Il socialmente educato del politicamente corretto, e gli effetti del linguaggio.

In passato ho svolto diverse attività di orientamento con giovani e adulti sia italiani, sia stranieri. Tra i secondi molti Africani con i quali avvertivo sempre un certo imbarazzo allorché mi trovavo nella necessità di riferirmi alla loro appartenenza razziale. Mi chiedevo se avessi dovuto usare l’aggettivo “nero”, oppure la locuzione “di colore”. La mia indecisione era data soprattutto dalla sensazione di artificio, d’innaturalezza, che percepivo nell’espressione “di colore”. Così, le prime volte per rassicurarmi e le successive quasi come una privata piccola indagine sociologico-linguistica, chiedevo al mio interlocutore quale tra le due alternative preferisse. La risposta fu sempre preferire “nero”. Era talmente evidente che così dovesse essere. Un bambino non scolarizzato avrebbe dato la medesima risposta. Tra l’altro ciò è sulla linea di quanto ha detto Papa’ Francesco rivolgendosi ai giornalisti: “I cristiani non devono usare un linguaggio socialmente educato” ma essere portatori della “verità del Vangelo con la stessa trasparenza dei bambini”.

vauro

Anche perché se gli esseri umani di razza nera vengono chiamati “di colore”, quelli di razza bianca, per essere “politically correct” come dovrebbero essere chiamati “senza colore” o “incolori”? Perché, a pensarci bene, il politicamente corretto può ottenere l’effetto opposto; può mettere in evidenza ciò che vorrebbe nascondere.
Così lo spazzino diventa “operatore ecologico”, volendo nobilitare ciò che non ha bisogno di essere nobilitato.
Oltre a quelli citati ci sono altri esempi come “diversamente abile”, “non vedente”, “non udente”; locuzioni che, pur nel loro obiettivo d’inclusione di chi vive condizioni fisiche meno fortunate, non possono non interrogarci sul loro reale significato.
In ogni caso il mio intento non è quello di trattare l’argomento dal punto di vista sociologico, quanto piuttosto di considerarlo dal punto di vista psicanalitico. Uno dei concetti basilari della teoria di Lacan è espresso nella famosa citazione “l’inconscio è strutturato come un linguaggio”. Pertanto il ricorrere o meno all’utilizzo di certe forme linguistiche non è indifferente, ma incide sulla vita psichica dell’uomo con conseguenze anche a livello clinico.
Si tratta cioè di considerare gli effetti del linguaggio sull’essere umano, o per dirla con Lacan sul “parlessere”.
E, a proposito del politicamente corretto, è interessante osservare come le espressioni linguistiche a esso attribuite siano quasi sempre forme composte (operatore ecologico, diversamente abile) o negative (non vedente, non udente).
Questo cosa significa? Perché comporre con due parole ciò che è già rappresentato, cioè metaforizzato, da una sola? Due parole chiariscono più di una sola, oppure, al contrario, confondono e introducono incertezza? Queste forme complesse sembrano essere l’opposto della olofrase – ovvero parola-frase – di cui parla Lacan nel Seminario XI ma con esse, a mio parere, hanno in comune la multifunzionalità; possono voler dire più cose, fino a non distinguere a non isolare un significante che rappresenti in modo preciso il soggetto, cioè colui che ad esempio nel caso dell’operatore ecologico esercita quel mestiere, o possiede quelle competenze.
Fermo la mia attenzione sulla olofrase. Lacan la spiega come l’assenza della dimensione di metafora, in quanto contrariamente ad essa non significa nulla. Lacan definisce la olofrase come una solidificazione della catena significante (cioè l’insieme delle parole che una a una si collegano tra loro dall’ultima formulata alla prima posta all’origine) che immobilizza il discorso. Le parole che compongono la olofrase fanno blocco unico, non più scomponibili e senza più quel legame simbolico originale e quindi senza senso. Non dicono più nulla al soggetto e il soggetto è a esse estraneo.
È ciò che sembrerebbero indicare le forme verbali complesse del politicamente corretto. Questo blocco di parole ha degli effetti molto importanti in ambito clinico. Lacan segnala la presenza di questo insieme indifferenziato di parole, le olofrasi, nei disturbi psicosomatici. Infatti, il soggetto psicosomatico si caratterizza per la difficoltà a dare espressione simbolica, cioè di parola, alla sua storia e al suo malessere che per questo motivo trovano nel corpo il luogo privilegiato dove manifestarsi. Al soggetto mancano le parole proprio perché esse sono legate in un blocco unico che rende impossibile la loro divisione, enumerazione e citazione. Il soggetto ha quindi difficoltà nel trovare una risposta e quindi nel dare un senso a ciò che gli succede. Viceversa possiamo dire che la parola autentica è parola di verità.
Per questo motivo l’utilizzo del politicamente corretto, seppure in alcuni casi ne comprendiamo l’intento positivo, è per quanto possibile, a mio avviso, da evitare, perché non favorisce la chiarezza e il processo del sapere ma può confondere e nascondere la verità.

La teoria e il pensiero di Lacan sono sorprendenti nella capacità di interrogare e interpretare la realtà dell’uomo e della società contemporanei, sottoposti, come la quotidianità evidenzia, ad una condizione di instabilità e di confusività nelle quali è difficile orientarsi.
Per questo motivo, la LAF – Libre Association Freudienne con sede a Parigi –
www.libre-association-freudienne.org organizzerà a Bergamo, dal prossimo autunno 2013, degli incontri di lettura psicanalitica che saranno incentrati sui seminari di Lacan. Gli incontri che sono rivolti non solo ad analisti ma a tutti coloro che sono interessati al discorso psicoanalitico, saranno condotti da Yves Inserra – psicanalista della LAF. Per ogni informazione si può contattare yves.inserra@9online.fr, oppure, il sottoscritto, mario.tintori@fastwebnet.it.

Mario Tintori
Psicologo Psicoterapeuta
mario_tintori@fastwebnet.it

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