Ci sono libri che sono chiari in tutti i loro punti e non hanno profonde metafore nascoste nelle loro pagine, è questo per esempio il caso de “I Malavoglia” di Verga, oppure di “Addio alle armi” di Hemingway; invece ci sono dei libri che hanno una ricchezza di archetipi letterari da lasciare allibiti, soprattutto quando si riscoprono a distanza di anni, è questo il caso che riguarda direttamente Kafka e la sua produzione letteraria, come il romanzo “Amerika”.
Quando lo lessi per la prima volta percepii delle sfumature e mi entusiasmai per dei dettagli, come l’odiosa cantante francese e il suo canapé, o il fantastico ascensore dell’albergo Occidentale, una mega struttura per viaggiatori, ritrovata mirabilmente, ma credo involontariamente, trasposta nella fotografia dell’Hotel Earle del film “Barton Fink”, diretto dai fratelli Cohen con John Turturro e John Goodman; e infine il resoconto sulla migrazione slava verso una terra sconosciuta, incomprensibile ma aperta per la realizzazione dei sogni di benessere di ogni persona.
Soffermandomi per qualche istante sul film ammetto che trama, fotografia e singole situazioni, in esso contenute, hanno richiamato alla mente Kafka e il suo Amerika. Così per la seconda volta ho affrontato questo testo, scoprendo, a quasi quindici anni dalla prima lettura, che nell’intenzione dell’autore questo libro voleva essere anche un elogio ai principi dell’adolescenza e una denuncia verso gli adulti.
La critica, che ha analizzato tutti i lavori di questo longilineo ragioniere ceco vissuto tra il declino di un impero e la nascita di una nazione, giudicò questo romanzo come il più ironico della sua produzione. Ovviamente c’è sempre dell’ironia quando si mette a nudo la realtà dei rapporti umani, e così questo libro diventa un lungo racconto ironico dove gli adulti sono immortalati come incapaci di guardare alla verità della giustizia (Fochista), ottusamente autoritari (Lo zio), inadatti a reazioni di carattere (Un villa fuori città), approfittatori e parassiti (Sulla strada per Ramses).
Kafka raccontò un episodio a lui famigliare e legato ad un suo cugino, rendendolo “un caso letterario” su cui impostare il romanzo. Raccontandolo lo trasportò nell’adolescenza per ricordare a chiunque come, in quel periodo, si subiscono i primi piccoli e grandi soprusi che determineranno un carattere – l’essere sottovalutati nelle proprie ragioni o l’essere sessualmente sopraffatti da un adulto -, e come, proprio in quel periodo, gli adulti osino violare l’innocenza di una persona con le loro manie, le loro paure, la loro bestialità.
Piero Citati definisce questo libro “un romanzo teologico con triplo peccato originale.”, ma Kafka fu un ebreo ashkenażita, della cultura Yiddish europea: ironica, cinica e allo stesso tempo brutalmente triste e incredibilmente felice, ma in nulla legata al peccato originale cattolico. Gli ebrei non vivono il concetto di “peccato originale” e non hanno una visione teologica come quella cattolica, per cui Citati con questa affermazione esprime un’opinione ma non spiega un fatto: Kafka di cosa parlò? In questo romanzo analizzò molte cose e lo fece con gli occhi di un adolescente, come Dostoevskji nel romanzo “L’adolescente”, come Dickens nel suo “Oliver Twist” e Twain “Nelle avventure di Huckleberry Finn”. Sicuramente descrisse le “colpe” ma anche in questo, come in tutti i suoi romanzi, c’è una tale ricchezza di metafore che rendono umano l’errore e che impediscono una qualsiasi trasposizione teologica, divina ed ereditaria.
Si dice che Kafka scrisse della “colpa universale”, ma forse si vuole che Kafka scrivesse questo. L’unica cosa certa è che descrisse talmente bene l’animo dell’uomo da rendere ogni parola liberamente interpretabile, dipendente più dal lettore che dal critico-storico.
Amerika perciò non è da considerare un libro secondario – anche perché nella produzione di Kafka libri secondari sembrano non esistere – ma un’importante dichiarazione d’amore per l’innocenza e il senso di giustizia, che mettono chiunque subisca dei torti nella condizione di perdere dei beni preziosi: come la capacità di credere e continuare a lottare per il proprio rispetto.
Nel romanzo il giovane Karl ad ogni caduta si rialza e non si perde d’animo, come fa ogni giovane che sa di aver ragione.