Il poliziotto è marcio (1974) di Fernando Di Leo, il primo grande atto di accusa contro la corruzione nella polizia.

Intorno al film

La distribuzione Rarovideo mette a segno un colpo sensazionale, pubblicando per la prima volta in dvd Il poliziotto è marcio (1974), il “capolavoro perduto” del grande Fernando Di Leo. Si tratta di uno dei film più ricercati dai cinefili, stampato solo una volta in Vhs (ormai introvabile) e circolante in rete in una versione quasi inguardabile come qualità video. Finalmente, gli appassionati del cinema poliziesco (e non solo) possono gustarsi quest’opera fondamentale con un master video e audio di eccellente qualità. Scomodo fin dal titolo, Il poliziotto è marcio segue cronologicamente la “trilogia del milieu” (Milano calibro 9, La mala ordina, Il boss), ed è uno dei primi film a trattare esplicitamente la corruzione nella polizia, molto prima del tanto celebrato Cattivo tenente (1992) di Abel Ferrara.

poliziotto

La vicenda

Nella Milano violenta degli anni Settanta, il commissario Domenico Malacarne (Luc Merenda) è uno dei funzionari più in vista della Questura, le cui imprese contro il crimine vengono osannate da tutti. Dietro questa facciata di rispettabilità, Malacarne nasconde però un animo corrotto e avido di denaro, che lo spinge a proteggere due boss della malavita, Mazzanti (Richard Conte) e Pascal (Raymond Pellegrin). Divenuto “scomodo” in seguito a un imprevisto, il commissario si vede uccidere padre e fidanzata dai killer della mala. Inizia così una spietata vendetta verso i due boss, che si concluderà però con la sua morte.

Narrazione e stile

Con Il poliziotto è marcio, Fernando Di Leo (il più grande maestro italiano del noir poliziesco) si trova a lavorare per la prima volta con una casa di produzione diversa dalla Daunia: si tratta infatti di una coproduzione fra l’Italia (Cinemaster di Galliano Juso e Mount Street Film di Ettore Rosboch) e la Francia (Mara Films di Parigi). Di conseguenza, il regista deve lavorare su un soggetto scritto da un altro (Sergio Donati), ma la sceneggiatura e i dialoghi vengono comunque elaborati soltanto da Di Leo, che dirige quindi un film veramente “suo”, sceneggiato in maniera perfetta e coi dialoghi pregnanti e incisivi che solo lui sapeva scrivere. Inoltre, pur cambiando produzione, il regista può contare sulla sua consueta factory: Franco Villa alla fotografia, Amedeo Giomini al montaggio, Francesco Cuppini alle scenografie e Franco Lo Cascio come aiuto regista.

Assolutamente azzeccata è poi la scelta del cast: una grande intuizione, geniale e spiazzante, è innanzitutto quella di far interpretare il poliziotto corrotto a Luc Merenda, uno dei “commissari di ferro” per eccellenza del poliziesco italiano (Milano trema: la polizia vuole giustizia, La polizia accusa: il servizio segreto uccide, ma anche i successivi La banda del trucido e Napoli si ribella). Nei panni dei due boss troviamo invece attori celebri proprio per ruoli di questo genere: Richard Conte (il suddetto Milano trema, Il boss dello stesso Di Leo e Tony Arzenta) e Raymond Pellegrin (Camorra, L’ambizioso), proveniente dal noir francese di Jean-Pierre Melville, regista considerato da Fernando Di Leo uno dei suoi maestri. La componente femminile è affidata soprattutto a Delia Boccardo (la fidanzata del commissario), mentre il napoletano verace Vittorio Caprioli (attore – feticcio di Di Leo) si rivelerà fondamentale per lo sviluppo della vicenda. Infine, ma non certo per ordine d’importanza, bisogna notare la presenza di un grandissimo attore del cinema italiano, Salvo Randone, nel ruolo dell’anziano maresciallo dei carabinieri padre di Domenico Malacarne. Fernando Di Leo si trova quindi a disposizione un cast ricchissimo, e riesce a utilizzarlo nel migliore dei modi, creando personaggi psicologicamente complessi e credibili, valorizzati da una regia come sempre eccellente.

