Pronti a morire

Intorno al film

Tarantino, con il suo Django Unchained (2013), non è stato il primo regista americano ad apprezzare e omaggiare gli spaghetti-western: già nel 1995, Sam Raimi diresse lo strepitoso Pronti a morire, che è probabilmente (insieme al film di Quentin) il più bel western degli ultimi trent’anni. Negli anni Novanta, dopo che Clint Eastwood con lo struggente Gli spietati (1992) ne aveva recitato il de profundis, il genere vive un momento difficile, con pochi prodotti senza originalità. Lo scossone viene proprio da Raimi, il quale, dopo aver rivoluzionato l’horror con La casa e i due sequel, mette “in centrifuga” gli elementi più spettacolari del western italiano e americano e li ripropone secondo il suo particolarissimo stile, dirigendo un film assolutamente unico e spettacolare: facilmente reperibile in dvd, sono 100 minuti di adrenalina pura che non mancano di emozionare appassionati e neofiti.

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La vicenda

Nella cittadina di Redemption spadroneggia il crudele John Herod (Gene Hackman), che ogni anno organizza un torneo di duelli all’ultimo sangue. Nell’edizione annuale partecipano 16 pistoleri, fra cui lo stesso Herod, l’ex bandito e ora prete Cort (Russell Crowe), il giovane e spavaldo Kid (Leonardo DiCaprio), e anche una ragazza appena giunta in città, Ellen (Sharon Stone), che vuole vendicare l’omicidio del padre ad opera di Herod. Sarà una sfida senza esclusione di colpi, per compiere la vendetta e riportare la giustizia in città.

Narrazione e stile

Pronti a morire è un film che trasuda di amore verso il western italiano, rivisitato con situazioni volutamente esagerate e soprattutto con uno stile iperbolico. Produzione ad alto budget, può avvalersi di ricche e spettacolari location (fra paesaggi, strade polverose e interni ricostruiti con cura) e di un cast stellare: Sharon Stone bellissima e implacabile, Gene Hackman immenso nella parte del cattivo come ne Gli spietati, Russell Crowe e Leonardo DiCaprio agli inizi della carriera e già carismatici. Da notare anche la presenza di un celebre villain dal volto truce, Lance Henriksen, e del grande Woody Strode, a cui è dedicato il film: icona del western sia americano (L’uomo che uccise Liberty Valance) sia italiano (Keoma), solo per citare i principali, compare in un cameo come becchino, ed è il suo ultimo film prima della morte.

Già in quanto a trama e narrazione, Pronti a morire è innovativo: una donna come protagonista principale è una rarità nel western, e anche il torneo di duelli a eliminazione implica una struttura assolutamente originale. Le scene d’azione, dai vari duelli all’esplosiva sparatoria finale, sono il punto di forza del film, ma è significativa anche la caratterizzazione dei personaggi: più approfondita e “psicologica” quella dei quattro protagonisti, più fumettistica e volutamente esagerata quella dei personaggi di contorno (l’evaso, l’indiano, lo svedese, il killer di colore, e altri ancora).

