Evgueni e Sacha Galperine, la colonna sonora è forse l’unico punto debole de Il cecchino: non che sia brutta o sbagliata, ma abbastanza anonima. Si limita infatti a brani ritmati durante le scene d’azione (per esempio durante la rapina iniziale) oppure a musiche vibranti nei momenti più tesi. Tutto il film è diretto in maniera impeccabile, ma difficilmente le melodie rimangono impresse nello spettatore. Il pezzo migliore è sicuramente quello che accompagna la scena conclusiva (Kaminski che si allontana): malinconico e crepuscolare, è eseguito in pieno stile “polar” e prosegue sui titoli di coda. Molto più efficace è la cosiddetta “colonna rumori”, cioè l’insieme dei suoni che accompagnano le immagini: sempre importante nel cinema, lo è ancora di più in generi come il poliziesco e il western, e ne Il cecchino si rivela eccezionale soprattutto durante le sparatorie, in cui i colpi esplosi sono talmente realistici che fanno quasi sembrare allo spettatore di “vivere” la scena in prima persona.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *