Il declassamento del rating a BBB+

Venerdì 8 marzo l’agenzia internazionale Fitch ha declassato il rating sovrano dell’Italia da A- a BBB+ con outlook (previsione) negativo.

La decisione è stata motivata per “i risultati inconcludenti delle elezioni del 24-25 febbraio” che “rendono improbabile la formazione nelle prossime settimane di un nuovo governo”.
Le altre due più importanti agenzie di rating internazionali avevano già espresso le proprie valutazioni all’indomani dell’esito delle elezioni: Moody’s aveva minacciato il declassamento, per Standard & Poor’s, invece, l’esito delle elezioni non aveva alcuna implicazione immediata.

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Quali le conseguenze teoriche

Negli ultimi tempi un po’ tutti abbiamo imparato a convivere con tali tipi di notizie e abbiamo sentito esperti e non dire la loro sulle conseguenze delle valutazioni espresse dalle agenzie di rating. È ormai noto a tutti che il rating assegnato allo Stato influenza direttamente l’andamento dei titoli di stato e dei titoli azionari delle banche, che hanno le casse piene di Bot e BTP. Se peggiora il giudizio, lo Stato, come un qualsiasi debitore privato, è costretto a pagare più caro il denaro che chiede in prestito. Quindi è costretto ad alzare i rendimenti dei titoli di Stato che emette per raccogliere denaro, peggiorando lo stato dei conti pubblici italiani, per il maggior esborso in termini di interessi da pagare.

Come detto, tuttavia, anche le banche ne subiscono le conseguenze.

In primo luogo perché i titoli di stato presenti nel loro portafoglio, essendo più rischiosi, valgono di meno e conseguentemente fanno diminuire il patrimonio delle banche. In secondo luogo perché rischiano di dover pagare a maggior prezzo anch’esse il denaro che raccolgono sul mercato dei capitali. Ecco perché, il declassamento dello Stato italiano comporta a cascata il declassamento del rating delle banche italiane. Infatti Fitch ha comunicato il 18 marzo la riduzione a BBB+ anche dei rating di Intesa San Paolo e di Unicredit, che tra le banche maggiori avevano i giudizi migliori. Sembra invece scongiurato, per ora, un ulteriore taglio dei rating delle altre banche, già per altro inferiori (Monte Paschi ha ad esempio Bbb).

Esiste un altro effetto indiretto sulle banche italiane che si rifinanziano (allo 0,75%) presso l’eurosistema e che, a fronte di tali prestiti, depositano delle garanzie a favore della Banca Centrale Europea.

La Bce richiede, per tali prestiti, delle trattenute che passano dal 6,5% al 15% in caso di declassamento da A- a BBB+ per obbligazioni aventi scadenza inferiore all’anno e addirittura dal 17% al 39,5% per titoli con durata superiore ai 10 anni. Infine i grandi investitori istituzionali potrebbero dirottare l’impiego della propria liquidità verso banche estere più sicure, aventi merito creditizio più elevato, per diminuire il proprio rischio. Ad esempio alcuni fondi pensione per statuto non impiegano liquidità in attività aventi un rating inferiore a BBB.

Quali i risvolti pratici

Quanto sopra descritto, si riflette, per le aziende e il privato cittadino, in un aumento del costo del debito. I finanziamenti e fidi, a seguito dell’aumento del costo della raccolta per le banche, scontano un automatico aumento dei tassi, in quanto le banche trasferiscono i loro maggiori costi sul cliente.
Per quanto riguarda i titoli di Stato, come detto, il declassamento comporta un aumento dei rendimenti.
Va sottolineato, tuttavia, che, forse perché i declassamenti arrivano tardi quando i mercati hanno già assorbito e scontato le situazioni di fatto e forse perché ormai hanno fatto il callo agli annunci delle agenzie di rating, non sempre ciò accade. Nello specifico caso del declassamento di Fitch, lo spread tra titoli di Stato italiani e tedeschi il lunedì successivo all’8 marzo è aumentato di soli 3 centesimi. Forse è necessario spostare l’attenzione dal controllo quasi maniacale di quanto salgono lo spread e i tassi o di quanto scende il rating al mondo dell’economia reale.
L’Italia è al 160° posto per l’efficienza della Giustizia, è uno dei Paesi più corrotti, ha un costo dell’energia tra i più elevati, ha una burocrazia asfissiante, un’imposizione fiscale elevatissima. Tutti elementi che rendono difficile attrarre investimenti e capitali dall’estero e quindi il rilancio dell’economia reale e della crescita, che, se avvenisse, risolverebbe magicamente il problema spread, rating, tassi ecc. ecc..

Luca Leidi
Dottore commercialista

luca.leidi@tomasiassociati.it

Telefono Studio: +39 (0)35 221161

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