Ma Pronti a morire è un’opera unica soprattutto per lo stile, che mescola in maniera vorticosa dettagli alla Sergio Leone e ralenti alla Sam Peckinpah, rivisitati dalle inquadrature innovative di Raimi, già presenti nei suoi film precedenti e ora estremizzati, con una regia particolarmente ispirata e creativa (è forse la sua pellicola più esagerata, almeno esteticamente). La messa in scena dei duelli è quanto di più folle e magnifico si possa immaginare in un western: inquadrature “a schiaffo” squisitamente raimiane sui dettagli (le pistole, i volti, l’orologio), rotazioni oblique delle immagini, zoom improvvisi, carrelli vertiginosi, montaggio frenetico, soggettive delle pallottole, ferite attraverso cui si vede il paesaggio retrostante, il tutto enfatizzato dalla musica; in alternanza, troviamo poderose scene al ralenti, come i duelli in sequenza su sfondo nero, la sfida fra Russell Crowe e l’indiano, e molte altre ancora. Maestoso e incredibile, poi, è il duello fra Hackman e DiCaprio, con l’alternanza dei primi piani sghembi mentre il paesaggio sullo sfondo corre velocemente in contro-zoom (sempre con la musica a rendere il tutto ancora più emozionante). Inconfondibile “marchio di fabbrica” raimiano è anche la mossa del fucile ruotato col braccio (impossibile non pensare al gesto identico di Bruce Campbell ne L’armata delle tenebre). Pronti a morire, in tal senso, è un film visionario e quasi sperimentale, un vortice di immagini che non può lasciare indifferenti e che connota Raimi come un vero artista e non un semplice regista “di genere”. Tutto questo si innesta su immagini tipiche del western italiano, come i primi piani e i dettagli tanto cari a Leone, oppure le scene al ralenti introdotte da Peckinpah e poi riprese da Enzo G. Castellari, al cui western Keoma Raimi sembra voler rendere omaggio. Anche alcune situazioni sono topos degli spaghetti-western: l’arrivo in città di un pistolero solitario in cerca di vendetta (in questo caso una donna), il cimitero fangoso simile a quello presente nel Django di Corbucci, il flashback dal gusto leoniano che si compone poco per volta come in C’era una volta il West (flashback con cui c’è anche una certa somiglianza nel racconto: Ellen bambina costretta ad assistere all’impiccagione del padre).

La colonna sonora

Come nella migliore tradizione western (italiana, in particolare), la colonna sonora riveste un ruolo fondamentale nella costruzione dell’atmosfera: composta dallo specialista Alan Silvestri, è anch’essa, in un certo senso, parte integrante delle immagini. I duelli di Pronti a morire non sarebbero stati sicuramente gli stessi senza le musiche cadenzate a scandire gli sguardi, le mani sulle pistole, gli spari e i ralenti. Notevoli anche i brani di ampio respiro che accompagnano le sequenze di preparazione alle sfide e la melodia dal sapore epico che fa da ossatura alla colonna sonora.

Davide Comotti

Bergamasco, classe 1985, dimostra interesse per il cinema fin da piccolo. Nel 2004, si iscrive al corso di laurea in Scienze Umanistiche dell’Università degli Studi di Bergamo (laurea che conseguirà nel 2008): durante gli studi universitari, ha modo di approfondire la sua passione tramite esami di storia, critica e tecniche del cinema e laboratori di critica e regia cinematografica.

Diventa cultore sia del cinema d’autore (Antonioni, Visconti, Damiani, Herzog), sia soprattutto del cinema di genere italiano (Fulci, Corbucci, Di Leo, Lenzi, Sollima, solo per citare i principali) e del cinema indipendente.
Appassionato e studioso di film horror, thriller, polizieschi e western (soprattutto italiani), si occupa inoltre dell’analisi di film rari e di problemi legati alla tradizione e alle differenti versioni di tali film.
Nel 2010, ha collaborato alla nona edizione del Festival Internazionale del Cinema d’Arte di Bergamo.
Esordisce nella scrittura su “La Rivista Eterea” (larivistaeterea.wordpress.com). Attualmente, scrive sulla rivista cartacea “Bergamo Up” e sulle riviste online lascatoladelleidee.itciaocinema.itmondospettacolo.comhorror.it, malastranavhs.wordpress.com e nonsologore.it . Ha redatto inoltre alcuni articoli per il sito della rivista “Nocturno Cinema” (nocturno.it).

Ha scritto due libri: Un regista amico dei filmakers. Il cinema e le donne di Roger A. Fratter (edizioni Il Foglio Letterario) e, insieme a Vittorio Salerno, Professione regista e scrittore (edizioni BookSprint).

Contatto: davidecomotti85@gmail.com

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