“Io sono Malala. Il mio mondo è cambiato. Ma io no.”

La storia vera che vi voglio raccontare ha inizio da una domanda fatta da un uomo col volto coperto e una pistola nascosta a un gruppo di ragazzine pakistane sul bus, al ritorno da scuola.

“Chi è Malala?”

Malala Yousafzai non ha il tempo di rispondere, perché è colpita da una pallottola. Il suo libro è la risposta a quella domanda e molto di più. “Io sono Malala” è la dimostrazione che il coraggio, l’amore per il sapere e l’attenzione agli altri, a volte, hanno la meglio.”

Malala Yousafzai è una ragazzina, ma ha già vinto il premio Nobel per la pace. Con parte della cifra vinta ha fondato il “Malala Found”, un organizzazione no profit, che raccoglie fondi da destinare a progetti educativi in tutto il mondo.

Nel 2011 comincia a scrivere della vita sotto i talebani su un blog della BBC, con uno pseudonimo. È una delle più note attiviste pakistane, che si batte in particolare per i diritti civili e per il diritto all’istruzione, anche per le donne: per questo ha subito un attentato, rivendicato dai talebani.

Proprio partendo da questo drammatico evento, Malala racconta in flashback la sua storia e quella della sua valle dello Swat, in Pakistan. Torna indietro nel tempo, fino all’infanzia di suo padre; narra di una terra senza talebani, mescolando le vicende familiari a quelle politiche e militari del suo paese. Analizza in modo lucido e oggettivo ogni evento storico, anche perché ne ha una profonda conoscenza. Il padre le ha trasmesso l’amore per il sapere e la consapevolezza dei diritti, e per permettere a tutti i bambini di studiare ha aperto una scuola: la Khushal School.

Tra dittature, vallate bellissime, politici corrotti, tradizioni spesso incomprensibili, inondazioni e case fatte di legno e argilla, Malala non riesce a non amare la sua terra e a rimanere impassibile di fronte agli eventi.

Il libro descrive perfettamente come i talebani si siano impossessati della regione, presentandosi come volontari in momenti di difficoltà (terremoti e inondazioni) e come ottimi interpreti del Corano. Ma poi iniziano le proibizioni, si impadroniscono delle stazioni radio, umiliano e uccidono pubblicamente. I talebani si nutrono dell’ignoranza della gente ed ecco perché Malala, suo padre e pochi altri si battono per l’istruzione: l’unico metodo non violento per reagire, per aprire gli occhi.

Ma la loro battaglia non passa inosservata e i talebani si accaniscono contro le scuole, costrette a chiudere o saltate letteralmente per aria.

Quando anche Malala non può più andare a scuola, le cade il mondo addosso; per lei la scuola è tutto e si è sempre impegnata molto per essere tra le prime della classe. Proprio in queste circostanze difficili, si accorge del potere della penna e inizia a scrivere della sua esistenza quotidiana, marcata dalla costante paura, sul blog della BBC. Ma le prove non sono finite: Malala e la sua famiglia devono abbandonare la loro casa e vivono tre mesi come sfollati interni. Al rientro trovano la città distrutta, ma almeno si può tornare a scuola. Proprio mentre torna dall’esame di storia, in pullman, con le sue compagne, Malala viene colpita.

Nelle ultime parti del libro seguiamo Malala nei vari ospedali, le operazioni a cui è sottoposta, i piccoli progressi che fa. Tra le pagine si trovano stralci di quaderni con le scritte che lei lasciava, quando non era in grado di comunicare.
Malala ha dovuto trasferirsi a Birmingham e ha nostalgia della sua valle; è tornata a scuola, ma le mancano le amiche di sempre e il suo viso non è più tornato come prima. Nonostante tutto questo non sono riusciti ad azzittirla.

“Prendiamo i nostri libri e le nostre penne. Sono le nostre armi più potenti. Un bambino, un insegnante, un libro e una penna possono cambiare il mondo.”

Elena Ravasio

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