Il regista aveva iniziato un coraggioso discorso personale sulla corruzione dei poliziotti già nel suo film precedente, Il boss, dove il commissario Torri (Gianni Garko) è colluso con le alte sfere della mafia siciliana. Ma è proprio in questa pellicola che il poliziotto corrotto (“marcio” appunto) diventa protagonista assoluto della vicenda. Come succede sempre nel cinema di Di Leo, ogni personaggio non ha però un’unica faccia, e anche Malacarne (un “cognome parlante”) ha una sua etica: accetta infatti di coprire la gang per quanto riguarda il contrabbando di caffè e sigarette, ma quando entrano in gioco droga e armi si rifiuta (facendo il primo passo verso la sua rovina).

Il poliziotto è marcio è anche uno dei film dileiani più ricchi di azione. Due in particolare sono le sequenze memorabili in tal senso: il lungo e spericolato inseguimento iniziale sulle alzaie dei navigli (che ricorda un po’ quello de La mala ordina, con protagonista il ruggente Mario Adorf), e la sparatoria in piazza, che prosegue con un altro inseguimento mozzafiato dal centro alla tangenziale fino a una cava abbandonata.

A Di Leo, però, interessa come sempre soprattutto il realismo più che l’elemento spettacolare: dunque, lo sviluppo della narrazione, la psicologia dei personaggi, i rapporti fra di loro e l’intensità dei dialoghi. In particolare, vengono approfonditi il rapporto fra Malacarne e suo padre (la sequenza più intensa del film è probabilmente il loro confronto, dopo che l’uomo ha scoperto la natura corrotta del figlio), la logica interna della malavita e l’estremo pessimismo sociale di personaggi senza possibilità di redenzione.

Il poliziotto è marcio è anche uno dei suoi film più violenti: dopo la cruenta resa dei conti iniziale fra la banda di Pascal e alcuni rivali, seguono nel corso del film le uccisioni particolarmente crude e realistiche dei personaggi interpretati da Vittorio Caprioli, Salvo Randone, Gino Milli (il killer omosessuale), Delia Boccardo e, nell’ultima scena, Luc Merenda.

La colonna sonora

La colonna sonora è realizzata dal maestro Luis Enriquez Bacalov, uno dei più grandi compositori di musica per film (premio Oscar nel 1996 per Il postino di Massimo Troisi). Autore delle colonne sonore di quasi tutti i noir di Di Leo (ad eccezione di La mala ordina, dove è affidata alle note funky di Armando Trovajoli), Bacalov realizza anche qui un ottimo lavoro, pur non raggiungendo i livelli sublimi e insuperabili di Milano calibro 9. Lo stile, in linea di massima, è comunque abbastanza simile: ritmi serrati dal sapore jazz e squisitamente poliziesco si mescolano abilmente con melodie più lente e malinconiche; da ricordare anche il dolce brano che sentiamo durante la scena d’amore (molto casta) fra Luc Merenda e Delia Boccardo.

Davide Comotti. Bergamasco, classe 1985, dimostra interesse per il cinema fin da piccolo. Nel 2004, si iscrive al corso di laurea in Scienze Umanistiche dell’Università degli Studi di Bergamo (laurea che conseguirà nel 2008): durante gli studi universitari, ha modo di approfondire la sua passione tramite esami di storia, critica e tecniche del cinema e laboratori di critica e regia cinematografica.

Diventa cultore sia del cinema d’autore (Antonioni, Visconti, Damiani, Herzog), sia soprattutto del cinema di genere italiano (Fulci, Corbucci, Di Leo, Lenzi, Sollima, solo per citare i principali) e del cinema indipendente di Roger A. Fratter.

Appassionato e studioso di film western, polizieschi, thriller e horror (soprattutto italiani), si occupa inoltre dell’analisi di film rari e di problemi legati alla tradizione e alle differenti versioni di tali film.

Nel 2010, ha collaborato alla nona edizione del Festival Internazionale del Cinema d’Arte di Bergamo.

Scrive su “La Rivista Eterea” (larivistaeterea.wordpress.com), ciaocinema.it, lascatoladelleidee.it e cura la rubrica cinematografica del sito di Bergamo Magazine (bergamomagazine.it) e del mensile Bergamo Up. Ha scritto inoltre alcuni articoli sui siti sognihorror.com e nocturno.it.

Ha scritto due libri: Un regista amico dei filmakers. Il cinema e le donne di Roger A. Fratter (edizioni Il Foglio Letterario) e, insieme a Vittorio Salerno, Professione regista e scrittore (edizioni BookSprint).

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